Invictus – L’Invincibile

(USA 2009, col, 134’) regia di Clint Eastwood, con M. Freeman, M. Damon, T. Kgoroge, P. Mofokeng, M. Stern, J. Lewis Jones

   

Coppa del mondo di rugby, 1995. Il Sudafrica, da poco uscito dal regime dell’apartheid, è guidato dal nuovo presidente Nelson Mandela. In prigione fino al 1990 per il suo impegno contro la segregazione razziale, una volta eletto Mandela si impegna per la riconciliazione tra le diverse etnie sudafricane, incontrando molte difficoltà dovuta a risentimenti e sospetti reciproci tra le fazioni. Il torneo sportivo offre un’occasione di riscatto e rilancio della costruzione di una nuova identità nazionale. La frequentazione tra il presidente e il capitano della Nazionale François Pienaar motiva la squadra e la conduce a un trionfo inatteso.

Il film di Clint Eastwood racconta il faticoso processo di riconciliazione tra afrikaner (cittadini sudafricani di origine europea) e popolazione nera dopo gli anni della segregazione razziale attraverso la vittoria sportiva della Nazionale sudafricana al campionato mondiale di rugby del 1995. Protagonista del tentativo di pacificazione tra bianchi e neri è il neo-eletto presidente Nelson Mandela, attivista politico lungamente incarcerato proprio a motivo della sua lotta contro l’apartheid. Rilasciato nel 1990, nel 1993 Mandela riceve il premio Nobel per la pace e l’anno successivo diventa il primo presidente nero del suo Paese. Il cambiamento politico suscita preoccupazioni da parte degli ex dominatori e aspettative di rivincita in coloro che hanno subito discriminazioni dal precedente regime. Mandela sorprende entrambi i gruppi avviando un processo di riappacificazione tra le diverse etnie con l’obiettivo di costruire una nuova identità nazionale. Perdono e riconciliazione sono le vie scelte da Mandela, che non contrappone la propria identità etnica a quella dei suoi avversari ma, nel riconoscimento delle reciproche differenze, capisce che il bene di tutti richiede uno sforzo di comprensione e accoglienza dell’altro. Ecco allora che lo sport offre un’inaspettata occasione di pacificazione: la Nazionale sudafricana di rugby, gli Springbok capitanati da François Pienaar, sono percepiti dalla popolazione nera come un simbolo del passato dominio dei bianchi ma Mandela decide di ripartire proprio dall’impegno della squadra nel torneo del 1995 per dare un segno di unità al mondo intero. Non più “noi” contro “loro” ma, tutti insieme, per la realizzazione di un obiettivo comune e, attraverso questo, per la soddisfazione delle aspirazioni di tutti. Senza per questo negare la realtà di ciò che è accaduto: molto suggestiva in questo senso la scena in cui la squadra, in visita al carcere dove era detenuto Mandela, comprende il dolore e l’ingiustizia inflitti durante il regime di segregazione. Il film offre uno spunto per riflettere non solamente sull’identità etnica o nazionale ma anche per cogliere una dinamica tipica della costruzione dell’identità personale di ognuno di noi. Riconciliarsi con il proprio passato, saper accogliere le differenze, riconoscere la verità degli errori passati ma essere disposti a rimediare rinunciando alla vendetta o a una paralizzante auto-colpevolizzazione: la definizione della propria identità richiede l’armonizzazione, non sempre facile, di tutti questi elementi.