(It's a Wonderful Life, USA 1946, b/n, 129') regia di Frank Capra, con J. Stewart, D. Reed, L. Barrymore, T. Mitchell, H. Travers, G. Grahame, B. Bondi, W. Bond, F. Faylen, T. Karnes, F. Albertson, H.B. Warner, W. Edmunds, B. Anderson, C. Halton, L. Randolph, S.S. Hinds, S. Leonard.
L'angelo di seconda classe Clarence (Travers) si deve guadagnare le ali salvando dal suicidio il probo George Bailey (Stewart), che si trova sull'orlo della bancarotta dopo una vita di sacrificio per il prossimo. L'angelo gli mostra che inferno sarebbe diventata la sua città senza di lui, e gli fa tornare la voglia di vivere. [...]
(Da Il Mereghetti. Dizionario dei film 2011, Baldini Castoldi Dalai, Milano 2010)
Tra i film più noti e apprezzati della storia del cinema americano, La vita è meravigliosa pone lo spettatore davanti a un interrogativo cruciale: perché tanto spesso gli innocenti, e anzi molto spesso proprio le persone più generose, vengono a trovarsi in situazioni di estrema difficoltà? Talvolta gli ostacoli che incontriamo possono finire per non farci percepire più la gioia di vivere, gettandoci in un profondo sconforto. È questo il caso di George Bailey che, dopo una vita trascorsa a occuparsi degli altri mettendo in secondo piano i propri bisogni e desideri, si trova in una situazione di difficoltà finanziaria che mette a repentaglio la sua cooperativa. Proprio questa impresa, la Bailey Costruzioni e Mutui, negli anni ha aiutato tanti concittadini di Bailey, rendendo la città di Bedford Falls un posto migliore; ma ora gli eventi tracollano e il suo direttore si sente con le spalle al muro. Bailey arriva a pensare a una soluzione estrema e drammatica, il suicidio, ma viene distolto dall’intervento di un personaggio misterioso, l’angelo di seconda classe Clarence… Ecco un primo indizio per rispondere alla nostra domanda: è proprio nelle situazioni di difficoltà che possiamo ricevere un aiuto particolare, un incontro inatteso, la parola di qualcuno che è in grado di sorprenderci e rimetterci in carreggiata. Ma il primo intervento di Clarence non basta: “Sarebbe stato meglio se non fossi nato”, dice George in un momento di disperata rassegnazione, quasi facendo eco al grido di Giobbe nel libro biblico a lui dedicato. È allora che Clarence lo coinvolge in un viaggio al di fuori dell’ordinario, facendogli vedere come sarebbe stato il mondo se lui non fosse mai nato. E George scopre improvvisamente come la nostra vita non è solamente un bene per noi, ma rappresenta un elemento indispensabile per la felicità di coloro che ci sono accanto. Quando non abbiamo più fiducia nel futuro e nelle nostre capacità, quando perdiamo il gusto della vita e la felicità sembra svanita o definitivamente irrealizzabile, anche in quel caso la nostra esistenza ha un senso perché contribuisce alla realizzazione di un progetto più ampio, che ci coinvolge (spesso in maniera inconsapevole) rendendoci importanti per la vita di qualcun altro: genitori, fratelli e sorelle, amici, compagni di scuola, colleghi… George vede in che mondo desolato vivrebbero i suoi cari e i suoi concittadini se lui non fosse mai nato, e chiede di tornare al suo posto, ai suoi affetti e anche ai suoi problemi. Il ritorno alla normalità viene accolto da George come un vero miracolo: le piccole, grandi cose della nostra vita sono illuminate da una luce gioiosa che prima non era in grado di vedere. E proprio il bene fatto in tanti anni gli sarà inaspettatamente contraccambiato, offrendo una soluzione al problema che prima gli pareva insormontabile. La gioia travolgente di George riporta alla memoria alcuni celebri versi del poeta americano Walt Whitman, tratti da Foglie d’erba: «Cosa c’è di buono in tutto questo, o me, o vita? Risposta: Che tu sei qui – che la vita esiste, e l’identità. Che il potente spettacolo continua, e tu puoi contribuirvi con un verso».