Erasmo da Rotterdam (1466-1536): una dottrina della pace

a cura di Maurizio Serio

Il grande problema costituito dalle lotte religiose nell’Europa del Cinquecento suscita al tempo una miriade di riflessioni di natura teorica, con l’obiettivo di ispirare la prassi politica, guidare l’azione dei sovrani e aiutare la riflessione degli strati più colti della popolazione. Quel variegato movimento intellettuale che siamo soliti definire «Umanesimo» incorpora e sviluppa così forme e sensibilità differenti in ordine al rapporto tra guerra e pace. Ad esempio,«negli stessi anni in cui Machiavelli sognava un principe nuovo, forte e audace, dotato di armi proprie e pronto a usarle, Erasmo da Rotterdam vagheggiava un principe diverso, dedito alla pace e soprattutto intimamente cristiano»[1]: tutte le armi dell’uomo di Stato sono arti della pace, perché «per mezzo di loro, egli deve impegnarsi al massimo per questo scopo: che gli strumenti di guerra possano non essere utilizzati in nessun caso»[2].

Holbein il Giovane, Ritratto di Erasmo, 1523
Holbein il Giovane, Ritratto di Erasmo, 1523

«L’influenza intellettuale di Erasmo non ha avuto uguali nell'Europa del suo tempo. Ascoltato dall'imperatore, dal papa, dai principi […], ebbe contatti intensi con tutti gli ambienti umanistici, e le sue opere ebbero grande diffusione»[3]. «Erasmo è spesso considerato come uno dei precursori e protagonisti del libero pensiero, ma in realtà è un cattolico convinto. Gran parte della sua opera è dedicata all’edizione di testi religiosi, soprattutto del Vangelo. Se critica il comportamento della Chiesa romana del suo tempo [nel perseguimento di interessi politici terreni], intende nondimeno cristianizzare la cultura e portare l’umanesimo alla perfezione con l’unione della tradizione classica e della religione cristiana»[4]. Come nota Zanfarino, «egli non si serve dei testi evangelici per provocare scissioni, ma piuttosto per valorizzare ciò che gli sembra conciliabile con la cultura umanistica»[5]. «Ravvivando entrambe le culture tramite il reciproco contatto, Erasmo lottò tenacemente sia contro un cristianesimo asservito al mondo e ai suoi valori, sia contro un mondo insensibile al messaggio cristiano. […] Questo giudizio critico sul mondo spinse Erasmo a formulare una […] una proposta di totale renovatio che partiva dalla messa in dubbio della veridicità dei valori del suo tempo»[6], come quelli basati su un’etica dell’onore che spesso forniva il paravento retorico alla pratica della violenza e all’affermazione della legge del più forte. In questa maniera, il pensatore olandese intende anzitutto «riprendere il discorso sull'Eu­ropa, non vagheggiando una monarchia universale, che con il sorgere degli stati nazionali sarebbe stato un ideale di guerra piuttosto che di pace»[7].

Seguendo questa ispirazione, «l'amore per l'unità dei cristiani […] e la volontà di fondare una politica evangelica, portano Erasmo a stigmatizzare la guerra come emblema del male assoluto e radicale»[8] – come il «naufragio di ogni buona cosa», tanto da farne «il primo teorico letterario del pacifismo» e «il primo bellicoso amico della pace», come dice con un efficace ossimoro lo scrittore Stefan Zweig nella sua bella biografia del pensatore olandese[9].

Nel Querela pacis del 1517, il cui titolo completo suona come Il lamento della Pace respinta e cacciata da ogni parte e da tutte le nazioni[10], preceduto due anni prima – nell'edizione del 1515 degli Adagia – dal Dulce bellum inexpertis e dallo Scarabeus aquilam quaerit, Erasmo argomenta come «contro la guerra stanno sia l'evidenza della profonda unità del genere umano, sia l'insegnamento del Cristo […] mediante una strategia che persegue più obiettivi: mostrare gli orrori materiali e spirituali della guerra, l'inconciliabilità tra cristianesimo e guerra, e infine delegittimare la guerra mediante la critica al concetto di guerra giusta»[11]. La guerra, secondo le parole del Dulce bellum, «genera l'indifferenza religiosa, l'inosservanza delle leggi, l'audacia e la disponibilità ad ogni crimine. Essa è la sorgente che ci inonda di questa caterva di briganti, ladri sacrileghi, assassini»[12].

A tal fine, «Erasmo propone diversi rimedi per contenere la forza dirompente del flagello [della guerra]: l’arbitraggio e la delimitazione, una volta per tutte, delle frontiere nazionali, che sarebbero così al riparo delle conseguenze che le varie famiglie dinastiche potrebbero provocare con apparentamenti a mezzo di matrimoni»[13], cioè delle alleanze coniugali fra le dinastie europee. Per questo, occorre «far comprendere alle grandi potenze che «è meglio disfarsi di qualche parte di un impero che acquisirne di nuove», e che è loro dovere e loro vantaggio organizzare in tutte le forme possibili sistemi di «arbitrato per dirimere le controversie tra gli stati»[14] dal momento che «garantire la maggior parte dei nostri diritti attraverso negoziati pacifici è meglio di cercare di garantirli tutti con la guerra»[15]. Questo ha peraltro riflessi sulla stessa tenuta interna degli Stati, dal momento che «un principe non può vendicarsi dei suoi nemici senza prima aprire le ostilità verso i suoi sudditi»[16]. «Reclutare soldati e forniture è faticoso; confinare i propri cittadini all’interno delle città murate per proteggerli dal nemico non è molto meglio che essere assediati»[17].

Ad ogni modo, il punto fondamentale è che «il concetto di patria non deve essere deformato per diventare strumento di contrapposizione e di esclusione; «se il nome di patria crea un attaccamento tra tutti i membri», bisogna che gli uomini si abituino a comprendere che «il mondo è la patria di tutti»[18].

Affermando tutto ciò, «Erasmo sapeva di essere visto come un pacifista […] [anche perché] faceva parte del partito della pace che puntava alla riconciliazione tra i separatisti delle Fiandre e il loro re spagnolo»[19] (Filippo II, padre di Carlo V). Ma si spinge addirittura oltre, sfidando le radicate convinzioni del suo tempo, quando «critica il presunto valore positivo della guerra, il concetto di guerra giusta, che fa della guerra un atto giuridico, la punizione e il castigo di un colpevole. A questo proposito, Erasmo mostra tutta la differenza tra la riparazione di un torto tra i privati e la presunta riparazione del torto tra Stati. Nel primo caso, un'azione giudiziaria prende di mira un singolo per salvaguardare la collettività, nel secondo, invece, l'intento di punire qualcuno, talvolta uno solo, è soddisfatto solo attraverso la tribolazione di migliaia di innocenti. In realtà, per Erasmo, la guerra è un affare che riguarda i principi, desiderosi di aumentare i propri possessi a ogni costo»[20]. Con ciò, «l’idea di una guerra giusta viene completamente spazzata via»[21].

«Solo quando tutti i mezzi pacifici sono stati sperimentati senza successo, e solo in caso di aggressioni dirette, la guerra può diventare la extrema ratio»[22]: «un buon principe non entrerà in guerra se non quando, dopo aver tentato di tutto, vedrà che non può proprio evitarla con nessun mezzo. Se procederemo così, difficilmente una guerra potrà mai sorgere»[23].

 



[1] C. Galli, Il pensiero politico moderno, il Mulino, Bologna 2017, p. 31.

[2] E. da Rotterdam, L'educazione del principe cristiano (1516), Edizioni di Pagina, Bari 2009.

[3] A. Zanfarino, Il pensiero politico dall’Umanesimo all’Illuminismo, CEDAM, Padova 1998, p. 58.

[4] M. Prélot, Storia del pensiero politico, vol. 1, Mondadori, Milano 1975, pp. 180-181.

[5] A. Zanfarino, op. cit., p. 63.

[6] C. Galli, op. cit., pp. 31-32.

[7] A. Zanfarino, op. cit., p. 63.

[8] C. Galli, op. cit., p. 32.

[9] Cfr. S. Zweig, Erasmo da Rotterdam, Bompiani, Milano 2002.

[10] E. da Rotterdam, Il lamento della pace(1517), SE, Milano 2022.

[11] C. Galli, op. cit., p. 32.

[12] E. da Rotterdam, La guerra piace a chi non la conosce (1515), Sellerio, Palermo 2015.

[13] J.-J. Chevallier, Storia del pensiero politico, vol. 2, il Mulino, Bologna 1989, p. 45.

[14] A. Zanfarino, op. cit., p. 64.

[15] A. Ryan, Storia del pensiero politico, Utet, Torino 2017, p. 229.

[16] E. da Rotterdam, L'educazione del principe cristiano, cit.

[17] Ibidem.

[18] A. Zanfarino, op. cit., pp. 64-65.

[19] A. Ryan, op. cit., p. 229.

[20] C. Galli, op. cit., p. 33.

[21] A. Ryan, op. cit., p. 229.

[22] A. Zanfarino, op. cit., p. 65.

[23] E. da Rotterdam, L'educazione del principe cristiano, cit.