Quel giorno faceva un caldo asfissiante. Gesù e i discepoli lo avevano capito già dal mattino presto, non appena si erano svegliati per mettersi in cammino. Dovevano attraversare un territorio popolato da persone che non li avrebbero accolti volentieri, e purtroppo avrebbero dovuto sostarvi proprio a metà della giornata.
La Samaria è un territorio montuoso, compreso tra la Galilea – la regione dalla quale proveniva Gesù – e la Giudea – dove si trova Gerusalemme. Le prime ore di cammino erano state dure, e la calura del sole cocente aveva diradato anche le conversazioni fra i viandanti. Lo stesso Gesù, madido di sudore e assetato, parlava poco e aveva rallentato notevolmente il passo con lo sguardo fisso davanti a sé, pensieroso. Tra samaritani e giudei non correva buon sangue, tanto che i giudei consideravano i samaritani scismatici e li trattavano come pagani. Gesù aveva addirittura chiesto ai discepoli di non predicare inizialmente in città samaritane (Matteo 10,5), pur ricordando che era preferibile la fede di un samaritano che l’ateismo pratico di certi credenti (Luca 10,25-37). L’episodio di oggi imprimerà una direzione diversa ai rapporti tra Gesù e i samaritani, scrivendo una nuova pagina della storia. Tutto inizia dalla conversione di una persona, un incontro fortuito che è raccontato nel vangelo di Giovanni (Giovanni 4,5-42).
Mentre la comitiva si dirige verso Sicar, in lontananza appare un pozzo che secondo la tradizione era stato scavato ai tempi di Giacobbe: una benedizione per la popolazione che lì da generazioni poteva attingere acqua per sé e per il bestiame. Tutti corrono e Gesù attende pazientemente il suo turno per bere. Gesù si mette poi a sedere lì vicino e si appisola all’ombra, mandando i discepoli a Sicar a far provviste. Mentre si dirigono in città, incrociano nel cammino una donna sola che va verso il pozzo caricando un’anfora vuota, con lo sguardo fisso per terra. Un’ora insolita per attingere acqua, da sola: si tratta evidentemente di una donna che ha qualcosa da nascondere. Intuiscono così che Gesù sta per farne una delle sue.
La donna giunge al pozzo, si rimbocca le maniche, senza curarsi di Gesù appisolato. Gesù, svegliatosi per il rumore, le dice: «Dammi da bere». La donna, riconosciutolo dall’accento, e sorpresa che un uomo – peraltro un giudeo! – le rivolga la parola risponde per le rime: «Come mai tu, che sei giudeo, chiedi da bere a me, che sono una donna samaritana?». Il dialogo prosegue con alcune battute, e i toni sembrano accendersi. Come avviene a molte persone, quando stanno male e si sentono attaccate, la donna risponde alzando delle difese e allontanando chi si avvicina.
Dalla narrazione scopriamo che questa donna ha avuto una storia difficile: cinque mariti, e il sesto non è suo marito. Chi legge questa storia pensa ai mariti che questa donna ha avuto, ma non pensa a una donna che per cinque volte ha sperimentato l’abbandono e il giudizio altrui. Il motivo per cui si reca al pozzo con il caldo è semplice: a quell’ora non c’è nessuno, e così non deve incontrare le altre donne. Quel pozzo assomiglia tanto al suo cuore, e quanta fatica per attingere dell’acqua che possa ristorarla. Figurarsi se ne ha dare a un uomo giudeo!
Il pozzo nella cultura ebraica è il luogo della vita, è un luogo di incontro, è un dono per il popolo. È un luogo che per un lettore della Bibbia richiama un contesto di promessa nuziale. Nel libro della Genesi leggiamo che Abramo manda un vecchio servo nella sua terra natale a cercare una moglie per il figlio Isacco, e il servo si ferma a un pozzo pregando:
Signore, Dio del mio padrone Abramo, concedimi un felice incontro quest'oggi e usa benevolenza verso il mio padrone Abramo! Ecco, io sto presso la fonte dell'acqua, mentre le fanciulle della città escono per attingere acqua. Ebbene, la ragazza alla quale dirò: Abbassa l'anfora e lasciami bere, e che risponderà: Bevi, anche ai tuoi cammelli darò da bere, sia quella che tu hai destinata al tuo servo Isacco; da questo riconoscerò che tu hai usato benevolenza al mio padrone (Genesi 24,12-14).
Poco dopo, giunge al pozzo una ragazza di nome Rebecca con la brocca per attingere l'acqua. Dopo il suo incontro con l'uomo al pozzo, la giovinetta corse ad annunziare alla casa di sua madre tutte queste cose (Genesi 24,28). Rebecca diventerà poi la moglie di Isacco. Altri episodi dell’Antico Testamento richiamano degli incontri intorno a un pozzo in un contesto nuziale: Giacobbe offre dell'acqua a una donna sconosciuta presso un pozzo (Genesi 29,1-14); Mosé in fuga dall’Egitto si sta riposando presso un pozzo a Madian dove incontra sette sorelle, sposandone poi una (Esodo 2,15-22).
Questi episodi sono noti alla donna Samaritana. Nella prosecuzione del dialogo, Gesù la conduce dolcemente a riconoscere che davanti a Lui non è necessario accampare difese, perché l’amore non può essere contenuto in un’anfora e trattato come arma di ricatto: «non hai un secchio e il pozzo è profondo», gli fa notare la donna. Gesù la porta a riconoscere che nel suo cuore c’è un desiderio insopprimibile e infinito: «dammi quest'acqua, perché io non abbia più sete», ella dice. Lui, di contro, la incoraggia a lasciar cadere le proprie difese di principio. «So che deve venire il Messia, chiamato Cristo: quando egli verrà, ci annuncerà ogni cosa», afferma la Samaritana. Quando nel suo cuore, nella sua storia, avviene l’autentico incontro con Dio attraverso Gesù, che le dice: «Sono io, che parlo con te», allora ogni difesa cade. L’anfora, che rappresentava la sua vita viene abbandonata, perché ha scoperto la fonte della vita e della gioia, la sorgente infinita del desiderio, Dio. La Samaritana corre in città ad annunciare l’incontro avuto al pozzo proprio a coloro da cui si era allontanata: «La donna intanto lasciò la sua anfora, andò in città e disse alla gente: “Venite a vedere un uomo che mi ha detto tutto quello che ho fatto. Che sia lui il Cristo?”». Dice il Vangelo che «molti Samaritani di quella città credettero in lui per la parola della donna, che testimoniava: “Mi ha detto tutto quello che ho fatto”». Ed è così che l’episodio della donna Samaritana, che ancora non ha un nome, cambia la vita di tanti altri.
Nella storia della donna Samaritana al pozzo Gesù ci insegna cosa rappresenta la sete di Dio per il cuore dell’uomo che soffre una vita vuota, incompleta. Ci mostra poi il desiderio incontenibile di Dio di stabilire un rapporto di amicizia totalizzante con ogni persona, un rapporto che permette a ognuno di fare pace con la sua storia. Il numero sei nella numerologia ebraica indica l’incompletezza, e il sette la pienezza: sei sono gli uomini che la donna ha avuto fino a quel momento, simbolo di una vita che sembra piena, ma con un vuoto reale. Questa vita può essere portata a pienezza da Gesù, il settimo, l’Unico capace di portare a compimento la nostra vita, offrendoci un’acqua che non solo disseta, ma che permette di non avere mai più sete.