Lessico ragionato sull'inclusione sociale

a cura di Maria Aparecida Ferrari

Abilismo. Atteggiamento discriminatorio o svalutativo verso le persone con disabilità. Il termine deriva dall’idea secondo cui le persone con disabilità siano inferiori (meno abili, meno dotate) delle altre persone.

Diversità. Designa il non uguale né simile, cioè l’ampia varietà delle caratteristiche personali e di gruppo: diversità di aspetto, di opinione, di colore, di gusti, di caratteristiche biologiche… In filosofia il termine indica la negazione dell’identità ed è usato con riferimento a realtà di genere diverso, cioè che condividono caratteristiche essenziali mentre differiscono per determinazioni particolari contingenti. 

Discriminazione. Giudizio o comportamento sistematicamente ingiusto verso singole persone o gruppi di persone le cui condotte sono percepite ed etichettate come diverse da quelle stabilite per la generalità. Il termine deriva dal latino discriminare, der. di discrimen «separazione», da discernĕre «separare». Nel linguaggio giuridico: dichiarare esente da una responsabilità penale o amministrativa mediante provvedimento di discriminazione; togliere il carattere d’illiceità a un fatto che costituirebbe reato, o diminuire la responsabilità del colpevole.

Discriminazione razziale. Condotta che mette in condizioni di svantaggio individui o interi gruppi in conformità a criteri di colore, ascendenza o origine nazionale o etnica; può compromettere il riconoscimento, il godimento o l’esercizio, in condizioni di parità, dei diritti umani e delle libertà fondamentali in campo politico, economico, sociale e culturale o in ogni altro settore della vita pubblica. Le due forme di discriminazione più antiche e più generalizzate sono quella contro le donne e quella contro gli stranieri in genere (xenofobia). 

Genere. Dal latino genus, -nĕris, affine a gignĕre «generare». Nella classificazione botanica e zoologica, indica la categoria sistematica di rango superiore alla specie e inferiore alla famiglia. Nel suo significato più ampio la nozione comprende in sé più specie o anche ciò che è comune a più specie. In filosofia designa oggetti che hanno in comune proprietà essenziali mentre differiscono per proprietà contingenti. In senso largo e meno scientifico il linguaggio comune usa il termine per riferire l’insieme dei caratteri essenziali per cui una cosa è simile ad altre o differisce da altre (“è un genere di vita che mi piace”; “una battuta di cattivo genere”; “questo genere di cosa non fa per me”). Categoria grammaticale di declinazione dei sostantivi, pronomi e aggettivi nelle lingue indoeuropee, semitiche e in molte altre famiglie linguistiche: tre generi – maschile, femminile e neutro – in latino, greco e tedesco; due nelle lingue moderne come l’italiano e il francese. Per estensione, con riferimento alla specie umana, indica il carattere maschile o femminile dell’individuo, anche in senso biografico, sociale, professionale, come nell’espressione identità di genere, con cui s’intende la costellazione di caratteri anatomo-funzionali, psichici, comportamentali che definiscono il genere in sé stesso e in quanto posseduto, accettato e vissuto dall’individuo nella storia familiare da cui proviene e nella società in cui vive (https://www.treccani.it/vocabolario/genere/).

Inclusività. In senso generale designa gli orientamenti e strategie che mirano a promuovere la compresenza delle diversità nella società e l’apprezzamento verso di esse, in contrasto con le discriminazioni che provengono da pregiudizi sociali, stereotipi o razzismi. Il termine compare da un po’ di anni nei documenti pubblici o aziendali a modo di “parola d’ordine” o garanzia di essere dovutamente aggiornato, o perlomeno di apparire così. 

Minoranze nazionali. Concetto che generalmente definisce, tenendo conto di elementi di carattere storico, tradizioni, costumi e vicende politiche, quei gruppi demici presenti nel territorio di uno Stato che non coincidono con la maggioranza etnico-linguistica o con la prevalente comunità che lo costituisce.

Pregiudizio. Giudizio impreciso o errato, formulato in anticipo alla conoscenza dei fatti o senza una conoscenza sufficientemente approfondita. Può essere positivo o negativo, ma sempre basato su idee preconsce nei confronti di eventi, individui o gruppi. 

Segregazione. Atto mediante il quale una persona (fisica o giuridica) separa altre persone sulla base di alcuni motivi che non hanno una giustificazione oggettiva e ragionevole. 

Stereotipi. Semplificazioni o rigide rappresentazioni di persone o di condotte, tipicamente negative, basate su poche informazioni e altamente generalizzate. Non riferiscono semplicemente le scelte arbitrarie casuali o momentanee, poiché la formazione degli stereotipi richiede un processo lungo di socializzazione e di reiterazioni delle scelte indebite. Di solito gli stereotipi svolgono una funzione difensiva, mirante a conservare le posizioni sociali acquisite da un individuo all’interno o all’esterno di un gruppo; ma si ordinano anche a proteggere l’organizzazione sociale da mutamenti indesiderati. 

Stigmatizzare. Deplorare con frasi aspre e appuntite qualche comportamento o caratteristiche di qualcuno o di un gruppo di persone, quasi a imprimere loro un marchio (stigma) che sminuisce le loro qualità, capacità o valore sociale. Alla base della stigmatizzazione sta il termine “stigma”, che nelle antiche civiltà greche e latine designava il marchio impresso a schiavi fuggitivi e criminali, e che ancora oggi conserva un connotato negativo pubblico e persistente.

Tolleranza. Nell’accezione classica tollerare corrisponde a un principio di giustizia politica che porta l’autorità a non impedire, avendo i mezzi per farlo, un’azione libera contraria al bene di altri individui o di tutta la collettività, col fine di preservare un bene o evitare un male più grande. Oltre a essere un principio di ordine politico, nella sfera intersoggettiva la tolleranza è una virtù umana: l’habitus o capacità acquisita di sopportare con mitezza i difetti o errori altrui. Di comune tra i due ordini sta l’oggetto, che riferisce l’atto esterno – i pensieri o le opinioni, per esempio, non costituiscono materia di tolleranza – e solo leggermente dannoso per la convivenza. Rispetto all’atto contrario a un bene essenziale della persona o della società è un dovere di giustizia di non tollerarlo.