Gemma Calabresi: il coraggio della riconciliazione

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Gemma Calabresi è una donna che ha attraversato una delle esperienze più dolorose che si possano immaginare: la perdita del marito, il commissario Luigi Calabresi, assassinato nel 1972. Ma la sua storia non è solo quella di una vittima del terrorismo; è la storia di una donna che ha scelto di non lasciarsi consumare dall'odio e che ha trovato nel perdono la via per la pace interiore.

Luigi Calabresi era un commissario di polizia impegnato in delicate indagini durante un periodo di forte tensione politica e sociale in Italia, noto come gli 'anni di piombo'. Fu accusato da alcuni ambienti della sinistra radicale di essere responsabile della morte dell'anarchico Giuseppe Pinelli, avvenuta in circostanze mai completamente chiarite durante un fermo di polizia nel 1969. Questa accusa, sebbene mai dimostrata, lo rese bersaglio di una campagna di odio e delegittimazione. Il 17 maggio 1972, mentre usciva dalla sua abitazione a Milano, venne assassinato con diversi colpi di arma da fuoco da un commando di terroristi appartenenti all’organizzazione Lotta Continua.

All'epoca dell'omicidio di suo marito, Gemma era una giovane donna di venticinque anni, con due figli piccoli e un terzo in arrivo. Improvvisamente si trovò sola, in una situazione che avrebbe potuto annientarla. Il dolore era immenso, la paura e la rabbia avrebbero potuto sommergerla. In casi simili, in situazioni drammatiche, la tentazione di odiare, di chiudersi nella disperazione, può diventare irresistibile. Ma Gemma visse inaspettatamente un’esperienza che la condusse a fare una scelta diversa. Come ha ricordato in un’intervista[1]:

Quella mattina, quando mi hanno detto che Gigi era stato ucciso, dopo lo smarrimento totale, mi sono sdraiata sul divano, con accanto il mio parroco don Sandro, e piano piano ho sentito una pace interiore incredibile. Come se Dio mi avesse preso tra le braccia. Non sentivo gli altri piangere, quello che dicevano, la loro rabbia. È stato il dono della fede, a me che fino a quel giorno ero cattolica più per tradizione famigliare. Andavo a Messa, facevo volontariato, ma in quell’ora mi sono sentita amata più di quanto mi potessi immaginare. Poi non è sempre stato così, il dolore era terribile, ma inevitabilmente tornava in mente quel momento e mi dicevo: «Tu lo sai Gemma che Dio c’è, ti è venuto vicino». Ho capito che Dio va da tutti. Ma questa è una scoperta che ho fatto anni dopo.

L'odio non fa altro che imprigionare chi lo prova, lo incatena al passato e lo costringe a vivere nel dolore. Perdonare, invece, significa spezzare queste catene, significa scegliere di non essere più schiavi del male ricevuto.

Il percorso di Gemma sicuramente non fu facile, e d’altra parte bisogna chiarire che perdonare non significa dimenticare, né giustificare il male subito. Significa, piuttosto, scegliere di non restare bloccati nella sofferenza, significa riconoscere che anche chi ha sbagliato può cambiare e decidere di percorrere il cammino della riconciliazione. Scrive ancora Gemma:

[Questo cammino] lo devi volere. Meglio: lo cerchi, cerchi i segni della Sua presenza. In una predica, nel rapporto con gli altri. Io l’ho cercato quando insegnavo religione ai bambini. A un certo punto, mi sono accorta che davo loro un “pacchetto” di amore, di perdono, ma io avevo perdonato davvero? Mi è sembrato di tradirli. La frase del Vangelo: «Padre, perdona loro perché non sanno quello che fanno», che mia mamma mi aveva suggerito per il necrologio e che io avevo accettato soprattutto per spezzare la catena d’odio, ha preso più carne, più vita.

Nel corso della sua vita, Gemma ha scelto di non chiudersi nel dolore, ma di trasformarlo in qualcosa di costruttivo. Ha cresciuto i suoi figli trasmettendo loro il valore della riconciliazione. Ha continuato a vivere con dignità e speranza, testimoniando che anche la ferita più profonda può diventare occasione di rinascita.

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La storia di Gemma Calabresi, che lei stessa ha raccontato nel libro La crepa e la luce (Mondadori 2022), è un messaggio potente per chiunque si trovi a dover affrontare un torto subito, un'ingiustizia, un dolore inflitto da qualcun altro. Perdonare non è facile e non è immediato. A volte ci vogliono anni, a volte una vita intera. Ma è l'unico modo per non restare prigionieri del male. Significa smettere di guardare all'altro come a un nemico, significa credere che ogni persona, anche quella che ha sbagliato, possa cambiare. E significa, soprattutto, ritrovare la libertà interiore, quella che l'odio e la vendetta ci tolgono.

La testimonianza di Gemma non è una lezione astratta, ma una storia vissuta, reale, che mostra come il perdono sia possibile anche nei momenti più bui. Non si tratta di un atto di debolezza, ma di una scelta rivoluzionaria, capace di trasformare non solo la propria vita, ma anche quella di chi ci circonda. La sua vicenda ci insegna che l'amore è più forte per quanto difficile, è la strada che conduce alla vera pace.