L'influsso del "Cantico delle creature" sullo studio della natura

Lino Conti
2013

Il testo in cui la metaforica del libro della natura ha trovato nel Medioevo la sua principale fonte d'ispirazione, di diffusione e di rivalutazione del creato è sicuramente il Cantico di frate sole Cantico delle creature di san Francesco d'Assisi (1181-1226). 

Ritenuto unanimemente uno dei capolavori della letteratura mondiale, il Cantico ha suscitato una selva di interpretazioni, approfondimenti critici e analisi filologiche. A causa della sua massiva densità di "significatione" e della sua portata rivoluzionaria, questo breve testo, fatto di «poche frasi povere e stente che si direbbero scritte da un fanciullo» [1], è diventato ben presto il canto di lode, la preghiera e la visione del mondo che hanno accompagnato la travolgente diffusione del francescanesimo. Pochi altri componimenti poetici hanno plasmato così a fondo, come questa lauda, il sentimento religioso dell'intera Europa.

Il contesto storico in cui si colloca il Cantico è caratterizzato da una fase di grandi trasformazioni politiche, economiche e tecniche. Si assiste ad un notevole incremento demografico e mercantile, accompagnato da un sorprendente progresso tecnico che, con la nuova bardatura del cavallo, con l'aratro pesante a ruote e a versoio asimmetrico e con la rotazione triennale aveva aumentato la capacità produttiva dell'agricoltura. L’inizio dello sfruttamento sistematico di fonti di energia naturale (energia idrica ed eolica) con la diffusione dei mulini ad acqua e a vento, l'invenzione e l'innovazione tecnica (meccanizzazione della produzione del panno, invenzione di camini e focolari, di bottoni, occhiali...) mostravano che fin dal Medioevo l'homo europaeus si apprestava a diventare un homo faber capace di "costruire una civiltà della tecnica"[2]. 

In campo religioso, invece, inerzie, crisi, corruzione dilagante, lotte per il potere temporale e ribellioni di movimenti eretici avevano creato conflitti incapaci di soddisfare il bisogno di rinnovamento morale avvertito da tutti gli strati sociali. Fra i religiosi predominava una rassegnata svalutazione del mondo, della materia e della carne, che aveva trovato ampie risonanze perfino nell'opera del cardinale Lotario di Segni (eletto papa nel 1198 con il nome di Innocenzo III) intitolata De contemptu mundi. Composto presumibilmente tra il 1194 e il 1195, questo libro esprimeva, in un linguaggio duro e con immagini crude e ripugnanti, una concezione della condizione umana dominata da un radicale pessimismo. Nascita, infanzia e persino la maternità sono eventi della biografia umana che suscitano aspre dosi di disgusto. La donna, afferma il cardinale di Segni, “concepit ergo cum immonditia et fetore, parit cum tristitia et dolore, nutrit cum angustia et labore, custodit cum instantia et timore” [3]. Il mondo in cui si affanna l'uomo è privo di senso e di ogni valore. Nulla di ciò che vi si può trovare è esente da colpe e da peccati: “scrutino ed investighino pure i sapienti le altezze dei cieli, l'estensione della terra e la profondità dei mari! Disputino pure su ogni cosa, considerino tutto quanto, sia che apprendano o che insegnino. Ma cosa troveranno in questa vana occupazione se non pena, dolore e afflizione dell'animo?[...] Quell'uomo che non chiude occhio né giorno né notte non può trovare il senso di nessuna opera di Dio e per quanto si affatichi a ricercare ancor meno lo scoprirà” [4]. In alcuni passi del De contemptu mundi emerge un'impostazione dualistica analoga a quella delle dottrine gnostiche. Il valore dell'uomo risiede tutto nello spirito, nell'io oltremondano. Tutto ciò che appartiene al mondo gli è estraneo e nemico. L’uomo è scisso in due metà inconciliabili l'una con l'altra: lo spirito e la carne. La stessa concezione della creazione, filtrata attraverso questo insolubile dualismo, non poteva indurre ad altro che alla svalutazione, al disgusto e al disprezzo del mondo.

È su questo sfondo storico di contemptus mundi, predicato allora da cardinali, eremiti, monaci, catari, patarini e da tanti altri movimenti eretici, che emerge per contrasto il carattere rivoluzionario del pensiero francescano. Il laudario francescano costituisce un vero e proprio cambiamento di paradigma: un salto ontologico in cui il disprezzo del mondo si capovolge in amore per il creato. 

Il Cantico, dopo la Genesi mosaica e il Prologo del Vangelo di san Giovanni, è una delle più alte esaltazione della creazione. E si tratta di un'esaltazione talmente innovativa da segnare una profonda frattura con il passato: un irreversibile cambiamento di rotta rispetto agli orientamenti pessimistici delle tradizionali visioni del creato. Quanto più risuonava il canto delle laudes creaturarum nelle piazze antistanti le chiese medievali, tanto più si dissolvevano le cupe foschie del disprezzo e della svalutazione del mondo. Il Cantico si contrapponeva a tutte le forme di eresie che concepivano la creazione come un processo di degenerazione che raggiungeva, con la produzione della Terra, il suo infimo livello di degradazione. Il mondo, per il laudario francescano, non era vacua apparenza, esisteva realmente perché era stato fatto da Dio. La sua realtà, la sua consistenza ontologica coincidevano con la sua creaturalità. Fondandosi su questa creaturalità il Cantico si contrapponeva tanto al dualismo che al panteismo. Contro il pessimismo dualistico, che faceva del mondo il male assoluto, il prodotto di una divinità malvagia, riaffermava la bontà del creato. Contro l'ottimismo panteistico ribadiva che il mondo, proprio perché possiede una realtà propria diversa da quella di Dio, non poteva essere il bene assoluto. 

Il suo messaggio di straripante gioia per la bellezza del creato diffondeva serenità, ottimismo ed allegria fra gli uomini. San Francesco credeva fermamente che intonando quest'inno nelle piazze e nelle chiese si riuscisse a diffondere fra gli uomini la "gioia dello spirito". Perciò voleva che i suoi frati lo cantassero alla fine di ogni predica. Quel canto, a suo avviso, li avrebbe trasformati in veri "giullari del Signore", rendendoli capaci di spargere la letizia evangelica fra la gente. Il Cantico, insomma, proprio perché elevava il cantore al rango di giullare del Creatore, era destinato a diventare l'inno ufficiale dei "giullari del Signore". L’assidua recitazione di questo prorompente inno d'amore per le creature riportava la natura al centro del sentimento religioso e della riflessione filosofico-teologica, e al contempo abituava a vedere il mondo nell'ottica gioiosa di una creaturalità fatta di universale fratellanza, perfezione, bontà, bellezza, preziosità e utilità. Tutto ciò si traduceva in un profondo riorientamento dei modi di osservare e di interpretare il creato. Con la rapida diffusione del movimento francescano e con l'efficacia di quest'azione di riorientamento delle coordinate culturali il Cantico assunse il ruolo di guida paradigmatica per tutte le indagini sulla creazione. In questo modo, l'inno francescano finì con l'esercitare la funzione di nuovo paradigma della creazione. Divenne, a tutti gli effetti, il nucleo di un programma di ricerca che tracciò direzioni e linee euristiche delle successive indagini medievali sulla struttura della natura. La creaturalità della concreta realtà sensibile fu così riportata al centro del rinnovamento religioso e culturale. Le grandi potenzialità di questo programma troveranno ampie conferme nei risultati delle ricerche esegetiche, teologiche e filosofiche del Duecento e dei secoli successivi. Questi risultati non fornirono nuove conoscenze specialistiche sui fenomeni naturali, ma ebbero l'incomparabile merito di mettere in chiara luce i caratteri essenziali che faranno della natura “un oggetto di conoscenza razionale” e sperimentale.

     


[1] Così definisce il Cantico L. FOSCOLO BENEDETTO, Il Cantico di frate sole, Firenze, Sansoni, 1941, p. 212.
[2] M. BLOCH, Lavoro e tecnica nel Medioevo, tr. it., Roma-Bari, Editori Laterza, 2004, p. 210.
[3] L. DI SEGNI (papa INNOCENZO III), De contemptu mundi, Parma, Pratiche Editrice, 1994, I, VI, 2.
[4] Ibidem, 1, XII, 1-2.

     

da  Lino Conti (a cura di), Natura e scienza nella rivoluzione francescana, Centro Stampa, Perugia 2013, pp. 116-120.