In questo estratto da una conferenza tenuta all’International Symposium in Honor of Robert F. Wilson presso il Fermi National Accelerator Laboratory a Batavia, nell’Illinois, l’astrofisico indiano Subrahmanyan Chandrasekhar, premio Nobel per la fisica, formula alcune interessanti considerazioni sulla rilevanza dei valori estetici in ambito scientifico. In particolare, partendo da una osservazione del fisico e matematico Hermann Weyl, Chandrasekhar nota come, nella formulazione delle teorie scientifiche, vadano tenuti in considerazione due principi distinti: verità e bellezza. Ma lungi dal contrapporre l’una all’altra, l’autore afferma che spesso la bellezza è un indizio di verità: quand’anche la teoria non sia stata ancora validata, valori come eleganza, equilibrio e armonia possono mettere il ricercatore sulla strada giusta, rendendo preferibile una formulazione rispetto a un’altra. Lo scienziato non deve rinunciare alla verità per la bellezza, ma deve lasciarsi condurre da quest’ultima alla scoperta della natura. Il bello va considerato allora come traccia sensibile di un ordine intelligibile inscritto nella realtà.
La scoperta della teoria della relatività generale da parte di Einstein è stata descritta da Hermann Weyl come un esempio supremo del potere del pensiero speculativo, mente Landau e Lifšitz la considerano come probabilmente la più bella fra tutte le teorie fisiche esistenti. E lo stesso Einstein scrisse al termine del primo articolo in cui annunciava le sue equazioni di campo: “Difficilmente chiunque comprenda a fondo questa teoria può sottrarsi alla sua magia”. Passerò in seguito a considerare dove risieda la fonte di questa magia.[…] Una volta Weyl disse a Freeman Dyson, a quanto ricorda quest’ultimo: “Nelle mie ricerche mi sforzai sempre di unire il vero al bello; ma quando dovetti scegliere fra l’uno e l’altro, di solito scelsi il bello”. Io chiesi a Dyson se Weyl gli avesse fatto un esempio in proposito. Appresi così che l’esempio fatto da Weyl era stato quello della sua teoria di gauge della gravitazione; essa era nondimeno così bella che egli non voleva abbandonarla e quindi la conservò per la sua bellezza. In seguito l’istinto di Weyl si rivelò giusto, quando il formalismo dell’invarianza di gauge fu incorporato nell’elettrodinamica quantistica.
Un altro esempio, non menzionato da Weyl ma su cui Dyson richiamò l’attenzione, è l’equazione d’onda relativistica a due componenti del neutrino. Per una trentina d’anni i fisici ignorarono quest’equazione di Weyl perché violava l’invarianza di parità. Ancora una volta risultò che l’istinto di Weyl era giusto.
Abbiamo quindi delle prove che una teoria sviluppata da uno scienziato dotato di sensibilità estetica eccezionalmente ben sviluppata può risultare vera anche se non sembrava tale al tempo della sua formulazione. Come scrisse molto tempo fa Keats, “ciò che l’immaginazione coglie come bellezza dev’essere verità, sia essa esistita o no in precedenza”.
È in effetti incredibile che ciò che la mente umana, nei suoi stati più profondi, percepisce come bello trovi la sua realizzazione nella natura esterna.
Quel che è intelligibile è anche bello.
S. Chandrasekhar, Verità e bellezza. Le ragioni dell’estetica nella scienza, Garzanti, Milano 1990, pp. 104-106.