Che cos’è il “principialismo”?

Pablo Requena
2016

Il principialismo è il modello di bioetica che si propone di risolverei dilemmi morali attraverso l’assunzione di alcuni principi universali, detti prima facie, che nella loro formulazione canonica sono: il principio di rispetto dell’autonomia, il principio di non-maleficenza, il principio di beneficenza e il principio di giustizia. La proposta paradigmatica del principialismo risale a Tom L. Beauchamp e James F. Childress la cui opera Principles of Biomedical Ethics, apparsa per la prima volta nel 1979, ha avuto in meno di venticinque anni sette edizioni. Il termine principialismo infatti fu coniato facendo riferimento alla formulazione di quei principi. Perciò, anche se nell’ambito della bioetica si annoverano altri modelli che potrebbero rientrare in questa denominazione, quello di Beauchamp e Childress sarà il modello elettivo studiato in questa voce. […]

Breve presentazione dei princìpi

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Tom Lamar Beauchamp (Austin, 1939)

a) Il principio del rispetto della autonomia. – Questo principio appare come la novità fondamentale della bioetica rispetto alla etica medica classica, che poggiava fondamentalmente sulla beneficenza (e non-maleficenza). Esso presuppone un vero imperativo morale per il personale sanitario che non dovrebbe mai trattare i soggetti autonomi con minore considerazione di quella che meritano. Il principio del rispetto della autonomia, o semplicemente principio di autonomia, ha un contenuto negativo e un altro positivo. Da una parte ci insegna che le azioni autonome non devono essere controllate da altri, in secondo luogo indica pure che si devono rispettare le visioni e i diritti degli individui, sempre che i loro pensieri e le loro azioni non rechino serio danno alle altre persone. Questi contenuti generali pervengono mediante il processo di specificazione a formulazioni più concrete, quali l’obbligo di dire il vero, di rispettare la vita privata degli altri, di proteggere le informazioni confidenziali e di ottenere il consenso per gli interventi sui pazienti. Il nucleo delle questioni che riguardano questo principio è costituito dal consenso informato, che ha tanta importanza nel rapporto medico-paziente.
Le radici filosofiche del principio d’autonomia vanno ricercate nella filosofia moderna mentre su questo punto Beauchamp e Childress non conducono studi particolareggiati. Essi si limitano a citare Kant e Mills come autori di riferimento.

b) Il  principio di  non-maleficenza. – Corrisponde, nella tradizione etica medica, al classico adagio primum  non nocere, presente già nella scuola ippocratica, che indica l’obbligo di non causare danno durante gli interventi medici. Il suo contenuto si riferisce fondamentalmente al danno fisico, al dolore, all’invalidità e alla morte.
All’interno di questo principio si valutano le problematiche che riguardano l’azione sanitaria in quelle circostanze dove l’intervento medico non riesce a conseguire in modo adeguato il suo scopo, e si chiede la giustificazione per modificare o continuare una certa terapia. In questo contesto, Beauchamp e Childress criticano molte delle distinzioni classiche dell’etica medica, che sostituiscono per l’altra tra terapie opzionali e terapie obbligatorie. Il criterio chiave per la determinazione dei diversi interventi è quello della qualità di vita: quando questa è così bassa che l’effettuazione degl’interventi sanitari produrrà più danni che benefici, è giusto non cominciarli, o nel caso siano già stati iniziati, interromperli. Un capitolo di speciale interesse all’interno di questo principio lo occupano le questioni che riguardano l’uccidere e il lasciar morire. Gli autori del principialismo sono dell’opinione che questa distinzione non abbia valore morale, e giustificano in alcuni casi estremi l’aiuto al malato per procurarsi la morte.

c) Il principio di beneficenza. – La beneficenza occupa un luogo centrale nella tradizione ippocratica, e ha pervaso l’etica medica dalle sue origini fino ad oggi. Per molti secoli il conseguimento del bene del paziente è stato considerato come l’atteggiamento da esigere dal medico nei confronti del malato. Il pensiero moderno ha messo un po’ in crisi questo principio basilare, nel tentativo di sottolineare l’autonomia dell’individuo. In questo modo la beneficenza è cominciata con l’apparire come paternalismo medico, nel quale il paziente ha soltanto un ruolo passivo e al medico spetta il compito di prendere tutte le decisioni. All’interno di questo contesto culturale, il principialismo continua a parlare di obblighi di beneficenza propri del personale sanitario. Nella specificazione del principio sostiene di proteggere e difendere i diritti degli altri, di prevenire possibili danni, eliminare quelle condizioni che possono provocarli, aiutare gli handicappati e proteggere quelli che si trovano in pericolo.
La specificazione in questo caso risulta più complessa che mai, se si tiene presente quello che è stato scritto riguardo al principio di autonomia. Infatti non risulta chiaro in qual modo si debbano attuare gli obblighi di beneficenza.

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James Franklin Childress (Mount Airy, 1940)

d) Il principio di giustizia. – Come ultimo dei principi, esso include questioni morali che, anche se presenti nella tradizione etica classica, appaiono relativamente nuove nell’ambito dell’etica medica. La giustizia nella sua formulazione abituale indica che gli uguali devono essere trattati in modo uguale e i disuguali in modo diseguale. La difficoltà di tale assunto è evidente quando si vuole passare dal piano formale alle formulazioni concrete. Nel loro testo, Beauchamp e Childress rivedono le diverse concezioni della giustizia presenti nella filosofia morale attuale, per concludere che nessuna di esse contiene una visione completa della vita morale. In alternativa, i due autori propongono la “regola della giusta opportunità” di N. Daniels, che suggerisce una concezione della giustizia dove nessuno riceva benefici sociali in base a proprietà o capacità personali di cui non sia responsabile. Anche in questo caso, le indicazioni concrete per la pratica medica abituale sono piuttosto scarse. Nell’ambito di questo principio si propone pure il diritto a un minimo decente di assistenza sanitaria.

La  critica al  principialismo

La grande diffusione del principialismo nelle decade degli anni Ottanta e Novanta comportò assieme alla buona accettazione da parte di molti autori dell’ambito della bioetica, e di tanti altri che lavorano nelle scienze biomediche, l’insorgenza di alcune voci critiche. Tra tutte spicca senza alcun dubbio l’articolo che nel 1990 scrissero D. Clouser e B. Gert, A Critique of Principlism, che è servito come traccia in cui si sono ispirati molti altri. Beauchamp e Childress hanno sempre accolto le osservazioni critiche con grande interesse per correggere quegli aspetti della loro proposta che non fossero del tutto convincenti, o potessero mancare di coerenza. Per questo ogni edizione introduce delle revisioni che tentano di venir incontro alle possibili obiezioni. Tuttavia, alcune delle critiche rivolte al principialismo sono di natura sostanziale, e difficilmente superabili senza un cambiamento profondo di alcune delle premesse del modello originario.[…]

Critiche in rapporto alla considerazione dell’atto morale. – […] Queste critiche dimostrano che il principialismo manca di una chiara teoria dell’azione; una teoria, cioè, che spieghi quali sono gli elementi essenziali che costituiscono gli atti umani, e come essi debbano essere valutati moralmente. È chiaro che non si può pretendere da un libro di bioetica l’esposizione di ogni parte essenziale dell’etica. Ma il problema insito nel principialismo non è tanto la mancanza di spiegazioni, quanto il fatto che le affermazioni che fa risultino a volte contraddittorie proprio per un difetto nel modo di considerare l’atto umano. Un esempio di questo problema emerge nell’analisi che gli autori fanno delle questioni relative all’uccidere e al lasciar morire. Da una parte si sostiene che la bontà o cattiveria morale delle azioni che si considerano con questi termini non dipendano dal tipo di azione messa in atto, ma dalle giustificazioni addotte. Dall’altra si dice che esistono azioni che sempre sono cattive, quali l’assassinio. Con la prima affermazione si vuole negare il ruolo fondamentale dell’oggetto morale, lasciando tutto il peso della moralità sui motivi dell’agire e sulle conseguenze. Con la seconda impostazione si accetta che alcune azioni siano cattive proprio per il loro oggetto morale. Beauchamp e Childress hanno ragione quando sostengono che l’azione considerata nella sua descrizione fisica non la si può valutare moralmente, tuttavia non pervengono al concetto morale (non fisico) di oggetto dell’azione (all’elemento dell’azione che risponde alla domanda su: che cosa stai facendo).
Questa mancata considerazione dell’oggetto morale proprio delle azioni va contro la nostra esperienza comune, e complica di molto la valutazione morale. Essa contrasta con l’esperienza perché ogni nostra azione equivale ad una scelta per raggiungere un dato fine. Infatti, possiamo sempre rispondere alla domanda “cosa stai facendo?”, che corrisponde appunto all’oggetto morale. Dall’altra parte, la valutazione morale si complica in quanto le norme si riferiscono principalmente agli oggetti delle azioni, e soltanto secondariamente alle motivazioni e alle conseguenze (che sono pure importanti, ma non possono portare tutto il peso morale dell’atto). Conseguenza di questa manchevole considerazione dell’atto morale, è il ricorso ad eccezioni che non sarebbero necessarie per giustificare certi comportamenti. Un esempio chiaro di questa incongruenza è la legittima difesa: per Beauchamp e Childress si tratta di una eccezione della norma che vieta l’uccisione, mentre laddove c’è una concezione più adeguata dell’atto morale, non si considera la legittima difesa un’eccezione perché l’oggetto morale di quell’azione non rientra nel divieto di uccidere.
Le descrizioni degli oggetti delle azioni possono essere in certi casi estremamente complicate, ma non si deve rifiutare l’impegno necessario per studiarle sempre meglio. Altrimenti si scivola lungo il pendio che conduce a giustificare le azioni solamente per le loro motivazioni e le loro conseguenze.

P. Requena, Principialismo, in Tarantino A., Sgreccia E. (a cura di), Enciclopedia di Bioetica e Scienze Giuridiche, vol. 10, Edizioni Scientifiche Italiane, Napoli 2016, pp. 592 - 603.