Gian Lorenzo Bernini (Napoli 1598 - Roma 1680)
Transverberazione di Santa Teresa d’Avila
1647-1652
Marmo
Roma, Chiesa di Santa Maria della Vittoria, Cappella Cornaro
Il gruppo scultoreo, collocato all’interno della nicchia d’altare, fa parte della cappella funeraria del cardinale veneziano Federico Corner, nel transetto sinistro della chiesa carmelitana di Santa Maria della Vittoria. L’eccezionalità della cappella è data dall’espediente di unificare i diversi linguaggi artistici (pittura, scultura, architettura, arti decorative) per creare una dimensione teatrale che coinvolga lo spettatore attraverso i sensi. È la “macchina barocca delle arti”.
Il gruppo scultoreo costituisce il culmine dell’azione drammatica che si svolge come un tableau vivant nell’intera cappella: Teresa è investita da un fascio di luce proveniente dall’alto, che si riverbera sulla raggera dorata, ed è pervasa dall’amore divino impersonato dall’angelo-Cupido che le sta per trafiggere il cuore con una freccia dorata. L’estasi della santa è resa con notevole capacità di introspezione psicologica come si nota nella testa rovesciata e nella bocca semiaperta, secondo un’invenzione che Bernini svilupperà un ventennio più tardi nella Beata Ludovica Albertoni (Roma, San Francesco a Ripa).
Può sembrare strano che per parlare di Dio, la realtà più spirituale di tutte, ci sia utile osservare una scultura, un blocco di marmo, materia dura e pesante, per definizione concreta. Eppure l’artista desidera trasmettere che l’esperienza di Dio è proprio così: non un pensiero, un ragionamento astratto, ma un incontro quasi fisico, corporeo, reale.
Vediamo di fronte a noi una donna in abito monastico, Teresa d’Avila (1515-1582), tra le più note mistiche cristiane, colpita al cuore dalla freccia che l’angelo alla sua destra ha appena sfilato dal suo petto. Teresa non resiste all’urto dell’incontro con Dio e il suo viso riflette uno stato di abbandono, pieno di sofferenza ma allo stesso tempo illuminato da una indefinibile gioia. Accanto a lei, l’angelo ha un sorriso misterioso: «Il Signore, durante tali trasporti, volle concedermi alcune volte questa visione: vedevo un angelo, posto vicino a me, al lato sinistro, in forma corporea, immagine per me assai rara […] non era grande, ma piccolo, molto bello, il volto tanto acceso da sembrare uno degli angeli più elevati che sembra brucino tutti d’amore» [1].
L’esperienza che fa Teresa è un incontro d’amore con Dio. Una gioia non semplicemente umana, così profonda e sconvolgente che, nella sua intensità, la gioia si confonde con il dolore, il fascino con il timore, il desiderio con la paura. Si riproduce in Teresa d’Avila ciò di cui parlano tutti gli studiosi di fenomenologia della religione: l’incontro con il sacro è tremendo, ma anche affascinante, irresistibile. Solitamente, davanti a un’esperienza così forte, verrebbe voglia di fuggire. Ma non è così per Teresa: «l’anima mai d’altro si sarebbe accontentata che di Dio. Non è un dolore fisico, ma spirituale, pur non mancando il corpo di parteciparvi, e molto. […] Non volevo vedere né parlare, ma abbandonarmi al mio tormento, che mi pareva la gioia più grande della terra» [2].
Il marmo scolpito da Bernini ci racconta, attraverso questi sentimenti apparentemente contraddittori, il dinamismo dell’amore che sempre – e non solo nel caso di Teresa – conduce a una ek-stasis, a un “uscire fuori” da noi stessi per incontrare l’Altro. L’esperienza di Dio di cui ci parla quest’opera in modo così travolgente, non è riservata, tuttavia, soltanto a pochi individui speciali, come il caso di questa mistica.
Altri santi e altri testimoni parlano di un incontro con Dio nel quotidiano, nella vita ordinaria, in ciò che sembra totalmente naturale e profano, ma gli occhi della fede riconoscono come straordinario, gratuito, sacro. Per tutti costoro, la realtà spirituale si fa materiale, si incarna, così come l’esperienza di Teresa si fissa nello spettacolo barocco realizzato da Bernini, che cerca di comunicare, per quanto possibile, quel che Teresa ha provato. L’incontro con Dio, in sé è impossibile da comunicare, si rende visibile attraverso i suoi effetti reali nei volti, nei gesti, nelle vite di chi è stato toccato da Lui. E, conclude Teresa nelle sue note spirituali,«sia per sempre benedetto il Signore che concede tante grazie a chi corrisponde così malamente ai suoi doni» [3].
[1] Teresa d’Avila, Libro de la vida, in Tutte le opere, a cura di M. Bettetini, Bompiani, Milano 2018, cap. 29, n. 13, p. 461.
[2] ivi, p. 463.
[3] ibidem.