(Lorenzo’s Oil, USA 1992, col, 135’, regia di George Miller, con N. Nolte, S. Sarandon, P. Ustinov, K. Wilhoite, G. Bamman, M. Martindale, Z. O’Malley Greenburg).
Tratto da una storia realmente accaduta, il film racconta la vicenda di Michaela e Augusto Odone che, per salvare il figlio Lorenzo da una rara malattia degenerativa del cervello di origine genetica (l’adrenoleucodistrofia), intraprendono con coraggio e determinazione una serie di ricerche, giungendo a risultati che superano quanto diagnosticato seguendo i protocolli medici ufficiali. Il rimedio individuato dai genitori di Lorenzo, sostenuto dall’affetto e dalla dedizione di fronte alla fragilità e alla malattia del figlio, riuscirà a rovesciare un verdetto medico che sembrava ineluttabile.
Perché il dolore? E soprattutto: perché la sofferenza di un bambino? Questi interrogativi colpiscono sempre la nostra coscienza ma senza dubbio diventano particolarmente urgenti quando ci riguardano da vicino, quando colui che soffre è qualcuno che amiamo. È questa la drammatica situazione che si trovano a fronteggiare Michaela e Augusto Odone, genitori del piccolo Lorenzo, a cui viene diagnosticata una malattia terribile. In poco tempo il loro bambino avrebbe perso le principali funzioni cerebrali, in pochi mesi sarebbe morto a causa di una malattia rara e poco conosciuta. Davanti al terribile verdetto dei medici, i genitori di Lorenzo non si lasciano sopraffare dallo sconforto ma decidono di fare tutto il possibile per salvare il figlio. La fragilità del loro bambino non li porta a chiudersi in se stessi ma a incontrare altri genitori che come loro vivono la drammatica esperienza della malattia di un figlio. Eppure, neanche in questo caso Michaela e Augusto scelgono la via più semplice: non si accontentano di condividere e di confortarsi a vicenda con le altre famiglie. I genitori di Lorenzo decidono invece di agire, di contrastare il male con l’unico mezzo a loro disposizione: lo studio. Senza alcuna competenza medica, i due genitori fanno ricerche, approfondiscono e formulano interrogativi, che rivolgono ai dottori già impegnati nel combattere questa malattia. La caparbietà che dimostrano nel voler capire è segno di forza ma in realtà nasce proprio dalla loro debolezza, dal riconoscersi fragili e impotenti di fronte al dolore dell’altro. Nella loro disperazione, i genitori di Lorenzo intraprendono un cammino di studio e conoscenza a vantaggio non solo del proprio figlio, ma anche di tutti coloro che potranno giovarsi delle cure che riusciranno a scoprire. Talvolta le ricerche dei genitori entreranno in contrasto con i protocolli scientifici seguiti dai medici, ma senza che il confronto, anche duro, tra i protagonisti e gli studiosi che incontrano sul loro cammino, degeneri in scetticismo nei confronti della scienza. Il sapere scientifico mostra così, anch’esso, il suo lato fragile. Esso è sempre perfettibile, mai compiuto: non deve ridursi a un mero protocollo, divenendo ricerca astratta, ma rimanere in contatto con le domande che provengono dai bisogni della persona. I genitori, con la loro determinazione, non sfidano la scienza ma – come dimostrano le iniziative da loro promosse, fra cui il primo simposio internazionale sulla adrenoleucodistrofia – fungono da costante stimolo per gli studiosi che si impegnano a trovare una cura. La fragilità fisica del bambino malato, la vulnerabilità dei genitori, la necessità di un radicamento della scienza nelle motivazioni profonde costituite dalla cura e dalla promozione della vita umana, sono altrettante occasioni in cui la fragilità si ribalta in opportunità di crescita. E, soprattutto, la fragilità dell’altro è un costante richiamo, una sollecitazione e un invito ad amare, a impegnare la propria vita per il bene di chi soffre.