Libro di Geremia (1,4-12.18-19)
Dio sceglie i profeti prima della loro nascita, li conosce e li elegge quando sono ancora nel seno della loro madre. Dio rivolge la sua Parola al suo popolo attraverso il ministero di uomini che sceglie, assiste, sostiene, conferendo loro forza e carismi. Ogni storia di vocazione, quelle di Geremia, Isaia, Zaccaria o Ezechiele, sono storie in cui Dio rivela un destino, mette in luce un progetto, manifesta un piano custodito da sempre, prima della fondazione del mondo. La parola divina seduce il profeta, lo attrae, lo conquista, ma la risposta umana resta in tutto libera e responsabile. Egli può, come Geremia, seguire l’invito divino, oppure rifiutarlo e scappare, come Giona, per poi ravvedersi e riprendere il cammino. In questo passo, che descrive la vocazione di Geremia, nato attorno al 650 a.C. da una famiglia sacerdotale che operava nei pressi di Gerusalemme, l’autore sacro sottolinea l’iniziativa di Dio, mettendo in risalto come la giovane età del profeta e la sua apparente inadeguatezza non saranno di ostacolo ai piani di salvezza che Dio ha previsto per il suo popolo, perché Egli stesso arricchirà Geremia dei doni necessari per svolgere il suo ministero. Geremia ha un destino, conosciuto e voluto da Dio fin dall’eternità, ma dovrà corrispondervi con la sua piena libertà.
Mi fu rivolta questa parola del Signore:
"Prima di formarti nel grembo materno, ti ho conosciuto,
prima che tu uscissi alla luce, ti ho consacrato;
ti ho stabilito profeta delle nazioni".
Risposi: "Ahimè, Signore Dio!
Ecco, io non so parlare, perché sono giovane".
Ma il Signore mi disse: "Non dire: "Sono giovane".
Tu andrai da tutti coloro a cui ti manderò
e dirai tutto quello che io ti ordinerò.
Non aver paura di fronte a loro,
perché io sono con te per proteggerti".
Oracolo del Signore.
Il Signore stese la mano
e mi toccò la bocca,
e il Signore mi disse:
"Ecco, io metto le mie parole sulla tua bocca.
Vedi, oggi ti do autorità
sopra le nazioni e sopra i regni
per sradicare e demolire,
per distruggere e abbattere,
per edificare e piantare".
Mi fu rivolta questa parola del Signore: "Che cosa vedi, Geremia?". Risposi: "Vedo un ramo di mandorlo". Il Signore soggiunse: "Hai visto bene, poiché io vigilo sulla mia parola per realizzarla".[...]
Ed ecco, oggi io faccio di te
come una città fortificata,
una colonna di ferro
e un muro di bronzo
contro tutto il paese,
contro i re di Giuda e i suoi capi,
contro i suoi sacerdoti e il popolo del paese.
Ti faranno guerra, ma non ti vinceranno,
perché io sono con te per salvarti".
Oracolo del Signore.
Vangelo di Luca (5,1-11)
Il vangelo secondo Luca descrive con questo episodio la chiamata dei primi discepoli da parte di Gesù di Nazaret. Pietro, Giacomo, Giovanni, Andrea. Quest’ultimo, che sappiamo fratello di Simon Pietro, non è nominato, ma è nella barca di Pietro, come rivelato dall’uso dei verbi al plurale: “fecero cenno ai compagni, perché venissero ad aiutarli”. Si tratta di giovani, perché il padre di Giacomo e Giovanni, Zebedeo, ha ancora forze sufficienti per uscire a pescare con i figli e trascorrere la notte con loro, al largo. Come i profeti dell’Antico Testamento, anche i discepoli che Gesù chiama a sé posseggono un destino, che viene qui in luce attraverso una chiamata, una vocazione. L’invito rivolto loro da Gesù fa precipitare la loro storia, ponendoli di fronte ad una scelta: seguirlo, lasciando tutto, oppure continuare per la loro strada, come faranno altri. Il miracolo di una pesca inaspettata, al mattino, quando ormai le barche rientrano e i pescatori esperti sanno che è finito il momento di pescare, scuote i protagonisti dell’episodio. Avevano sentito parlare di Gesù e probabilmente lo avevano ascoltato in altre occasioni. Adesso sperimentano la sua personalità da vicino e lo riconoscono soggetto di un’autorità che viene da Dio.
Mentre la folla gli faceva ressa attorno per ascoltare la parola di Dio, Gesù, stando presso il lago di Gennèsaret, vide due barche accostate alla sponda. I pescatori erano scesi e lavavano le reti. Salì in una barca, che era di Simone, e lo pregò di scostarsi un poco da terra. Sedette e insegnava alle folle dalla barca.
Quando ebbe finito di parlare, disse a Simone: "Prendi il largo e gettate le vostre reti per la pesca". Simone rispose: "Maestro, abbiamo faticato tutta la notte e non abbiamo preso nulla; ma sulla tua parola getterò le reti". Fecero così e presero una quantità enorme di pesci e le loro reti quasi si rompevano. Allora fecero cenno ai compagni dell'altra barca, che venissero ad aiutarli. Essi vennero e riempirono tutte e due le barche fino a farle quasi affondare. Al vedere questo, Simon Pietro si gettò alle ginocchia di Gesù, dicendo: "Signore, allontànati da me, perché sono un peccatore". Lo stupore infatti aveva invaso lui e tutti quelli che erano con lui, per la pesca che avevano fatto; così pure Giacomo e Giovanni, figli di Zebedeo, che erano soci di Simone. Gesù disse a Simone: "Non temere; d'ora in poi sarai pescatore di uomini". E, tirate le barche a terra, lasciarono tutto e lo seguirono.
Vangelo di Giovanni (17,1-5.22-26)
I versetti che seguono sono tratti da una delle pagine più incredibili dei vangeli: Gesù di Nazaret chiama Dio “suo” padre e dialoga con Lui facendosi uguale a Lui. Il colloquio è riportato dal discepolo Giovanni, presente nell’orto del Getsemani, e si svolge la notte fra giovedì e venerdì, nelle ore che precedono la cattura, il processo e la crocifissione di Gesù di Nazaret, avvenuta un venerdì, il 14 del mese di Nisan. Gesù si esprime con toni e contenuti che non sono paragonabili a quelli impiegati da altri fondatori di religione, profeti o uomini di Dio: egli si dichiara Figlio uguale al Padre, presente accanto a Dio-Padre fin dall’eternità, “prima che il mondo fosse”. Gesù dichiara di aver ricevuto dal Padre la missione di riunire tutti i suoi discepoli, in realtà tutti gli uomini, perché siano una cosa sola e raggiungano la felicità della gloria. A questa felicità Dio-Padre li ha destinati da sempre, prima della fondazione del mondo. Le parole di Gesù di Nazaret lasciano trasparire, in modo esplicito, il destino di tutto il genere umano: partecipare della vita stessa di Dio, entrare nelle relazioni eterne che legano il Padre e il Figlio. Perché questo destino si compia, Gesù consumerà il suo sacrificio, per il perdono dei peccati del mondo, consegnandosi alla morte e risorgendo dai morti la mattina del primo giorno dopo il sabato.
Così parlò Gesù. Poi, alzàti gli occhi al cielo, disse: "Padre, è venuta l'ora: glorifica il Figlio tuo perché il Figlio glorifichi te. Tu gli hai dato potere su ogni essere umano, perché egli dia la vita eterna a tutti coloro che gli hai dato. Questa è la vita eterna: che conoscano te, l'unico vero Dio, e colui che hai mandato, Gesù Cristo. Io ti ho glorificato sulla terra, compiendo l'opera che mi hai dato da fare. E ora, Padre, glorificami davanti a te con quella gloria che io avevo presso di te prima che il mondo fosse.
[...]
E la gloria che tu hai dato a me, io l'ho data a loro, perché siano una sola cosa come noi siamo una sola cosa. Io in loro e tu in me, perché siano perfetti nell'unità e il mondo conosca che tu mi hai mandato e che li hai amati come hai amato me.
Padre, voglio che quelli che mi hai dato siano anch'essi con me dove sono io, perché contemplino la mia gloria, quella che tu mi hai dato; poiché mi hai amato prima della creazione del mondo.
Padre giusto, il mondo non ti ha conosciuto, ma io ti ho conosciuto, e questi hanno conosciuto che tu mi hai mandato. E io ho fatto conoscere loro il tuo nome e lo farò conoscere, perché l'amore con il quale mi hai amato sia in essi e io in loro".
Lettera agli Efesini (1,3-12)
La Lettera agli Efesini, scritta da Paolo di Tarso a Roma, fra gli anni 61 e 63, si apre con un inno cristologico di notevole solennità e di alto contenuto spirituale. Paolo descrive il progetto che Dio ha per ogni essere umano, avendo predestinato ciascuno ad essere suo “figlio adottivo”, configurandolo al suo Figlio naturale, Gesù, Verbo del Padre fatto uomo. Ogni essere umano è stato scelto “prima della creazione del mondo”, predestinato ad essere santo, nel suo Figlio. Tale destino è parte di un progetto di respiro cosmico, un progetto custodito nel silenzio di Dio, da sempre, ma ora rivelato nel Figlio fatto uomo, morto e risorto: ricapitolare tutte le cose nel suo Figlio e manifestare la sua capitalità sulla creazione. Di particolare intensità il verbo greco qui impiegato, “ricapitolare” tutte le cose in Cristo (anakephalaiosastai ta panta en to Christo). Il progetto del Padre consiste nel “ridare un capo”, ma anche “sommare e raccogliere come fa il capitolo di un libro” che si avvolge, “riportare verso l’alto”, “riordinare”, “condurre a compimento”. Quest’opera di portata globale, il Padre la realizza nel sacrificio pasquale del suo Figlio, attraverso il mistero della sua morte e risurrezione, datosi “nella pienezza dei tempi”. Tutto l’universo è pertanto destinato a tale ricapitolazione, preludio di un mondo rigenerato, nel quale la capitalità del Figlio conferisce pace, ordine e salvezza ad ogni cosa.
Benedetto Dio, Padre del Signore nostro Gesù Cristo,
che ci ha benedetti con ogni benedizione spirituale nei cieli in Cristo.
In lui ci ha scelti prima della creazione del mondo
per essere santi e immacolati di fronte a lui nella carità,
predestinandoci a essere per lui figli adottivi
mediante Gesù Cristo,
secondo il disegno d'amore della sua volontà,
a lode dello splendore della sua grazia,
di cui ci ha gratificati nel Figlio amato.
In lui, mediante il suo sangue,
abbiamo la redenzione, il perdono delle colpe,
secondo la ricchezza della sua grazia.
Egli l'ha riversata in abbondanza su di noi
con ogni sapienza e intelligenza,
facendoci conoscere il mistero della sua volontà,
secondo la benevolenza che in lui si era proposto
per il governo della pienezza dei tempi:
ricondurre al Cristo, unico capo, tutte le cose,
quelle nei cieli e quelle sulla terra.
In lui siamo stati fatti anche eredi,
predestinati - secondo il progetto di colui
che tutto opera secondo la sua volontà -
a essere lode della sua gloria,
noi, che già prima abbiamo sperato nel Cristo.
Prima lettera di Pietro (1,6-21)
È assai probabile che la prima Lettera di Pietro raccolga il testo di un’omelia tenuta in una veglia pasquale, in occasione del battesimo amministrato ai catecumeni, al termine della loro preparazione. Contiene pertanto un riepilogo della vocazione cristiana, del ruolo che i cristiani sono chiamati a svolgere nel mondo. I versetti qui riportati parlano dell’intreccio di “due destini”, quello del Figlio, predestinato da Dio a redimere l’umanità mediante il sacrificio della croce, e quello di ogni cristiano, al quale è destinata la grazia del perdono e dell’amore misericordioso di Dio. Pur datosi nella storia, il sacrificio del Figlio appartiene ad un disegno arcano: “Egli fu predestinato prima della fondazione del mondo, ma si è manifestato negli ultimi tempi per voi”. Quanto destinato ai credenti, che sono entrati in rapporto con il Risorto e i suoi meriti, è stato preparato a lungo nei tempi precedenti, mediante promesse e figure, ma adesso rivelato in favore di coloro che hanno aderito nella fede al Figlio.
Perciò siete ricolmi di gioia, anche se ora dovete essere, per un po' di tempo, afflitti da varie prove, affinché la vostra fede, messa alla prova, molto più preziosa dell'oro - destinato a perire e tuttavia purificato con fuoco - torni a vostra lode, gloria e onore quando Gesù Cristo si manifesterà. Voi lo amate, pur senza averlo visto e ora, senza vederlo, credete in lui. Perciò esultate di gioia indicibile e gloriosa, mentre raggiungete la mèta della vostra fede: la salvezza delle anime.
Su questa salvezza indagarono e scrutarono i profeti, che preannunciavano la grazia a voi destinata; essi cercavano di sapere quale momento o quali circostanze indicasse lo Spirito di Cristo che era in loro, quando prediceva le sofferenze destinate a Cristo e le glorie che le avrebbero seguite. A loro fu rivelato che, non per se stessi, ma per voi erano servitori di quelle cose che ora vi sono annunciate per mezzo di coloro che vi hanno portato il Vangelo mediante lo Spirito Santo, mandato dal cielo: cose nelle quali gli angeli desiderano fissare lo sguardo.
Perciò, cingendo i fianchi della vostra mente e restando sobri, ponete tutta la vostra speranza in quella grazia che vi sarà data quando Gesù Cristo si manifesterà. Come figli obbedienti, non conformatevi ai desideri di un tempo, quando eravate nell'ignoranza, ma, come il Santo che vi ha chiamati, diventate santi anche voi in tutta la vostra condotta. Poiché sta scritto: Sarete santi, perché io sono santo.
E se chiamate Padre colui che, senza fare preferenze, giudica ciascuno secondo le proprie opere, comportatevi con timore di Dio nel tempo in cui vivete quaggiù come stranieri. Voi sapete che non a prezzo di cose effimere, come argento e oro, foste liberati dalla vostra vuota condotta, ereditata dai padri, ma con il sangue prezioso di Cristo, agnello senza difetti e senza macchia. Egli fu predestinato già prima della fondazione del mondo, ma negli ultimi tempi si è manifestato per voi; e voi per opera sua credete in Dio, che lo ha risuscitato dai morti e gli ha dato gloria, in modo che la vostra fede e la vostra speranza siano rivolte a Dio.
Apocalisse (21,1-14)
Scritto dal discepolo Giovanni durante il suo esilio all’isola di Patmos, in un periodo compreso fra gli anni 70 e 95, e dunque fra gli imperi di Nerone e di Domiziano, il libro dell’Apocalisse descrive la situazione dei discepoli di Gesù di Nazaret, cioè della Chiesa, in un’epoca di forte persecuzione religiosa, avendo però come sfondo l’intera storia del genere umano. L’incoraggiamento ai fratelli perseguitati sfocia nelle visioni finali del libro, nelle quali il discepolo trasmette la rivelazione (apocalipsis) del destino futuro, quello di un mondo nuovo e di una terra nuova, rappresentati dalla “Gerusalemme celeste”, dimora eterna di Dio con gli uomini. Il destino dell’intera creazione è quello di essere trasfigurata verso una “nuova creazione”, nella quale non saranno più presenti il peccato, il dolore, la morte. È questo il “compimento” verso cui la creazione, fin dalla sua origine, si muoveva. Gli esseri umani sono chiamati a vivere nella città santa, città di Dio con gli uomini, che riprende e porta a compimento l’immagine dell’intimità fra Dio creatore e i progenitori rappresentata dal giardino del paradiso terrestre, come descritto nel Libro della Genesi.
E vidi un cielo nuovo e una terra nuova: il cielo e la terra di prima infatti erano scomparsi e il mare non c'era più. E vidi anche la città santa, la Gerusalemme nuova, scendere dal cielo, da Dio, pronta come una sposa adorna per il suo sposo. Udii allora una voce potente, che veniva dal trono e diceva:
"Ecco la tenda di Dio con gli uomini!
Egli abiterà con loro
ed essi saranno suoi popoli
ed egli sarà il Dio con loro, il loro Dio.E asciugherà ogni lacrima dai loro occhi
e non vi sarà più la morte
né lutto né lamento né affanno,
perché le cose di prima sono passate".
E Colui che sedeva sul trono disse: "Ecco, io faccio nuove tutte le cose". E soggiunse: "Scrivi, perché queste parole sono certe e vere". E mi disse:
"Ecco, sono compiute!
Io sono l'Alfa e l'Omèga,
il Principio e la Fine.
A colui che ha sete
io darò gratuitamente da bere
alla fonte dell'acqua della vita.
Chi sarà vincitore erediterà questi beni;
io sarò suo Dio ed egli sarà mio figlio.
Ma per i vili e gli increduli, gli abietti e gli omicidi, gli immorali, i maghi, gli idolatri e per tutti i mentitori è riservato lo stagno ardente di fuoco e di zolfo. Questa è la seconda morte".
Poi venne uno dei sette angeli, che hanno le sette coppe piene degli ultimi sette flagelli, e mi parlò: "Vieni, ti mostrerò la promessa sposa, la sposa dell'Agnello". L'angelo mi trasportò in spirito su di un monte grande e alto, e mi mostrò la città santa, Gerusalemme, che scende dal cielo, da Dio, risplendente della gloria di Dio. Il suo splendore è simile a quello di una gemma preziosissima, come pietra di diaspro cristallino. È cinta da grandi e alte mura con dodici porte: sopra queste porte stanno dodici angeli e nomi scritti, i nomi delle dodici tribù dei figli d'Israele. A oriente tre porte, a settentrione tre porte, a mezzogiorno tre porte e a occidente tre porte. Le mura della città poggiano su dodici basamenti, sopra i quali sono i dodici nomi dei dodici apostoli dell'Agnello.
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