Tempi moderni

(USA 1936, b/n, 89') di e con C. Chaplin, P. Goddard, H. Bergman, C. Concklin, S. Sandford, A. Garcia.

Impazzito per i forsennati ritmi di lavoro alla catena di montaggio, Charlot finisce in ospedale e quando ne esce non ha più lavoro. Durante una manifestazione di protesta viene scambiato per sovversivo e arrestato dalla polizia, poi trova lavoro come cameriere in un ristorante-dancing dove canta la sua ragazza, ma deve ancora fuggire e i due si ritrovano, all'alba, lungo una strada... Una favola satirica contro la meccanizzazione e lo sfruttamento sociale tanto esilarante quanto struggente.

(Da Il Mereghetti. Dizionario dei film 2011, Baldini Castoldi Dalai, Milano 2010)

In questo capolavoro del 1936 già vediamo la preoccupazione che oggi assilla il mondo del lavoro: le macchine trasformeranno la nostra umanità? L'automazione del lavoro determinerà una sostanziale sostituzione degli esseri umani? Che si tratti della catena di montaggio o dell'intelligenza artificiale, le domande che ci poniamo sembrano rivelare una medesima preoccupazione: quella di garantire un futuro in cui il progresso si sviluppi in modo conforme alla dignità dell'essere umano. E in questa valorizzazione dell'essere umano, il lavoro ha un ruolo del tutto particolare. Sì, perché è proprio attraverso il lavoro che rendiamo possibile la nostra vita e quella di chi amiamo; attraverso il lavoro possiamo costituire una famiglia e contribuire allo sviluppo della società intera. Ma se la vita, perfino nelle sue funzioni più semplici, viene modificata dall'intervento delle macchine (esilarante, in questo senso, ma anche angosciante la scena del pranzo "meccanizzato" del protagonista del film), il rischio è quello della disumanizzazione, del prevalere di logiche utilitariste ed economiciste sulle più profonde aspirazioni al bene e alla felicità.

Il lavoro tocca aspetti diversi: materiali e psicologici; vitali e legati alla nostra realizzazione personale. È per questo che tutto ciò che umilia il lavoro - lo sfruttamento, il mancato riconoscimento dei diritti del lavoratore, una ingiusta retribuzione - non rimane solamente sul piano materiale, ma va a ledere nel profondo la dignità della persona. Scopriamo dunque la dimensione propriamente "personale" del lavoro e quasi "vocazionale": al di là del profitto e dell'utilità pratica, il lavoro è una delle strade attraverso le quali realizziamo noi stessi e diventiamo ciò che siamo chiamati ad essere. Per questo è così importante che i valori della giustizia e della libertà possano ispirare la società: perché solamente in una società giusta e libera sarà possibile che ognuno sviluppi le proprie potenzialità e sia sostenuto nel cammino verso la realizzazione della propria vocazione professionale.

Come vediamo nel film, e nonostante le tante trasformazioni che negli ultimi due secoli hanno modificato il mondo del lavoro, non sempre la realtà corrisponde alle aspettative. Il lavoratore può andare incontro a compiti alienanti, addirittura può sviluppare malattie legate all'esercizio della propria attività o incontrare difficoltà nella gestione materiale del suo lavoro. Al tempo stesso, il progresso tecnologico, destinato ad entrare sempre più nel processo lavorativo e nelle espressioni delle professioni, non deve essere rifiutato, ma intelligentemente gestito, non deve essere opposto dialetticamente alla dimensione umana, ma svilupparsi in modo armonico con essa. È l'intelligenza umana che genera la tecnica, ed è con intelligenza che la tecnica va gestita e orientata. Solo affrontando con competenza e professionalità i cambiamenti, anche radicali, del lavoro umano e delle sue molteplici forme, non si avrà più paura del progresso. Porre l'essere umano al centro restituisce speranza all'agire umano nel mondo. È, in fondo, la speranza che pare intravedersi nella strada lungo la quale di incamminano i protagonisti nella scena finale del film. Su questa strada, non sempre facile, ma percorsa avendo chiaro il fine per cui lavoriamo, e per chi lavoriamo, già si levano le prime luci dell'alba.