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Storia naturale e scala zoologica

Jean-Baptiste de Lamarck
1802

Prolusione al Museo di Storia naturale

Riproponiamo qui la Prolusione che Lamarck pronunciò nel 1802 al Museo di Storia Naturale di Parigi. Questo documento ha una notevole rilevanza storica perché contiene alcune delle affermazioni che influenzeranno lo sviluppo della biologia per i secoli successivi, fino ai nostri giorni. È qui, infatti, che 7 anni prima della pubblicazione della Filosofia zoologica (1809), Lamarck afferma chiaramente un’idea dinamica di natura e di Storia naturale, secondo la quale il cambiamento nel tempo è la norma e non l’eccezione. È qui che trova una formulazione già matura il principio secondo il quale non sono gli organi in possesso di un organismo a determinarne funzioni e comportamento, quanto le abitudini dell’organismo a modificarne gli organi. Ed è qui, inoltre, che il principio evoluzionista di Lamarck è già attestato: le modifiche agli organi che gli individui acquisiscono a seguito del loro sforzo comportamentale vengono tramandate alle future generazioni tramite la riproduzione. Interessante notare come questo principio venga suffragato non soltanto da moltissimi esempi ma anche dalla visione complessiva della “scala zoologica” che lo stesso Lamarck ricostruisce (e consegna alla tavola iniziale qui riprodotta).

Il lettore attento, noterà anche una certo “gradualismo” (l’idea che i cambiamenti avvengono lentamente e impercettibilmente in tempi lunghi) nella concezione evolutiva di Lamarck, e il parallelo accennato tra l’opera della natura e quella di agricoltori e allevatori nell’influenzare la conformazione degli organismi: entrambi punti che giocheranno un ruolo centrale anche nello sviluppo del pensiero di Darwin mezzo secolo più tardi.

Al di là dell’interesse storico, questo testo ha anche implicazioni molto attuali, che saranno accennate, per il lettore interessato, nell’invito alla lettura di un altro testo di Lamarck.  

 

Tale è, cittadini, il breve sommario dei fatti generali concernenti l'organizzazione di tutti gli animali conosciuti e l'ordine mirabile che essa ci palesa (cfr. la tavola annessa).

I fatti riassunti, sono per lo più assai noti e di conseguenza non sono contestabili, né sono da relegare tra le ipotesi.

È quindi incontestabile che presso i grandi raggruppamenti che costituiscono la scala zoologica esiste una semplificazione continua dell'organizzazione degli animali che vi sono compresi, semplificazione crescente dell'organizzazione cui fa riscontro una progressiva riduzione delle loro facoltà.

Dimodoché il fondo della scala mostra l'animalità ridotta al minimo, mentre la sommità la mostra sviluppata al massimo.

   

   

   

Risalite dal più semplice al più complesso, partite dall' animalculo più imperfetto e salite lungo la scala zoologica fino all'animale più riccamente fornito di organizzazione e facoltà, rispettate dappertutto i corretti rapporti tra i maggiori gruppi sistematici: otterrete in tale modo il vero filo che collega tutti i prodotti della natura, avrete una giusta idea del suo svolgersi e vi convincerete che i viventi più semplici prodotti dalla natura hanno dato origine, uno dopo l'altro, a tutti gli altri viventi.

Prima di provarvi che la natura ha effettivamente proceduto in simile maniera, intendo provarvi che i fatti particolari che sono stati addotti per negare l'esistenza di una scala zoologica sono stati male interpretati, ed esporrò quindi i veri principi concernenti questa scala, o serie.

   

La serie zoologica è formata dalla successione dei grandi raggruppamenti, non dalla successione di individui e specie.

Ho già detto che parlando di un graduale ridursi della complessità dell'organizzazione, non intendevo parlare della esistenza di una serie lineare e regolare comprendente le specie ed anche i generi: una simile serie non esiste. Io parlo invece di una serie abbastanza regolarmente graduata tra i raggruppamenti principali, cioè tra i principali piani organizzativi noti che dánno luogo alle classi ed alle grandi famiglie, serie sicuramente esistente sia presso gli animali, sia presso le piante, anche se, quando si scende al livello dei generi (e più ancora a quello delle specie), essa offre in molti casi ramificazioni laterali che terminano con punti isolati.

In un'opera molto recente è stata negata l'esistenza di una serie unica, naturale e graduata per quanto concerne la complessità dell'organizzazione degli esseri che essa racchiude.

In verità questa serie è necessariamente formata da raggruppamenti subordinati gli uni agli altri per quanto concerne l'organizzazione e non da specie o generi considerati singolarmente, ed io chiedo: qual è quel naturalista istruito che ancor oggi proporrebbe un ordine diverso delle dodici classi del regno animale testé elencate? Chi mai oserà sostenere che l'ordine che ho indicato è un ordine sistematico arbitrario e che bisogna preferirgli una disposizione per cui le classi, gli ordini ed i generi siano disposti alle intersezioni di un reticolo o delle coordinate di una carta geografica o di un mappamondo?

Ho già fatto sapere quel che pensavo di simile idea che a qualche contemporaneo è apparsa sublime, e che il professor Hermann ha tentato di accreditare. Non dubito che quanto più profondamente si conoscerà l'organizzazione dei viventi, quanto meno si concentrerà l'attenzione sulla descrizione delle specie e quanto più si sarà studiata la natura, tanto più questa opinione erronea sarà abbandonata, fino ad essere rifiutata da tutti.

La serie unica di cui parlo non può dunque essere determinata se non in base alla disposizione dei grandi gruppi sistematici, poiché ciascuno di essi (classi e grandi famiglie) riunisce tutti quegli esseri la cui organizzazione generale dipende da un dato insieme di organi essenziali.

Ogni grande gruppo sistematico dispone di un determinato insieme di organi essenziali, ed è appunto questo insieme che si va semplificando, dal gruppo complicato al massimo sino a quello che ha un minimo di complessità. Ciascun organo preso a sé, invece, non si semplifica seguendo una strada tanto semplice, e tanto meno la segue quanto minore è la sua importanza.

In effetti, gli organi poco importanti o non essenziali alla vita non sono sempre in reciproco esatto rapporto per quanto concerne la loro perfezione o semplicità.

È tanto vero che dispone di tale facoltà, che essa passa da un piano organizzativo all'altro, non solo presso due famiglie diverse - purché abbiano stretti rapporti di vicinanza -, ma persino nel medesimo individuo.

I piani organizzativi che implicano i polmoni come organi della respirazione sono più prossimi ai piani che implicano le branchie che non a quelli che esigono le trachee, pertanto, non solo la natura passa dalle branchie ai polmoni in classi e famiglie vicine, come nel caso dei pesci e dei rettili, ma essa compie questa trasformazione nel corso della vita di un singolo individuo che gode prima dell'uno e poi dell'altro sistema. Si sa che la rana allo stato imperfetto di girino respira mediante branchie mentre respira mediante polmoni allo stadio perfetto di rana. In nessun caso si vede passare la natura da un sistema con trachee a un sistema con polmoni.

È dunque vero che in ciascun regno dei viventi i grandi raggruppamenti si dispongono, per quanto riguarda il complicarsi dell'organizzazione, secondo una serie unica e graduata, che negli animali si eleva dagli animalculi più semplici fino agli animali più perfetti.

Pare che questo sia il vero ordine della natura, e tale è effettivamente quello che ci viene palesato dalla osservazione più attenta e dallo studio assiduo di tutti i particolari che ne contraddistinguono il modo di procedere.

Ritorniamo ora al graduale semplificarsi dell'organizzazione a mano a mano che si procede dagli animali più perfetti verso quelli che lo son meno, e prendiamo in particolare considerazione il modo in cui gli organi essenziali cessano di essere delimitati in luoghi particolari.

Non si è posta sufficiente attenzione alla semplificazione crescente dell'organizzazione verso le estremità della scala zoologica e della scala dei vegetali comprendenti i viventi più semplici, e soprattutto non si è posta quasi alcuna attenzione alla circostanza che, a misura che l'organizzazione si semplifica, gli organi essenziali cessano di essere delimitati, perdono il loro centro, o focolare particolare, compenetrano a poco a poco ogni parte, cambiano di natura, ed infine, scompaiono.

Quando abbiamo preso a considerare il sistema della circolazione dei fluidi, che sappiamo così perfetto presso i mammiferi e di cui il cuore è il ben delimitato focolare, noi l'abbiamo visto dapprima semplificarsi - appunto in questo suo intimo centro - in modi molto diversi, e semplificarsi in seguito nelle altre parti che vi confluiscono ed anche nei fluidi che esso pone in movimento; questo sistema, infine, si perde del tutto molto prima che si sia giunti al termine della scala zoologica.

Altrettanto accade riguardo all'organo della respirazione che presso gli animali superiori è centralizzato ed è noto col nome di polmone. L'abbiamo veduto semplificarsi a poco a poco nei vari grandi raggruppamenti, e nei corrispondenti piani organizzativi, trasformandosi in branchie, poi in trachee aeree che si diffondono ovunque, poi in trachee acquifere; alla fine il sistema respiratorio sparisce del tutto, sostituito, senza dubbio, da pori che assorbono l'acqua.

Vicende simili si verificano in modo notevole nell'organo della sensibilità di cui il cervello è un focolare, e che sappiamo essere tanto perfetto e tanto complicato presso l'uomo. Questo centro si semplifica ben presto in modi diversi, e scompare infine, sostituito da gangli midollari, che spariscono a loro volta, così come i fasci e i filamenti nervosi. Gli ultimi ordini del regno animale in effetti non presentano più la minima traccia di questo organo. Tutti gli altri sistemi organici subiscono le stesse vicende, persino quello della riproduzione, che pur ha tanta importanza in natura, non fa eccezione.

Presso i Mammiferi, che sono i più progrediti, noi troviamo una riproduzione sessuale di tipo viviparo; il movimento vitale subentra nell'embrione non appena esso viene fecondato; il feto all'inizio del suo sviluppo si nutre a spese del corpo materno con il quale rimane in comunicazione fino alla nascita.

Questo tipo di riproduzione non si trova più ai livelli inferiori della scala e viene sostituito dalla riproduzione sessuata ovipara, nella quale si nota un intervallo tra la fecondazione dell'embrione ed il suo primo movimento, comunicatogli dalla incubazione. È utile notare che presso gli animali ovipari nessun organo della riproduzione sporge all'esterno, come avviene per i mammiferi.

Scendendo a livelli inferiori si osserva che alla riproduzione ovipara ne segue una in cui manca ogni vestigio di fecondazione ed in cui non è riconoscibile alcun organo sessuale. L'ho chiamata riproduzione gemmovipara perché sembra produrre gemme interne somiglianti a uova. Orbene, l'esistenza ben documentata di individui gemmipari esterni presso i polipi rende assai plausibile quella di individui gemmipari interni, passaggio o avvio della natura che tende a creare la riproduzione sessuata propria degli ovipari.

Sicché, nei gradini più bassi la natura supplisce all'impoverimento dei suoi mezzi riproduttivi grazie alla riproduzione mediante germogli o gemme che non esigono più fecondazione e risultano da una facoltà rigeneratrice ugualmente diffusa in tutte le parti dell'animale.

Alla fine, la scissione delle parti, che la natura stessa effettua, divengono nelle sue mani i mezzi che essa è costretta ad adoperare per moltiplicare gli individui presso i viventi più semplicemente organizzati.

Abbiamo considerato le cose secondo un ordine inverso a quello naturale, ma se le si considera assumendo l'ordinamento che dal più semplice si solleva gradualmente fino al complesso, chi non vedrà nei fatti esposti i risultati assai manifesti della tendenza del moto organico a sviluppare e complicare l'organizzazione, nonché la tendenza a centralizzare le funzioni che erano originariamente - cioè presso i viventi più semplici - diffuse in tutto il corpo dell'individuo?

Riprendo ora l'esame della scala animale e affermo che, risalendo dall'animalucolo più semplicemente organizzato e più povero di facoltà, fino all'animale meglio dotato di facoltà ed organi, si procede conformemente al cammino seguito dalla natura allorché è andata formando tutti i viventi.

Per poter afferrare la fondatezza di tale asserzione conviene far osservare innanzitutto le conseguenze della proposizione seguente e tutto ciò su cui essa si basa:

Non sono gli organi, cioè la natura e la forma delle parti del corpo di un animale, che han dato luogo alle sue abitudini ed alle sue facoltà particolari, sono invece le sue abitudini, la sua maniera di vivere e le circostanze in cui si sono trovati gli individui da cui discende, che con l'andar del tempo hanno realizzato la forma del suo corpo, il numero e la condizione dei suoi organi, ed infine le facoltà di cui gode.

Si ponderi bene questa proposizione e si riferiscano ad essa tutte le osservazioni che la natura e le circostanze ci dànno continuamente occasione di fare: la sua solidità e la sua importanza diverranno allora per noi estremamente evidenti.

Se si considera, come ho detto altrove, la diversità di forme, di massa, di grandezza e di caratteri di cui la natura ha munito i suoi prodotti, se si considera la varietà degli organi e di facoltà di cui essa ha arricchito gli esseri cui ha dato vita, non ci si può impedire di ammirare le infinite risorse di cui l'Autore supremo l'ha munita quando, per giungere ai suoi scopi, l'ha fatta esistere.

Si osserva in effetti che l'estrema molteplicità di tali risorse deriva a sua volta dalla inesprimibile varietà delle situazioni e delle circostanze che in ogni punto della superficie terrestre influenza col passar del tempo ciascun organismo vivente, plasmandolo nel modo che oggi constatiamo. La varietà di forme, la varietà nel numero e nella complessità degli organi e delle funzioni, è tanto grande che par quasi che tutto ciò che è immaginabile esista nella realtà, e che nell'organizzazione di questa immensa quantità di prodotti naturali siano state esaurite tutte le facoltà e modalità pensabili. Del resto, se si esaminano con attenzione tutti i mezzi che la natura sembra impiegare a questo fine, si vedrà che essi hanno potenza e fecondità adeguate a produrre tali effetti.

Il tempo e le circostanze favorevoli sono, come ho già detto, i due mezzi principali che la natura impiega per realizzare tutti i suoi prodotti. Si sa che il tempo a sua disposizione è illimitato, e in quanto alle circostanze di cui ha bisogno, e di cui ancora si serve quotidianamente per variare tutto ciò che continua a produrre, si può dire che sono in certo modo inesauribili.

Le circostanze principali nascono dalle influenze del clima, delle diverse temperature dell'aria e di tutto l'ambiente circostante, nascono dalle influenze della varietà dei luoghi e della loro esposizione, delle abitudini, dei movimenti più consueti, delle azioni più ripetute, nascono infine dall'influenza dei modi di conservarsi, di vivere, di difendersi di moltiplicarsi, e via dicendo.

In tal modo, le facoltà e le funzioni si fortificano e sviluppano grazie all'uso e variano grazie alle nuove abitudini mantenute a lungo, sicché, impercettibilmente, la conformazione, la consistenza, la struttura e la condizione delle parti e degli organi partecipano alle conseguenze di tutte queste influenze conservandosi e propagandosi mediante la generazione.

Tali verità (di cui troverete qualche traccia succintamente enunciata nel (Système des animaux sans vertèbres) sono state da me riconosciute a forza di osservazioni e sono in tutti i casi solidamente confermate dai fatti; esse indicano chiaramente la via seguita dalla natura nella grande varietà dei suoi prodotti.

Mi è facile porre in evidenza che presso qualunque vivente (che non abbia raggiunto quell'età oltre la quale le facoltà si riducono) l'uso abituale, non solo perfeziona l'organo, ma gli fa anche acquistare sviluppi e dimensioni che lo modificano impercettibilmente, sicché, col passar del tempo, l'abitudine lo rende ben diverso da come lo si osserva in un altro organismo che lo esercita poco o quasi nulla. E anche molto facile provare che la costante privazione di esercizio immiserisce gradatamente un organo e finisce col farlo sparire.

Se a due neonati di sesso diverso si coprisse l'occhio sinistro durante tutto il corso della loro vita, se divenuti adulti li si facesse accoppiare e di nuovo si coprisse l'occhio sinistro dei loro figli, e si facessero accoppiare tra loro anche questi, e così via per un gran numero di generazioni, io non dubito che a lungo andare il loro occhio sinistro si andrebbe obliterando naturalmente, e per gradi impercettibili sparirebbe. A seguito di durate di tempo enormi, rimanendo le circostanze essenziali sempre le stesse, l'occhio destro si sposterebbe a poco a poco. Corroboro ciò citando alcuni fatti conosciuti: presso i Mammiferi sono parte integrante, essenziale, del piano organizzativo, due occhi posti sul capo. La talpa, tuttavia, poiché per le sue abitudini fa pochissimo uso della vista, ha solo due occhi molto piccini, a mala pena visibili, che essa impiega molto poco.

Lo Spalace di Oliver che vive sotto terra come la talpa e che probabilmente si espone ancor meno di lei alla luce diurna ha perso completamente l'uso della vista: presenta solo alcuni rudimenti degli occhi, completamente nascosti sotto la pelle e sotto altre parti che li ricoprono e che non consentono affatto il passaggio della luce. In compenso, poiché il bisogno di udire ha costretto questi animaletti ad aguzzare continuamente l'udito, la parte interna dell'orecchio si è molto ingrandita.

Fa parte del piano organizzativo dei Mammiferi l'avere le mascelle armate di denti per effettuare la masticazione.

Tuttavia, allorché un animale di questa classe prende l'abitudine, per circostanze determinanti, di inghiottire il cibo senza masticarlo, il perseverare di tale abitudine in tutta la razza farà perdere i denti a tutti gli individui che la compongono, e l'animale risulterà, come nel caso del formichiere (Myrmecophaga), del tutto sdentato.

E perché gli uccelli non masticano, gli uni inghiottendo il cibo così come lo afferrano col becco e gli altri lacerandolo d'un sol colpo senza sminuzzarlo, che gli animali di questa classe hanno tutti mandibole prive di denti inseriti in alveoli.

Si vede così che il disuso modifica, riduce e provoca la scomparsa di un organo che (in base al piano organizzativo) dovrebbe esistere.

Dimostrerò adesso che l'uso continuo di un organo, insieme agli sforzi compiuti per trarne il massimo vantaggio nelle occasioni che lo esigono, fortifica, distende e ingrandisce tale organo o ne crea di nuovi che possono svolgere le funzioni divenute necessarie.

L'uccello attirato dal bisogno sull'acqua, ove trova la preda che lo fa vivere, allarga le dita dei piedi allorché vuole battere l'acqua e muoversi su di essa: la pelle che unisce le dita alla loro radice, a seguito delle continue sollecitazioni, prende l'abitudine di distendersi. È così che si sono formate, coll'andar del tempo, le ampie membrane che uniscono le dita delle anatre, delle oche e di altri uccelli. Sforzi simili, compiuti per nuotare, cioè per spingere l'acqua al fine di spostarsi entro questo liquido, hanno disteso in modo analogo le membrane che uniscono le dita delle rane, delle tartarughe marine, etc.

Al contrario, l'uccello che per il suo modo di vivere si abitua a posarsi sugli alberi, e che discende da individui che avevano tutti contratto questa abitudine, ha necessariamente le dita dei piedi più allungate e conformate diversamente da quelle degli uccelli acquatici considerati prima.

Col tempo le sue unghie si sono allungate, appuntite e incurvate a falce per meglio agguantare i rami sui quali l'uccello si riposa tanto spesso.

Si capisce anche che l'uccello rivierasco, che non ama nuotare e tuttavia ha bisogno di avvicinarsi ai bordi dell'acqua per trovarvi la preda, rischierà continuamente di affondare nella melma. Orbene, questo uccello per evitare di tuffarsi nel liquido compierà ogni sforzo per estendere ed allungare le zampe. Ne deriva che questo uccello, come tutti gli altri della sua razza, per la lunga abitudine di stendere ed allungare le zampe viene a trovarsi, per così dire, sollevato sui trampoli, avendo ottenuto a poco a poco lunghe zampe prive di piume sino alle cosce e spesso anche oltre.

Si capisce inoltre che lo stesso uccello, volendo pescare senza bagnarsi il corpo, è obbligato a compiere continui sforzi per allungare il collo. Gli sforzi continui compiuti da questo individuo, e da tutti quelli della sua razza, coll'andar del tempo hanno finito con l'allungargli singolarmente il collo: ciò è attestato dalla lunghezza del collo di tutti gli uccelli rivieraschi.

Se certi uccelli nuotatori, come il cigno e l'oca, pur essendo muniti di zampe corte, hanno nondimeno un collo assai lungo, ciò proviene dal fatto che essi muovendosi sull'acqua hanno l'abitudine di affondare il capo il più profondamente possibile per prendervi le larve acquatiche e altri animaletti di cui si nutrono, senza fare alcun sforzo per allungare le zampe.

Se un animale per soddisfare i suoi bisogni eseguirà continui sforzi per allungare la lingua, questa diventerà assai lunga; se avrà bisogno di afferrare qualcosa con essa, essa si farà forcuta. La lingua degli uccelli mosca fornisce una riprova di ciò che vado prospettando.

Il quadrupede cui le condizioni di vita hanno dato l'abitudine - comune a tutti quelli della sua razza - di brucare l'erba e di marciare o correre e non muoversi altrimenti, ha le punte delle dita avvolte da una spessa massa cornea: siccome la maggior parte delle dita servono a poco, alcune di esse si accorciano, riducono e spariscono.

Il quadrupede, invece, costretto da altre condizioni di vita - insieme a tutti quelli della sua razza - sia ad arrampicarsi, sia a cibarsi di carne e quindi ad aggredire e uccidere la preda, ha avuto continuamente bisogno di affondare la punta delle dita nello spessore del corpo che vuole afferrare.

Ebbene, simile abitudine, favorendo la separazione delle dita, lo ha fornito poco per volta degli artigli di cui lo vediamo armato.

Vi è di più, l'animale che il bisogno, ed in seguito l'abitudine, di lacerare con gli artigli, hanno messo quotidianamente in condizione di affondarli profondamente nel corpo di un altro animale, al fine di afferrarlo e di strapparne lembi, ha dovuto in seguito a questi reiterati sforzi, conseguire artigli di grandezza e curvatura tali da ostacolarlo molto nella marcia o nella corsa su terreno sassoso. In questo caso è accaduto che l'animale è stato obbligato a fare altri sforzi per retrarre quegli artigli troppo sporgenti e adunchi che lo disturbavano: a poco a poco ne è risultata la formazione di quelle guaine particolari nelle quali i gatti, le tigri, i leoni e altri felini ritirano gli artigli quando non li adoperano.

È così che gli sforzi in un senso qualunque, sostenuti a lungo o ripetuti abitualmente da certe strutture di un organismo vivente per soddisfare ai bisogni imposti dalla natura o dalle circostanze, distendono le strutture stesse e fanno acquistar loro dimensioni e forme che non avrebbero mai avuto se tali sforzi non fossero divenuti abituali per l'animale che li compiva. L'osservazione di qualunque animale conosciuto ne fornisce esempi a non finire.

Allorché la volontà determina un animale a compiere un'azione qualsiasi, gli organi che debbono eseguirla vengono immediatamente sollecitati dall'afflusso di fluidi sottili che divengono la causa determinante dei movimenti richiesti da detta azione. Ciò è attestato da tante osservazioni che non è possibile dubitarne.

Ne consegue che il ripetersi continuo di queste azioni dell'organismo fortifica, distende, sviluppa, e crea persino, gli organi necessari. Basta osservare attentamente ciò che accade ovunque in questo campo per convincersi della fondatezza della causa degli sviluppi e delle modificazioni organiche da me invocata.

Orbene, ogni cambiamento acquisito in un organo a seguito di un'abitudine protrattasi abbastanza a lungo da lasciare traccia, se è comune agli individui che concorrono a perpetuare riproduzione, questo cambiamento si propaga infine e viene trasmesso a tutti gli individui che si succedono e che sono esposti alle medesime circostanze senza che ciascuno di essi sia obbligato ad acquistarlo nei modi che l'hanno realmente creato.

D'altra parte, l'incrocio di individui forniti di qualità o forme diverse si oppone necessariamente alla propagazione uniforme di dette qualità e forme. E ciò che impedisce che nell'uomo, sottoposto a circostanze tanto diverse che influiscono sui singoli individui, si conservino e propaghino con la riproduzione le qualità accidentalmente contratte.

Si comprende ormai quanto la natura, disponendo di simili mezzi e di inesauribile ricchezza di circostanze diverse, ha potuto e dovuto produrre con l'andar del tempo.

Volendo passare in rivista tutte le classi, tutti gli ordini, tutti i generi e le specie di animali viventi, potrei farvi vedere che la conformazione degli individui e delle loro parti, che i loro organi, facoltà e funzioni, e tutto il resto, sono esclusivo risultato delle circostanze cui ciascuna specie e tutta la sua schiatta si è trovata esposta, nonché delle abitudini che gli individui di questa specie sono stati costretti a contrarre.

Le influenze delle località e delle temperature colpiscono talmente che i Naturalisti non hanno potuto impedirsi di riconoscerne gli effetti sugli organismi, sullo sviluppo e sulle facoltà dei viventi.

Si sa da lunga data che gli animali che abitano la zona torrida sono molto diversi da quelli che dimorano altrove.

Buffon ha fatto notare inoltre che, anche a parità di latitudine, gli animali del nuovo continente differiscono da quelli del vecchio continente.

Infine, il cittadino Lacépède volendo dare a questo sicuro elemento la precisione di cui lo ritiene suscettibile ha tracciato ventisei regioni zoologiche sulle terre emerse e altre otto sulle acque. Ma vi son ben altre influenze da quelle che dipendono dalle località e dalle temperature.

Tutto concorre quindi a documentare la mia asserzione che non è la forma del corpo o delle sue parti che dà luogo alle abitudini e al modo di vivere degli animali, ma che, al contrario, sono le abitudini, la maniera di vivere e tutte le altre circostanze determinanti che coll'andar del tempo hanno realizzato la forma del corpo dell'animale e delle sue parti.

Con le nuove forme sono state acquisite nuove funzioni e facoltà, e poco per volta la natura è giunta alla situazione presente.

Vi può essere nella Storia Naturale un argomento più importante e meritevole di attenzione di quello che ho finito di esporre? E ora che ho appena terminato di dimostrare che esiste presso gli animali un ordine assai pronunziato, che palesa una graduale diminuzione della complessità sia dell'organizzazione sia del numero delle facoltà degli animali, chi non intuisce in quale direzione ha proceduto la natura nel formare i viventi? Chi è, infine, che non veda le cause della produzione e dello sviluppo dei diversi organi di questi esseri, che non veda le cause della loro crescente molteplicità, prodotta dalla varietà delle circostanze, e conservata e propagata mediante la riproduzione?

Infine, siccome è solo all'estremità inferiore della scala zoologica che si incontrano gli animali che possono essere considerati come veri abbozzi dell'animalità, e siccome altrettanto avviene all'estremo inferiore della scala botanica, chi è che non intuisca che è in corrispondenza di queste estremità che la natura ha prodotto - e riproduce incessantemente - i primi abbozzi dei viventi? Chi mai, insomma, non vedrà che il perfezionamento di quei primi abbozzi che siano stati favoriti dalle circostanze poco per volta avrà dato origine, con l'andar del tempo, a tutti i gradi di complessità e di perfezione degli organismi, donde sarà risultata quella moltitudine e varietà di viventi di tutti gli ordini che ricopre tutta o quasi la superficie del globo?

Effettivamente, se è vero che l'attività vitale tende a sviluppare l'organizzazione e persino a moltiplicare gli organi, come è provato dal confronto delle condizioni dell'animale appena nato con le condizioni dello stesso animale giunto a quello stadio in cui i suoi organi, cominciandosi a deteriorare, non si sviluppano ulteriormente.

Se è vero che in seguito ogni organo particolare subisce delle modificazioni notevoli a seconda del modo e della misura in cui sia stato esercitato (come ho mostrato con gli esempi), ben si capisce che, riferendosi all'estremo della catena animale in cui si trovano gli organismi più semplici, e considerando tra questi quelli di semplicità tanto grande da poter rientrare nei limiti del potere creativo della natura, ben si capisce - dico - che la natura stessa ha potuto formare direttamente i primi abbozzi degli organismi, ed in seguito, grazie all'impiego della vita e all'aiuto delle circostanze che ne favoriscono la durata, essa ha potuto perfezionare progressivamente l'opera e condurla al punto di cui oggi siamo testimoni.

Mi manca il tempo di presentarvi il seguito dei risultati delle mie ricerche su questa materia tanto interessante, e di sviluppare i seguenti argomenti:

  1. Cosa è in realtà la vita.
  2. Come la natura crea i primi rudimenti degli organismi entro masse adatte entro le quali non esisteva vita.
  3. Come il movimento organico o vitale viene eccitato dalla natura e mantenuto grazie ad una causa stimolante e attiva di cui essa dispone largamente in certi climi ed in certe stagioni.
  4. Come questo movimento organico, col suo durare e con la partecipazione delle molteplici circostanze che ne modificano gli effetti, sviluppa, compone e complica gradualmente gli organi dei corpi viventi che ne sono forniti.

Tale è stata indubbiamente la volontà della infinita saggezza che regna su tutta la natura, e tale è in effetti l'ordine di cose chiaramente rivelato dall'osservazione di tutti i fatti che la concernono.

   

Le specie dei viventi.

Per lungo tempo sono stato convinto che in natura vi fossero delle specie costanti, costituite dagli individui che ad esse appartengono.

Ora son convinto di essermi sbagliato a questo proposito, e che in natura vi sono soltanto individui.

L'origine di tale errore, che ho condiviso con molti Naturalisti, i quali ci tengono ancora, deriva dal lungo durare, relativamente a noi, di un medesimo stato di cose in ciascun luogo abitato da ciascun vivente; senonché questo durar dello stato di cose vigente in un luogo ha un termine, e col trascorrere di molto tempo si verificano dei mutamenti in ciascun luogo della superficie terrestre i quali modificano tutte le condizioni ambientali dei viventi che vi dimorano.

Effettivamente, siamo ormai in grado di affermare che niente rimane costante sulla superficie terrestre. Col tempo tutto vi subisce modificazioni diverse, più o meno rapide, a seconda degli oggetti e delle circostanze. I luoghi elevati si degradano continuamente, e tutto ciò che se ne distacca vien trascinato in basso. I letti dei corsi d'acqua, dei fiumi, degli stessi mari, si spostano impercettibilmente, allo stesso modo dei climi, insomma, sulla superficie della terra tutto cambia a poco a poco di posizione, di forma, di struttura e di aspetto.

Ecco quanto i fatti raccolti ovunque ci attestano: basta osservarli e considerarli per convincersene.

Orbene, se il variare delle condizioni ambientali determina pei viventi un variare delle abitudini, un diverso modo di esistere, e quindi il modificarsi dei loro organi, delle loro forme e delle loro parti, ben si comprende che tutti questi viventi dovranno variare impercettibilmente di forma e di organizzazione.

Ogni modificazione che ciascun organismo vivente avrà subito a causa del variare delle condizioni ambientali che lo influenzano, si propagherà senza dubbio mediante la riproduzione. Ma siccome ulteriori modificazioni continueranno necessariamente a verificarsi, non importa quanto lentamente, non solo si formeranno sempre nuove specie, nuovi generi, e persino nuovi ordini, ma ogni specie varierà essa stessa in qualche parte della sua organizzazione e delle sue forme.

Mi rendo perfettamente conto che a questo proposito si prova l'illusione di una stabilità che diremmo perenne, benché tale non sia, in quanto un grandissimo numero di secoli possono rappresentare una durata insufficiente perché le minime modificazioni in discussione divengano percettibili.

Si dirà quindi che il fenicottero (Phoenicopterus) ha sempre avuto gambe e collo così lunghi come oggi li vediamo; si dirà anche che tutti gli animali di cui ci hanno trasmesso la storia da due a tremila anni sono sempre tali e quali, e non hanno perso o acquistato nulla nella perfezione degli organi e nella forma delle loro parti. Si può dunque assicurare che questa apparente stabilità delle cose in natura verrà sempre ritenuta reale dal volgo, poiché in genere si giudica tutto solo in rapporto a sé medesimi.

Ma, insisto, tale convinzione che ha dato luogo al diffuso errore, deriva dalla grandissima lentezza con cui si verificano le modificazioni. Se si presta un po' di attenzione ai fatti seguenti la mia asserzione acquisterà molta evidenza:

Ciò che la natura fa con molta lentezza noi stessi lo facciamo quotidianamente, cambiando d'improvviso le condizioni ambientali in cui un organismo vivente, nonché tutti gli individui della sua specie, si incontrerebbe.

Ogni botanico sa che i vegetali trasportati dal luogo nativo e coltivati in un giardino vi subiscono a poco a poco dei cambiamenti che li rendono irriconoscibili: molte piante naturalmente ricoperte da folta lanuggine divengono glabre o quasi; molte piante con atteggiamento sdraiato o reptanti raddrizzano il loro stelo; altre perdono le spine o le asperità; in altre infine le proporzioni delle parti subiscono dei cambiamenti che si ripetono immancabilmente nella nuova sede.

Sono fenomeni tanto noti che i botanici non si curano di descriverli, a meno che non si tratti di una coltivazione nuova. Il frumento (Triticum sativum) non è forse un vegetale condotto dall'uomo allo stato attuale? Un tempo non osavo crederlo, oggi chiedo che mi si dica ove cresce spontanea una pianta simile ad esso.

Aggiungerò altri fatti ancor più notevoli, che confermano in qual misura il cambiamento delle condizioni ambientali modifica le parti degli organismi viventi.

Quando il Ranunculus aquatilis abita acque profonde, tutto ciò che la sua crescita può conseguire è di portare le estremità dei rami alla superficie, ove fioriscono. In tal caso tutte le foglie della pianta sono finemente laciniate. Se la medesima pianta si trova in acque poco profonde l'accrescimento dei rami può essere tale da portare le foglie superiori al di fuori dell'acqua; in tal caso solo le foglie più basse saranno finemente laciniate, capillari, mentre le superiori saranno semplici, arrotondate e modicamente lobate. Non basta, se i semi di questa pianta cadono in un fosso ove si trovi solo l'acqua necessaria alla germinazione, tutte le foglie della pianta si sviluppano nell'aria, ed allora nessuna risulta suddivisa in lacinie capillari, e nasce il Ranunculus hederaceus che i botanici considerano come specie a sé.

Altra prova dell'effetto notevole d'un cambiamento ambientale su di una pianta è il seguente: 

È stato osservato che quando un cespo di Juncus bufonius cresce proprio al bordo dell'acqua di un fosso o di un pantano, la pianta emette degli steli filiformi che si coricano nell'acqua, vi si deformano, vi divengono sdraiati, fruttiferi, e molto diversi da quelli di Juncus bufonius che cresce fuor dall'acqua. Tale pianta, modificata dalle circostanze che ho menzionato è stata scambiata per una specie: lo Juncus supinus di Rotte.

Quante citazioni potrei fare per provare che col cambiare delle condizioni ambientali cambiano necessariamente le influenze che i viventi subiscono da parte di tutto ciò che li circonda ed agisce su di loro, il che provoca necessariamente mutamenti della loro grandezza, della loro forma e dei loro diversi organi.

Pertanto, sono dell'avviso che per quanto riguarda i viventi la natura offre nient'altro che individui che si susseguono grazie alla riproduzione.

Quindi, per facilitare lo studio e la conoscenza di questi corpi io darò il nome di specie a tutti quegli insiemi di individui che per periodi molto lunghi si rassomigliano talmente in tutte le loro parti da presentare solo piccole differenze accidentali che, presso i vegetali, spariscono a seguito di riproduzione mediante semi.

Ma, oltre che per il trascorrere di molto tempo, la totalità degli individui della specie così intesa cambia in rapporto alle condizioni ambientali che agiscono su di essa: sicché quegli individui della specie che siano stati trasportati in ambienti con condizioni del tutto diverse e che vengono continuamente influenzati altrimenti, questi - dico - assumono alla lunga forme nuove, col che costituiscono una nuova specie che comprende tutti gli individui che si trovano in condizioni uguali.

Ecco il quadro fedele di come procede a questo riguardo la natura, quadro che solo l'osservazione del suo operare ci ha potuto svelare.

 

 

J.B. Lamarck, Prolusione al Museo di Storia naturale (1802) in Opere, a cura di P. Omodeo, Utet, Torino 1969, pp.75-77.