L’estratto che proponiamo qui dalla Storia naturale degli invertebrati di Lamarck, di alcuni anni successiva al suo capolavoro del 1809, la Filosofia zoologica, ribadisce ed amplia alcuni concetti fondamentali della teoria evolutiva del naturalista francese. Il testo presenta le quattro leggi che Lamarck ritiene indispensabili per capire la natura del vivente e la sua della vita. In particolare, la terza e la quarta legge – di cui riproduciamo anche i commenti dello stesso Lamarck – sono quelle che sanciscono 1) l’idea che la morfologia assunta dagli organismi (e dai loro organi) dipende dall’impiego che quell’organismo fa di detti organi, e che quindi gli organismi acquisiscono caratteri in base al loro comportamento nell’ambiente; 2) l’idea che i caratteri acquisiti dagli organismi durante la loro vita vengono trasmessi alle generazioni successive.
Al di là del loro valore storico (si veda anche un altro testo di Lamarck offerto ai nostri lettori), questi assunti sono proprio quelli che cinquant’anni più tardi saranno superati dalla teoria darwiniana della selezione naturale la quale, più o meno direttamente, negherà il ruolo “propositivo” dell’ambiente e l’ereditarietà dei caratteri acquisiti. Sennonché, oggi, questi due aspetti sono di nuovo attentamente considerati dei biologi contemporanei, nella misura in cui nuovi dati suggeriscono 1) che gli organismi escogitano e inventano nuovi comportamenti che talvolta hanno influenze enormi sulla forma di vita loro e della loro progenie; 2) che gli organismi (soprattutto animali) apprendono comportamenti in maniera sociale. Torna quindi in auge l’idea che i tratti acquisiti possono essere trasmessi di generazione in generazione, seppure né l’acquisizione né la trasmissione avvengono su base genetica, ma su base fenotipica e comportamentale.
Appianata la difficoltà concernente la generazione spontanea che si verifica presso le forme primordiali dei regni animale e vegetale, e in alcune loro diramazioni, mi pare che le altre difficoltà concernenti il complicarsi dei piani organizzativi degli animali e la formazione di vari organi speciali siano facilmente superabili.
Queste difficoltà spariranno infatti se ci riferiamo ai due strumenti generali con cui opera la natura è ed anche alle quattro leggi seguenti che concernono l'organizzazione e governano tutte le azioni svolte dalle forze della vita.
Prima legge: La vita per le sue forze intrinseche tende ad accrescere continuamente il volume di ogni vivente e ad aumentare le dimensioni delle sue parti, fino ad un termine da lei prefissato.
Seconda legge: In un organismo animale la produzione di un nuovo organo risulta dal sopravvenire di un nuovo bisogno insistente, nonché dai moti organici che detto bisogno suscita e mantiene.
Terza legge: Lo sviluppo e l'efficienza degli organi sono costantemente proporzionati all'impiego degli organi stessi.
Quarta legge: Tutto quel che è stato acquisito, delineato o modificato nel corso della vita degli individui viene conservato grazie alla riproduzione e trasmesso in nuovi individui nati da quelli che hanno subito cambiamenti.
Senza la conoscenza di queste leggi e senza prenderle in seria considerazione è impossibile capire alcunché circa i fenomeni dell'organizzazione e soprattutto circa il modo in cui la natura opera presso gli animali. Per tale motivo le analizzerò una per una, esponendo solo quegli sviluppi che sono necessari per farne apprezzare la realtà e l'importanza. […]
Commento alla Terza legge
Che lo sviluppo e l'efficacia degli organi sia sempre in rapporto diretto con l'impiego che ne vien fatto, non è una supposizione, una presunzione gratuita: si tratta di una legge positiva, corroborata dall'osservazione, basata su innumerevoli fatti noti che possono servire a dimostrarne la fondatezza.
Nella mia Philosophie zoologique (vol. I, cap. 7) io l'ho enunciata molto più diffusamente nel modo che segue:
«In ogni animale che non abbia superato il periodo dello sviluppo, l' impiego più frequente e intenso d' un organo qualsiasi fortifica a poco a poco quest'organo, lo sviluppa, lo ingrandisce e gli conferisce una efficienza proporzionata alla durata dell' impiego. Il disuso costante di un organo, al contrario, indebolisce a poco a poco, deteriora, riduce le facoltà dell'organo stesso e finisce col farlo sparire».
Non voglio affatto diffondermi sull'argomento o fare in questa sede il minimo sforzo per provare la fondatezza della terza legge. So bene che non se ne può contestare la validità, so che chi pratica l'arte di guarire ne constata quotidianamente gli effetti, ed io stesso ne ho conosciuto molti esempi.
Poiché, nello studio della natura, questa legge è importante rinvio i miei lettori a quanto ho scritto nella mia Philosophie zoologique ove divido l'argomento in due parti:
1° «Il disuso di un organo, divenuto costante a seguito di abitudini acquisite, impoverisce a poco a poco l'organo in questione, finisce col farlo sparire, e lo annienta persino».
2° «L'impiego reiterato di un organo, divenuto costante a causa delle abitudini, aumenta le facoltà di quest'organo, lo fa sviluppare e gli fa acquistare dimensioni ed efficienza che non hanno riscontro presso gli animali che lo esercitano di meno».
Ritengo questa legge tanto importante e tanto chiarificatrice delle cause che han prodotto la straordinaria varietà degli animali, che provo più soddisfazione per averla riconosciuta ed enunciata per primo che non per aver introdotto nella classificazione nuove classi e ordini, molti nuovi generi e una folla di nuove specie, e si badi che l'arte della classificazione è quasi il solo argomento degli studi degli altri zoologi.
Questa legge, a mio parere, è uno dei più potenti mezzi impiegati dalla natura per variare le specie, e, a ben riflettere, ritengo che essa coinvolga necessariamente e comprovi la seconda legge testé discussa. In effetti, la causa che fa sviluppare un organo frequentemente e costantemente adoperato, che ne accresce le dimensioni e il vigore, che vi fa affluire reiteratamente le forze della vita e i fluidi corporei, tale causa - dico - ha anche necessariamente il potere di far nascere a poco a poco e cogli stessi mezzi un organo che non esisteva ma che era divenuto necessario.
Si badi però che la seconda e la terza legge di cui sto discutendo sarebbero rimaste senza manifestazioni, e quindi inutili, se gli animali si fossero trovati sempre in circostanze identiche, se avessero sempre conservato le medesime abitudini e non ne avessero forgiato di nuove. A questa costanza dell'ambiente e delle abitudini, in verità, si è creduto, ma senza alcun fondamento.
L' errore in cui siamo caduti a questo proposito trova origine nella difficoltà che proviamo ad abbracciare nelle nostre osservazioni un tempo molto lungo. Questa difficoltà ci fa apparire le cose che osserviamo dotate di una stabilità, che peraltro non esiste affatto. Da qui è sorta l'idea che tutte le specie di Viventi siano antiche quanto la natura, che siano sempre state quali sono oggi, e che i Minerali rientrino nel medesimo caso. Se cosi fosse ne deriverebbe necessariamente che la natura non ha alcun potere, che nulla fa e nulla trasforma, e che, dato che non fa nulla, le leggi le sono superflue. Se cosi fosse ne conseguirebbe che né i Vegetali né gli Animali sono prodotti della natura.
Per concepire una simile opinione e mantenere un errore simile bisogna guardarsi bene dal raccogliere e valutare i fatti che ci si presentano da ogni parte e respingere tutte le osservazioni che li convalidano: le cose stanno infatti in modo molto diverso. Sorvolando sui fatti conosciuti e sulle osservazioni che provano che l'ordine esistente è molto diverso da quello che gli si è voluto — e gli si vuole ancora - sostituire, affermerò che: Se gli animali sono prodotti della natura è evidente che questa non ha potuto produrli e farli esistere tutti in una volta, e coprire con essi simultaneamente quasi ogni punto della superficie terrestre e riempire simultaneamente le sue acque. La natura opera solo gradualmente, a poco a poco; non solo, quasi tutte le sue operazioni si svolgono, relativamente alla durata della nostra vita, con una lentezza che le rende impercettibili.
Orbene, se la natura ha prodotto animali e piante, pochi per volta, cominciando in un caso e nell'altro dalle forme meno perfette, chiunque può capire che essa ha potuto diffondere, a passo a passo e a poco a poco, in tutte le acque e in tutti gli angoli della superficie terrestre, tutti quei viventi che sono derivati dai primi che essa ha formato.
Si ponga mente, adesso, all'enorme diversità delle condizioni di dimora, di esposizione, di clima, di nutrimento disponibile, di ambiente, che piante ed animali han dovuto tollerare a misura che le specie hanno dovuto mutare di luogo! E benché questi cambiamenti si siano svolti con lentezza estrema, in un tempo assai grande, la loro stessa realtà, imposta da cause diverse, ha nondimeno costretto la specie che li subiva a mutare gradualmente il modo di vivere e l'attività consueta.
Per effetto della seconda e terza legge sopra enunciate, i mutamenti obbligati dell'attività consueta han dovuto far nascere organi nuovi e han potuto poi svilupparli se il loro uso è poi divenuto più frequente. Questi mutamenti hanno anche potuto semplificare e poi annientare gli organi preesistenti quando fossero risultati inutili.
Altro fatto che ha contribuito a modificare il comportamento e quindi a diversificare le parti degli animali e a moltiplicare le specie è il seguente: A misura che gli animali, con successive migrazioni, cambiarono di dimora e si sparsero sulla superficie della terra, si vennero a trovare in circostanze nuove e furono esposti a nuovi pericoli che reclamarono nuove attività per scamparli; la maggior parte degli animali infatti si divorano a vicenda per sussistere.
Non ho bisogno di diffondermi in molti particolari per dimostrare l'influenza di questa causa che bisogna sempre aggiungere a quella che abbraccia le diverse condizioni delle nuove dimore, dei nuovi climi, dei nuovi modi di vivere che conseguono ad ogni migrazione, ma — mi si dirà — da quando gli animali si sono sparsi, a passo a passo, ovunque potessero vivere; da quando tutte le acque sono state popolate dalle specie che vi trovano sostentamento; da quando le zone aride del globo ospitano le specie che vi rinveniamo, è chiaro che si trovano in condizioni stabili, che le circostanze capaci di costringerle a dei mutamenti di attività non hanno più luogo; sicché tutte le specie, almeno da oggi in poi, si conserveranno in perpetuo invariate. A ciò rispondo che anche questa opinione mi sembra erronea, anzi, che sono convinto che sia tale. In verità è un errore veramente grosso supporre che uno stato di stabilità assoluta sussista, sulla superficie terrestre, in seno alle acque dolci e marine, nel profondo delle valli e sulle sommità delle montagne, nella disposizione e composizione di luoghi particolari, nei climi che caratterizzano oggi diverse parti della terra.
Tutte queste cose sembrano doversi conservare pressappoco nello stato in cui le vediamo, poiché non possiamo essere testimoni del loro cambiamento, poiché la nostra storia e i nostri documenti scritti non risalgono che a date troppo poco remote per convincerci del nostro errore. Tuttavia non mancano dati positivi in proposito, e, siccome non è questo il luogo di rammentarli, mi limiterò a esporre le mie opinioni in proposito.
Tutto cambia sulla superficie della terra, benché con lentezza estrema nei nostri riguardi, ed ogni mutamento espone necessariamente le specie vegetali ed animali a mutare a loro volta, il che contribuisce a farle diversificare senza discontinuità.
Si esamini, prego, il capitolo VII della prima parte della mia Philosophie zoologique, ove io considero dapprima l'influenza delle circostanze sulle attività e sulle abitudini degli animali e considero poi dette attività e abitudini in quanto cause modificatrici dell'organizzazione e delle parti dei viventi: si avvertirà allora, probabilmente, che ho validissimi motivi, non solo per riconoscere le influenze che indico, ma anche per asserire che:
Se vi è sempre una perfetta congruenza tra la forma delle parti e l'uso che l'animale ne fa - il che è incontestabile -, non è affatto vero che l'uso dipenda dalla forma delle parti, come dicono gli zoologi, ma è vero, al contrario, che sono stati i bisogni di agire in certi modi che hanno fatto nascere tali parti, è vero che è stato l'uso che le ha sviluppate e rese congruenti alle loro funzioni.
Se fossero state le forme delle parti a determinarne l'impiego, la natura non avrebbe avuto poteri, avrebbe dovuto essere incapace di svolgere alcune attività, di produrre alcun mutamento nei corpi. E le parti dei diversi animali, tutte create sin dall'inizio, cosi come gli animali stessi, avrebbero dovuto offrire fin d'allora altrettante diverse forme quante erano le circostanze in cui gli animali han da vivere. Se così fosse stato, le condizioni ambientali non avrebbero dovuto mai cambiare né avrebbero dovuto mai cambiare neppure le parti degli animali.
Niente di tutto ciò ha fondamento, niente di tutto ciò è conforme all'osservazione dei fatti, ai mezzi impiegati dalla natura per far esistere le sue numerose produzioni. Sono quindi del tutto convinto che le razze alle quali è stato dato il nome di specie, presentano caratteri di costanza relativa, temporanea, e che nessuna specie abbia costanza assoluta. Non c'è dubbio che esse sussisteranno identiche nei luoghi in cui abitano, fintantoché le circostanze che le riguardano non muteranno, forzandole a cambiare di abitudini.
Se le specie avessero davvero costanza assoluta non ci sarebbero varietà, ciò è sicuro e dimostrabile, né i naturalisti hanno potuto ignorarlo. Che si percorra lentamente la superficie terrestre, soprattutto da nord a sud, o viceversa, facendo tappa di tratto in tratto per aver tempo di ben osservare gli oggetti: si vedrà che le specie continuano a variare a poco a poco e in misura tanto maggiore quanto più ci allontaneremo dal punto di partenza, e nelle loro variazioni seguiranno in certo modo le variazioni dei luoghi, dell'esposizione particolare, e via dicendo. Talvolta si vedranno comparire anche delle varietà non prodotte da abitudini imposte dalle circostanze, ma contratte casualmente o in qualche altro modo. La stessa specie umana, essendo soggetta per la sua costituzione fisica alle leggi della natura, presenta cospicue varietà alcune delle quali paiono soggette alle cause esposte sopra.
Commento alla Quarta legge
Senza questa legge la natura non avrebbe potuto mai far diversificare gli animali, come in realtà ha fatto, né avrebbe potuto introdurre presso di loro la progressiva complicazione della loro organizzazione e delle loro facoltà. Io l'ho così enunciata nella Philosophie zoologique (vol. I, p. 235).
«Tutto ciò che la natura ha fatto acquistare o perdere agli individui, per influenza delle circostanze alle quali la loro razza è esposta da lungo tempo, e quindi per influenza dell'uso assiduo, intenso, di un organo o del disuso costante di una qualche parte, essa lo tramanda, mediante la riproduzione, ai nuovi individui provenienti dai primi, a condizione che le nuove acquisizioni siano comuni ai due sessi, o a quelli che hanno generato questi nuovi individui».
Questa mia prima enunciazione presenta alcuni particolari in più della seconda, che forse conviene conservare per loro sviluppi e per la loro applicazione, anche se sono quasi superflui. La legge di natura che fa trasmettere ai nuovi individui tutte le novità organizzative che i loro genitori hanno acquisito nel corso della vita è così vera, colpisce talmente, è talmente attestata dai fatti che non c'è alcuno studioso che non abbia potuto convincersi della sua realtà. Grazie a questa legge tutto ciò che in un organismo è stato delineato, acquistato o mutato a causa di abitudini nuove e durature: tendenze irresistibili prodotte dalle abitudini, conformazioni difettose e persino predisposizione a certe malattie, tutto ciò viene tramandato mediante riproduzione ai nuovi esseri generati da quelli che hanno subito le trasformazioni, tutto ciò si propaga, di generazione in generazione in tutti quelli che seguono e sono sottoposti alle medesime circostanze. Le nuove generazioni non han bisogno di acquisire queste modificazioni per il tramite che le ha originariamente prodotte.
In verità, quando vi è riproduzione sessuata, certe ibridazioni tra individui che non hanno subito in egual misura le stesse modificazioni organiche sembrano presentare qualche eccezione a questa quarta legge: gli individui, infatti, che hanno subito un qualche mutamento non sempre lo trasmettono, o lo trasmettono solo in parte ai discendenti. Ma è facile persuadersi che non si tratta di una autentica eccezione, dato che in tali circostanze la legge stessa non può trovare che un'applicazione parziale o incompleta.
Ritengo che tutti i fatti relativi all'organizzazione animale si spieghino facilmente mediante le quattro leggi che ho enunciato: è facile intendere il graduale complicarsi della organizzazione e delle facoltà degli animali, ed i mezzi impiegati dalla natura nel diversificare gli animali, e condurli tutti allo stato in cui li ritroviamo, diventano facilmente identificabili.
Posso rendere in certo modo più tangibili i meccanismi di cui parlo citandone almeno uno ad esempio tra quanti la natura ha impiegato per ottenere, negli animali, una complicazione crescente della loro organizzazione, e un progressivo accrescimento nel numero e nella perfezione delle loro facoltà.
Ma prima di questa esemplificazione dirò che, confrontando per ogni verso i fatti generali, si riconoscerà che, sia nel regno vegetale che in quello animale, la natura è partita da organismi che contenevano solo l'essenziale per il manifestarsi della vita più ridotta, ed ha in seguito compiuto cambiamenti diversi e graduali dell'organizzazione, conformemente ai mezzi che le condizioni degli esseri su cui operava le permettevano di adoperare.
Si vedrà cosi che presso i vegetali la natura, disponendo di ben pochi mezzi, a causa dell'assenza di irritabilità, non ha potuto far altro che modificare sempre più il tessuto cellulare di questi viventi e variarli in più modi all'interno, senza tuttavia mai giungere a trasformarne alcuna porzione in organo interno particolare, suscettibile di dare al vegetale una sola facoltà diversa da quelle comuni a tutti i viventi; e senza poter neanche stabilire, presso i diversi vegetali, una graduale accelerazione del movimento dei loro fluidi, un apprezzabile aumento, insomma, dell'energia vitale.
Presso gli animali, al contrario, la natura ha disposto, grazie alla contrattilità delle loro parti molli, di numerosi mezzi, ed ha quindi progressivamente modificato il tessuto cellulare, accelerando sempre più il movimento dei fluidi; ha anche complicato gradatamente l'organizzazione creando, uno dopo l'altro, organi interni speciali, li ha poi modificati secondo le varie occorrenze, li ha moltiplicati negli organismi più progrediti ed ha fatto cosi comparire, nei diversi animali, facoltà speciali diverse, gradatamente più numerose e più eminenti.
J.B. Lamarck, Storia naturale degli invertebrati (1815-1822) in Opere, a cura di P. Omodeo, Utet, Torino 1969, pp. 222-234