Come è sorta la vita sulla Terra?

Pietro Ramellini
Escherichia coli, batterio (organismo unicellulare prokariote) gran-negativo, che vive preferibilmente nella parte inferiore dell'intestino di animali a sangue caldo (uccelli e mammiferi).

Non lo sappiamo ancora, perché l'origine della vita è un problema irrisolto della biologia contemporanea. Le nostre conoscenze si fanno sempre più incerte man mano che si risale nel tempo dai primi organismi unicellulari alla comparsa delle prime biomolecole e delle macromolecole. Sono state proposte molte ipotesi, ma non c'è una teoria condivisa in grado di ricostruire le tappe storiche e le catene causali che hanno portato all'emergenza della vita. La scienza procede in due direzioni, con la simulazione di ambienti e di processi primordiali, e con la ricerca di testimonianze fossili. Procede anche la riflessione teorica sulle nozioni di vita e organismo, mentre il futuro si apre verso la ricerca di organismi extraterrestri e la progettazione della vita artificiale.

La vita rappresenta un’emergenza sul resto della natura inerte, soprattutto per la presenza di una nuova forma di organizzazione che conferisce unità funzionale all’organismo. Quanto è attendibile la ricostruzione scientifica di tale emergenza?

La natura si presenta all'osservazione scientifica come un sistema strutturato su molti livelli di organizzazione e inclusione, dalle particelle subatomiche all'intero universo; spesso, il passaggio da un livello all'altro si è realizzato nel tempo attraverso l'emergenza di nuovi fenomeni e proprietà, come la temperatura in fisica, la molecolarità nella chimica e appunto la vita in biologia.

Da qui a ricostruire con precisione questi processi genetici corre però una grande distanza, che si fa sentire sempre più quanto più elevato è il livello di strutturazione considerato: se è già difficile descrivere l'emergenza di una molecola in termini di meccanica quantistica, possiamo ben capire quali problemi ponga una teoria sull'origine della cellularità o della coscienza.

Le ricostruzioni scientifiche hanno quindi un carattere inizialmente ipotetico, per poi trasformarsi in teorie quando siano state vagliate relativamente alla loro coerenza interna e con le conoscenze precedenti, nonché testate a livello osservativo e sperimentale. Ciò non va considerato come una debolezza del pensiero scientifico: al contrario, la forza della scienza risiede proprio nella disponibilità ad arricchire i dati empirici, precisare o confutare anche le teorie più consolidate, e proporre nuove ipotesi e modelli.

Nel caso specifico dell'origine della vita, il nostro livello di comprensione si fa via via più incerto man mano che ci avviciniamo all'evento cruciale, cioè alla comparsa delle prime cellule. Sull'origine delle prime piccole biomolecole, disponiamo così di buone conoscenze, che si fondano sullo scenario teorico messo a punto da Alexander Oparin negli anni '20 del Novecento, su una lunga serie di esperimenti inaugurata da Stanley Miller negli anni '50, e sulla scoperta di molecole organiche e biologiche su meteoroidi e comete, nelle nebulose e nello spazio interstellare. Riflettendo poi sul fatto che molte reazioni di biosintesi avvengono con perdita d'acqua, Sidney Fox è riuscito a compiere un passo ulteriore, producendo corte catene peptidiche per disidratazione di aminoacidi su blocchi di lava calda. Quanto all'emergenza delle cellule, sono in corso sperimentazioni di punta su vescicole e liposomi; in queste strutture dotate di una semplice membrana vengono inserite miscele di enzimi e altre macromolecole, con l'obiettivo di dare inizio a un metabolismo di base e, possibilmente, a processi di riproduzione.

Quanto ai tempi, sappiamo che la vita sul nostro pianeta è comparsa almeno 3,8 miliardi di anni fa, in condizioni ambientali molto diverse da quelle odierne; una volta definitivamente affermatasi, la vita non si è più interrotta, superando grandi crisi biologiche in un continuo contrappunto di competizione e cooperazione tra gli organismi.

 

Il fenomeno della vita è stato da sempre posto in relazione con la volontà creatrice di Dio. L’idea che la vita abbia avuto origine da lente trasformazioni o sia giunta sulla Terra da altri mondi contrasta con l’ipotesi che essa sia dovuta alla volontà di un Dio Creatore?

Quanto alla compatibilità tra l'origine spontanea dei primi organismi e una volontà creatrice divina, la teologia cristiana non pone difficoltà di principio. L’intenzionalità di un creatore personale trascende il piano dei processi fisici o biologici. Possiamo vederlo attraverso un paragone: se voglio produrre dei cubetti di ghiaccio metterò dell'acqua nel congelatore; l'acqua si trasformerà allora in ghiaccio in modo spontaneo, in accordo a una causalità fisica e chimica immanente; ciò però non sarà in contrasto con la mia intenzione di rinfrescare la bibita con il ghiaccio.

Detto in maniera più filosofica, si può benissimo concepire un Dio personale che crei un universo in un modo tale che al suo interno, date certe leggi e condizioni iniziali, possa prima o poi comparire, in determinati luoghi e ambienti, la vita; persino l'intervento del caso (qualunque cosa ciò significhi) non nega l’esistenza di un Creatore, in quanto anche i processi casuali seguono comunque leggi probabilistiche, che sono anch'esse leggi naturali.

L'ipotesi della panspermia, ovvero che la vita sia giunta sulla Terra dallo spazio, ad esempio, attraverso comete o asteroidi, non offre una risposta alternativa alla volontà di un Creatore: l’ipotesi non “risolve” il problema dell’origine, ma semplicemente lo sposta in un altro tempo e luogo.

Tuttavia, occorre chiarire che sia per quanto riguarda l’inizio del cosmo (Big Bang, ad esempio) sia per l’inizio della vita, i processi che potrebbero spiegare tali inizi non sono atti creativi in senso stretto; infatti, mentre secondo la definizione teologica classica la creazione avviene ex nihilo sui et subiecti, cioè dal nulla, il Big Bang presuppone enti fisici (geometria, energia, materia, informazione, etc.) già esistenti; così pure, quando intendiamo spiegare scientificamente l'origine della vita non pensiamo alla comparsa delle cellule dal nulla, bensì da precursori materiali già presenti sulla Terra. La creazione, secondo la teologia, è un atto continuo, una relazione fra la creatura e Dio Creatore: dire che la creazione spiega l’origine di qualcosa, vuol dire che essa spiega la relazione causale fra l’intenzionalità creatrice di un Creatore e l’essere di tutto ciò che esiste. Tale relazione è compatibile con i diversi modi con cui processi fisici o biologici spiegano l’inizio del cosmo o della vita, nel tempo.

 

La scienza impiega una definizione di vita? La fede cristiana ha una definizione di vita da proporre?

Il problema di definire la vita è uno dei più spinosi della biologia e della filosofia della natura. Anche limitandosi alla sola vita di tipo terrestre, escludendo cioè ipotesi e fantasie su alieni e vita artificiale, sono state proposte molte definizioni diverse e talvolta francamente alternative.

Anziché proporre la solita lista delle proprietà caratteristiche dei viventi, dal metabolismo all'informazione genetica, proviamo a costruire qualche definizione generale a partire da un caso particolare, ad esempio un gatto che miagola in giardino. Esso si presenta innanzitutto come un corpo continuo nello spazio, macroscopico e delimitato da un confine abbastanza netto; con il passare del tempo, esso è attraversato da un flusso di materia, che comprende uno scambio con l'esterno (ad esempio attraverso la respirazione) e un ricambio interno (ad esempio sostituendo le cellule che muoiono). Tale flusso materiale viene “incanalato” dal gatto in modo tale da mantenere nel tempo sia il proprio corpo sia la capacità stessa di incanalamento. Anzi, questa capacità di incanalamento è più importante del flusso stesso: così, negli embrioni congelati il flusso di materia è bloccato, eppure finché sono capaci di riprenderlo una volta scongelati possiamo dire che sono vivi. Infine, la capacità di incanalamento e il suo esercizio avvengono soprattutto grazie a certi polimeri del carbonio, tra cui ovviamente i DNA e le proteine. Possiamo dunque definire un corpo vivente di tipo terrestre come un corpo macroscopico capace di canalizzare, grazie ai polimeri del carbonio, un flusso materiale tale da mantenersi, e da mantenere una capacità di canalizzazione identica o quasi; la vita è allora il possesso di questa capacità, e la morte è la cessazione della vita.

Quanto alla fede cristiana, essa non si occupa di fornire una “definizione” di vita; tuttavia, sia la riflessione dell’Antico Testamento sul Dio vivo e fonte della vita, sia quella del Nuovo Testamento sul Verbo incarnato come via, verità e vita, hanno storicamente condotto la teologia a formulare una nozione analogica di vita; su questa base, Dio è il Vivente per eccellenza, mentre la vita studiata dalla biologia è una forma derivata e partecipata di quella vita che esiste in Dio in pienezza.

 

Di fronte alla varietà, all’esuberanza, ma anche alla bellezza e all’armonia delle forme e delle funzioni delle specie viventi, si resta sorpresi. Si tratta di una ricchezza sempre e soltanto riconducibile a semplici criteri di sopravvivenza e di adattamento all’ambiente?

Diciamo intanto che la vita appare diversa a seconda del punto di vista da cui la si considera: è ricca ma anche povera, confinata com'è in un remoto angolo dell'universo (o in tanti remoti angoli, se così fosse); è complessa ma anche semplice, nella sua unità biochimica e filogenetica; è bella ma anche terribile, nella sua sovrana indifferenza alla sofferenza del singolo organismo; e così via. Quando si pensa biologicamente, occorre dunque tener presente l'enorme varietà dei viventi, con i loro processi e strutture e nelle loro relazioni ambientali, in una prospettiva che comprenda tutte le interazioni simbiotiche, sociali e più in generale ecologiche.

Ad esempio, quando si propone una definizione di vita si pensa al minimo indispensabile, cioè alla pura e semplice sopravvivenza; solo in questo modo si soddisfa infatti all'esigenza di una concezione davvero globale della vita. Tuttavia, nella maggior parte dei casi gli organismi non si limitano a resistere alle avversità, alle malattie e alla morte; piuttosto, essi sono costituiti in modo tale da crescere e interagire, espandersi e riprodursi, e fanno ciò ogni volta che le condizioni ambientali sono favorevoli. Questa potenzialità di sviluppo e generazione non ha avuto bisogno della biologia per essere compresa, se pensiamo ad esempio alla definizione aristotelica della vita, basata non solo sulla distruzione ma su nutrizione e accrescimento; a questa propensione si aggiungono poi il cambiamento e la variazione da una generazione all'altra, in una continua esplorazione dinamica di illimitate possibilità evolutive; in questo caso, il meccanismo di base è quello della mutazione genetica, che non va intesa solo come errore e patologia, ma innanzitutto come generazione di varianti sempre nuove; gli organismi portatori di questi cambiamenti si confronteranno poi con l'ambiente di vita, non solo per adattarsi a esso, ma anche per modificarlo attivamente a favore di sé stessi e della propria discendenza.

Questa duplice potenzialità, che possiamo riferire ai concetti di riproduzione quasi invariante e di discendenza con modificazioni, è dunque alla radice – ovviamente insieme alla capacità di mantenimento di base – dell'immensa biodiversità che scopriamo ogni giorno a tutti i livelli biologici; per dirla con Darwin, «c'è davvero del grandioso in questa idea della vita, che nella sua inesauribile potenzialità ha prodotto, attraverso l'evoluzione, infinite forme bellissime e meravigliose» (dalle conclusioni di L’origine delle specie, 1859).

   

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Glossario: 

Composti organici caratterizzati dalla presenza nella molecola di un gruppo carbossilico, COOH, e di un gruppo amminico, NH2. Gli aminoacidi isolati in natura sono oltre 300; si possono trovare allo stato libero, nei tessuti e nei liquidi degli organismi, o legati in catene (peptidi) a basso peso molecolare. Sono i costituenti delle proteine. Degli aminoacidi costituenti le proteine alcuni non sono sintetizzati nell’organismo umano ma devono essere introdotti attraverso l’alimentazione.

Sigla con cui viene indicato l’acido desossiribonucleico, macromolecola che contiene l’informazione genetica degli organismi viventi. La sua caratteristica struttura a doppia elica fu scoperta nel 1953 da Francis Crick e James Watson (cui venne assegnato, insieme a Maurice Wilkins, il Premio Nobel per la medicina nel 1962). La doppia elica del DNA ha la capacità di autoreplicarsi, rendendo possibile la trasmissione dell’informazione genetica dalla cellula madre alle cellule figlie. La scoperta e lo studio del DNA hanno aperto la strada alle ricerche sul genoma umano e a nuove sperimentazioni nel campo della genetica.

Indica, specie in biologia e nelle scienze naturali, la comparsa di una realtà con proprietà nuove rispetto a quelle presenti nei componenti di cui è eventualmente parte, oppure con proprietà che non possono essere interamente dedotte dalle altre realtà di cui è effetto. Ad esempio le proprietà della molecola dell’acqua rappresentano un’emergenza rispetto alle proprietà degli atomi di idrogeno e di ossigeno di cui questa molecola è composta. Nella teoria dei sistemi – fisici, biologici, economici, sociali, etc. – il comportamento di uno stato complesso si dice emergente ove emergano proprietà inspiegabili sulla sola base delle leggi che governano le sue componenti, spesso originate da interazioni non-lineari tra le componenti stesse (cioè interazioni descrivibili con equazioni differenziali alle derivate parziali). Le proprietà emergenti sono considerate una delle caratteristiche che rendono poco fondato ogni progetto di riduzionismo teoretico, ovvero ogni tentativo di spiegare il comportamento dei sistemi complessi impiegando soltanto le leggi generali che governano il comportamento dei loro costituenti elementari.

Molecole costituite da un elevato numero di atomi e aventi un peso molecolare particolarmente rilevante. Il significato del termine “macromolecola” è parzialmente sovrapponibile a quello di “polimero”, ma solitamente con quest’ultimo si indicano molecole prodotte da reazioni di sintesi. Le macromolecole, invece, sono fondamentalmente molecole di origine biologica, come i polisaccaridi, gli acidi nucleici (come il DNA), le proteine.

Essere vivente, animale o vegetale, composto da una pluralità di organi e capace di autoconservarsi, rispondere agli stimoli provenienti dall’ambiente, autoregolarsi e riprodursi. Dotato di una propria struttura biochimica specifica, l’organismo va considerato come una totalità individuale, che conferisce unità a tutte le sue parti, caratterizzata da un rapporto strutturale e armonico tra le parti componenti e in una relazione di scambio con l’ambiente in cui è inserito.

Rielaborazione in chiave moderna di un’antica teoria biologica secondo la quale i “semi” della vita sarebbero sparsi nell’Universo e si svilupperebbero laddove incontrano condizioni opportune, ritenendo che essi possano giungere da altri pianeti, attraverso meteoriti o altro materiale “spaziale”. L’idea, nata con Anassagora, è stata ripresa più recentemente da scienziati come Fred Hoyle e Francis Crick. Al momento la teoria si fonda su elementi indiretti, nessuno dei quali conclusivo, come la presenza di materiale organico (non vivente) su alcuni meteoriti e la possibilità di sopravvivenza di batteri in condizioni estreme, che potrebbero assomigliare a quelle dello spazio interplanetario e interstellare. La teoria della panspermia non risolve l’interrogativo circa il perché dell’origine della vita, ma semplicemente lo sposta dal pianeta Terra ad altri scenari cosmici.