Queste sono le ragioni per cui io credo che forme specifiche non siano immutabili. Le affinità di gruppi differenti, l’unità di tipi di struttura, le forme rappresentative attraverso le quali passa il feto, la metamorfosi, di organi, lo stato abortivo di altri, cessano di essere espressioni metaforiche e diventano fatti comprensibili. Non consideriamo più un animale come un selvaggio fa con un vascello o con un’altra grande opera d’arte, come una cosa completamente al di là della comprensione, ma proviamo un interesse di gran lunga maggiore nell’esaminarlo. Come interessante è ogni istinto, quando si medita sulla sua origine, come un’abitudine ereditaria o congenita o prodotta dalla selezione di individui lievemente diversi dai loro genitori. Dobbiamo vedere in ogni meccanismo e istinto complicato, quasi il sommario di una lunga storia di utili espedienti, molto simile ad un’opera d’arte. Come diviene interessante la distribuzione di tutti gli animali quando getta luce sulla geografia antica (vediamo alcuni mari superati per mezzo di ponti). La geologia perde parte della sua gloria per l’imperfezione dei sui archivi, ma quanto guadagna nell’immensità dei periodi delle sue formazioni e degli intervalli che separano queste formazioni. Vi è molta grandezza nel considerare gli animali esistenti sia come discendenti diretti delle forme sepolte sotto migliaia di piedi di materia o come i coeredi di qualche ancora più antico antenato. Ciò si accorda con quanto conosciamo delle leggi imposte dal Creatore alla materia, cioè che la creazione e l’estinzione di forme, come la nascita e la morte degli individui, siano l’effetto di mezzi [leggi] secondari. È irrilevante che il Creatore di innumerevoli sistemi di mondi abbia creato ciascun individuo dalle migliaia di parassiti nascosti e vermi [del fango] che pullulano ogni giorno dell’esistenza, sulla terra nell’acqua del [questo] globo. Smettiamo di stupirci, per quanto si possa deplorarlo, che un gruppo di animali sia stato creato direttamente per deporre le sue uova nei visceri o nelle carni di altri che alcuni organismi traggono piacere dalla crudeltà – che gli animali siano trascinati da falsi istinti – che ogni anno vi sia uno spreco incalcolabile di uova e di polline. Possiamo vedere che il bene più alto che si possa immaginare, la creazione degli animali superiori, è derivato direttamente da morte, carestia, rapine e guerra segreta della natura. Senza dubbio ciò a tutta prima trascende le nostre umili facoltà di immaginare leggi capaci di creare organismi singoli, ognuno caratterizzato dalla più squisita abilità e da estesissimi adattamenti. Si accorda meglio con [la nostra modestia] la debolezza delle nostre facoltà, il supporre che ciascuno abbia bisogno del «fiat» di un creatore, ma nella stessa proporzione l’esistenza di tali leggi esalterebbe il nostro concetto della potenza del Creatore onnisciente. L’ipotetico spirito creativo non crea il numero o il tipo che è per analogia adattato al luogo (ad esempio la Nuova Zelanda): non li fa tutti adattati in permanenza a qualche regione – lavora su zone o aree di creazione – non persiste per grandi periodi – crea forme dello stesso gruppo nelle stesse regioni, senza somiglianze fisiche – crea su isole o sulle vette dei monti specie affini a quelle circostanti e non alla natura alpina come si vede su altre vette montuose – perfino differenti su differenti isole di un arcipelago a struttura simile, non create in due punti: mai creati mammiferi su piccole isole isolate; né quantità di organismi adattati alla località; il suo potere sembra influenzato o collegato alla distribuzione di altre specie completamente distinte, dello stesso genere – tutti i gruppi della stessa classe, non vengono interessati ugualmente dal numero delle differenze.
Vi è una semplice grandezza nel considerare la vita, con le sue capacità di sviluppo, assimilazione e riproduzione, come se fosse originariamente insufflata nella materia sotto una o poche forme e nel fatto che, mentre questo pianeta ha ruotato in orbite rispondenti a leggi fisse e terra e acqua, in un ciclo di trasformazione, si sono sostituite l’una all’altra, da così semplice origine, attraverso il processo di selezione graduale di cambiamenti infinitesimi, si è evoluta una quantità infinita di forme bellissime e mirabili.
Dalle Conclusioni della Prima Edizione de L’Origine delle Specie (novembre 1859)