Cinque anni dopo la pubblicazione dell’enciclica Veritatis Splendor, riceviamo una nuova enciclica, nella quale la verità appare nuovamente come valore centrale. Questa volta l’enciclica è indirizzata ai Pastori della Chiesa, ai quali compete l’obbligo di servire la verità (cfr. n. 2). Nella parte finale di Fides et Ratio, tuttavia, l’appello del Pontefice si rivolge ad ambiti diversi che dovrebbero essere uniti dalla comune ricerca della verità. Questo appello diventa un richiamo alla solidarietà spirituale per rendere possibile una efficace difesa dei valori razionali e morali attualmente minacciati, riconosciuti anche al di fuori del pensiero cristiano. Tale invito è indirizzato anzitutto ai teologi, a cui è affidata la cura della dimensione metafisica della verità, nonché la formazione dei futuri Sacerdoti aperta sia alla grande Tradizione del passato, come pure al dialogo contemporaneo tra Chiesa e mondo (cfr. n. 105). Di seguito, nell’appello rivolto ai filosofi, Giovanni Paolo II, li esorta affinché invariabilmente formino la consapevolezza della verità come valore e la sensibilità al bene presente nella verità. Nelle parole rivolte agli scienziati, esprimendo stima per le loro scoperte, il Papa rivolge un appello affinché nel campo della loro specializzazione, conservino l’apertura all’aspetto sapienziale della ricerca.
Esso riguarda i grandi interrogativi che vanno oltre le possibilità conoscitive delle scienze naturali, aventi però una grande importanza per la formazione della personalità dell’uomo, come pure per la sua apertura al Mistero (cfr. n. 106). Nell’ultima esortazione, rivolta a tutti, il Santo Padre invita ad atteggiamenti che si contrappongono alle grandi illusioni della modernità. Formiamo questi atteggiamenti attraverso la cooperazione, nella costante ricerca di verità e di senso, facendo proprio uno stile di vita nel quale l’uomo non è un essere sradicato dal valore, ossia trascinato dalle vorticose correnti degli avvenimenti. La grandezza dell’uomo può realizzarsi soltanto nella sua integrazione intellettuale, che si manifesta quando il cercatore di senso – animal rationale – “decide di radicarsi nella verità, costruendo la propria casa all’ombra della Sapienza e abitando in essa” (cfr. n. 107).
Ai cercatori di senso
La verità rivelata dal Cristianesimo non è una verità astratta, sulla quale si possono condurre pure discussioni accademiche di stile “alla Pilato”. Essa ha un carattere concreto, personale, grazie al quale sulla via della Chiesa pellegrina, Gesù Cristo, nella sua concreta esistenza, si rivela a noi come “Via, Verità e Vita, guidandoci alla Casa del Padre, verso i più alti valori” (cfr. n. 2). La Chiesa ha presente questo, conducendo l’opera di evangelizzazione, affinché sia difesa la verità sulla dignità dell’uomo creato e redento da Dio. Il motivo della dignità umana, così essenziale per la prima enciclica di Giovanni Paolo II, domina ancora più nella nuova enciclica, come verità centrale nell’annuncio cristiano della salvezza (cfr. n. 102). Nella visione che presenta Fides et Ratio, l’uomo appare come un essere alla ricerca della verità, che solleva grandi interrogativi sul senso della vita, sulla natura del bene e del male morale, sulla gerarchia dei valori che dovrebbero ispirare la ricerca umana della felicità.
Sulla base dell’intellettuale legame dell’uomo con il mondo, si trovarono infatti esperienze di profonda meraviglia. La ricerca di risposte razionale alle domande emergenti da questa meraviglia, ha dato inizio alla filosofia nell’antica Grecia. Un’importante minaccia di questo atteggiamento intellettuale fatto proprio dal cristianesimo come eredità dell’Ellade, appare nel caos del pensiero contemporaneo, nel quale si mette in dubbio la possibilità di arrivare alla verità obiettiva. In alcune correnti del pensiero contemporaneo, si osa, al contrario, presentare la verità, come disvalore. Alle parole di Gesù “La verità vi farà liberi” (Gv 8, 32), si contrappone oggi il popolare slogan “La verità vi rende schiavi”. Ciò costituisce un monito di fronte al cosiddetto imperialismo della verità, il quale afferma che in nome della verità si può praticare il fanatismo, giustificare l’odio, la sopraffazione o imporre agli altri le proprie convinzioni.
Nondimeno si può negare, che ogni verità può essere utilizzata in modo scorretto, volgendola a danno del prossimo già la scoperta del fuoco, ai tempi della comunità primitiva, poteva essere adoperata per rivalizzare sul reddito. L’energia atomica può essere utilizzata per il riscaldamento dei cittadini delle metropoli, come pure può essere rivolta alla loro distruzione. Questo, tuttavia, non autorizza a contestare la verità come valore, né a trattarla come strumento di schiavitù. Afferma invece, la nostra comune responsabilità per la verità nel mondo, nella quale la persona umana redenta da Cristo, deve essere posta come valore centrale. Negli areopaghi moderni si possono incontrare persone smarrite, che non riescono più a cercare la verità, poiché nel vortice della vita si sentono “come pecore senza astore” (Mc 6, 34). Verso di loro volge la sua sollecitudine pastorale Giovanni Paolo II, intravedendo il dramma contemporaneo “della falsa modestia dell’uomo, che si accontenta di verità parziali e provvisorie, senza più tentare di porre domande radicali sul senso e sul fondamento ultimo della vita umana” (cfr. n. 5).
Nell’evangelico racconto della moltiplicazione dei pani, gli ascoltatori di Gesù dimenticarono la fame fisica per colmare soprattutto la fame di senso ritrovato nelle parole di Gesù. Questa fame di senso, rimane ancora oggi, un bisogno non meno essenziale della fame di pane. Aprendosi ai nuovi problemi che insorgono nel cure della cultura contemporanea, il Papa cerca di indicare la strada che conduce al senso e alla verità tutti coloro che si sentono oggi in modo particolare minacciati dall’assurdo, dallo scoraggiamento e dalla disperazione. La grande eredità di pensiero, che ha ispirato contemporaneamente i classici modelli di bellezza, come pure i grandi interrogativi del medioevo, è rimasta invariabilmente vicina agli interessi fondamentali dell’uomo contemporaneo. A quelli che vorrebbero trattare la modernità soprattutto come epoca di grandi crisi, anche crisi di fiducia nella ragione, Giovanni Paolo II presenta una proposta di grande armonia conoscitiva che riunisce la fatica dei filosofi e dei teologi. In questa prospettiva, la nostra ricerca di senso non è affatto una nuova forma della fatica di Sisifo. Essa conduce ad una grande avventura intellettuale grazie alla quale la filosofia è chiamata a prestare “la sua opera razionale e critica, affinché la teologia, come comprensione della fede, sia feconda ed efficace” (cfr. n. 108).
La verità nel supermercato
Per i più grandi pensatori dell’epoca Illuminista, il mondo appariva ordinato, razionale ed interiormente unito. Il segno del suo ordine era visto anche nella scienza, la quale doveva fornire delle verità appaganti la razionale ambizione dell’uomo. “Una è l’etica e una la geometria”, si ripeteva nei circoli degli enciclopedisti francesi, ricercando una ben diversa interpretazione, che avrebbe fornito delle risposte ai grandi interrogativi che assillano l’uomo. In contrasto con simili dichiarazioni, il secolo XIX portò la scoperta della geometria non euclidea. Ne risultò che la geometria, la quale appassionava le menti umane dai tempi di Euclide, non doveva essere affatto unica. Al contrario, la mente può creare un numero infinito di sistemi geometrici diversi da quello presentato da Euclide, per affermare la coesistenza dei diversi sistemi dell’etica, necessita ancor meno sforzo. Non servono allora neppure le speculazioni teoretiche sul quinto postulato di Euclide, poiché è sufficiente scorgere la profonda differenza dei valori morali, oggi evidenti non solo fra i rappresentanti di culture distanti, ma anche fra i rappresentanti di ambienti diversi nelle grandi metropoli cittadine. Tale diversità di valori conduce molte persone a facili incanti con la sensazione di un totale smarrimento intellettuale. Nella profonda selva di teorie differenziate, esse si sentono come un bambino smarrito al supermercato. La maggioranza dei prodotti appare loro attraente, interessante, di valore. Non vedono motivo per ammettere che soltanto uno di essi soddisfa le attese esigenze e soltanto uno soddisfa le loro necessità.
Il supermercato funziona secondo i principi della pragmatica e dell’economia. Qualora qualcuno volesse ricercare in esso la verità obiettiva, dovrebbe guardare alla più vicina epoca. Per non urtare lo stile che è passato irrevocabilmente, molti contemporanei cercano di cambiare la ricerca della verità caratteristica per la specie umana in un insieme di comportamenti pragmatici. Questi, allora, in nome della pragmatica, oltremodo facilmente, tentano di rinunciare alle grandi ambizioni conoscitive, che per secoli designavano, per il genere “homo sapiens”, l’ambiente naturale. In conseguenza allo sviluppo dell’idea che Nietzsche cercò di divulgare, nel secolo scorso, venne annunciata dapprima la morte di Dio e poi si svilupparono molte correnti teologiche della morte di Dio. Tuttavia risultò che, nel mondo dal quale è scomparso Dio, Straordinariamente di rapida morte muore anche l’uomo. Nelle influenti correnti dello strutturalismo ideologico, è stata dichiarata ufficialmente la morte dell’uomo e si è annunciato che l’antropologia si trasforma in antropologia. Quest’ultima può misurare l’entropia e sottolineare il grado di disordine di un dato sistema; tuttavia essa non offre nessuna base per dichiarazioni circa la dignità dell’uomo o sui suoi inviolabili diritti. Nella complessa realtà delle strutture descritte nel circolo delle influenze di Michele Foucault, al posto dell’ambiziosa dichiarazione di Cartesio, “penso, allora sono” appare “cogito, ubi sum” – “penso là dove sono”, poiché le strutture che ci circondano influiscono in modo sostanziale sul contenuto dei nostri processi mentali. Così come il cliente al supermercato cambia le sue precedenti valutazioni, passando a nuovi reparti, osservando nuovi involucri e reclami, similmente, l’uomo moderno modifica il suo essere sotto l’influsso che proviene dall’ambiente culturale, dai successi della tecnica e dagli stimoli che agiscono nel subcosciente. La vicendevole spinta di queste influenze, fa sì che sia sempre più difficile conservare la fede in senso obiettivo, il quale esisterebbe – come le idee di Platone – indipendentemente dalla attività della nostra psiche. Di qui pure come naturale conseguenza della enunciazione sulla morte dell’uomo, inteso come soggetto di riflessione razionale, si ebbero le dichiarazioni che annunciavano la morte del senso obiettivo.
Se il senso obiettivo delle nostre teorie e formule è ritenuto come irraggiungibile utopia, non si vede allora la possibilità di mantenere la precedenti teorie della verità obiettiva. Attualmente, nella critica popolare del pensiero illuminista, sempre più frequentemente si può incontrare il rifiuto totale sia della fede illuminata dalla ragione, sia pure della fiducia verso le scienze naturali. Ancora 70 anni fa, i critici della metafisica, membri del circolo Viennese, come ideale di conoscenza scientifica presentarono la fisica. Oggi, come modello dell’attività intellettuale dell’uomo, è spesso presentata la letteratura. Sia in essa, come nella fisica, un ruolo principale hanno l’immaginazione, la fantasia e la finzione. Alcune interpretazioni fisiche nell’ambito della meccanica quantistica, ad es. l’ipotesi riguardante la cosiddetta fusione fredda, si conquistarono il nome di ballate. È questa d’altronde una terminologia comoda. Nessuna persona ragionevole avrà delle pretese, se non conosciamo le “ballate” eseguite da qualche complesso che occupa attualmente un posto elevato nell’elenco delle canzoni di successo. Nella prospettiva della teoria annunciante la morte di senso, non si deve parimenti pretendere da nessuno che abbia sentito parlare di genetica o della teoria di Einstein. Eppure questo tipo di ballate non deve interessare persone, che al supermercato della cultura contemporanea non cercano affatto altri valori. In questo modo si può giustificare ogni forma di antintellettualismo, cancellando la diversità elementare fra verità scientifica e finzione letteraria, fra fedeltà e tradimento.
Se la verità rimane irraggiungibile per le scienze naturali, per le quali i risultati e le applicazioni nella nostra epoca sono particolarmente spettacolari, tanto più non ci si deve illudere, poiché si verrebbe a scoprire le definitive e immutabili verità nel campo della filosofia. La morte della scienza va di pari passo con la morte della filosofia. Poiché le successive informazioni sulla morte fornite in alcuni circoli frequentemente, sono divenute già poco originali, alcuni, invece “sulla morte della filosofia”, preferiscono parlare eufemisticamente, della “fine della metafisica”. L’enciclica si mostra aperta verso coloro che dicono di non credere nella ragione o di nutrire sfiducia nei confronti dei suoi risultati conoscitivi. Con sollecitudine scrive circa le proposte dei simpatizzanti “della fine della metafisica”, i quali vorrebbero rinunciare alle sagge tradizioni della filosofia e limitare gli interessi di questa ultima a compiti più modesti, concentrando l’attenzione alla sola interpretazione dei fatti o alla riflessione metascientifica, riguardante i grandi interrogativi della filosofia classica (cfr. n. 55).
Al fine di superare il pessimismo, che porta in sé la tentazione di una facile rinuncia della verità, Giovanni Paolo II, invita ad unire gli sforzi della filosofia e della teologia. In questa unione, la fede diviene difesa della ragione (cfr. n. 56). Le nostre razionale predisposizioni e la collaborazione di Dio che rivela le verità fondamentali per l’esistenza umana, possono far superare la facile rassegnazione con l’instaurazione di “una relazione armoniosa ed efficace fra la teologia e la filosofia” (n. 63). Il manifesto di ottimismo conoscitivo e la fede nella ragione li ritroviamo nell’appello del Santo Padre. “Alla luce della fede che riconosce in Gesù Cristo il suo senso ultimo, non posso non incoraggiare i filosofi, cristiani o meno, ad aver fiducia nelle capacità della ragione umana e a non prefiggersi delle mete troppo modeste nel loro filosofare. La lezione della storia di questo millennio, che stiamo per concludere, testimonia che questa è la strada da seguire: bisogna non perdere la passione per la verità ultima e l’ansia per la ricerca, unite all’audacia di scoprire nuovi percorsi. È la fede che provoca la ragione ad uscire da ogni isolamento e a rischiare volentieri per tutto ciò che è bello, buono e vero” (n. 56).
In queste parole dell’enciclica vedo l’essenza del suo messaggio. La cultura contemporanea non deve condurre al suicidio la nostra eterna nostalgia per la verità. Al supermercato non si deve tuttavia chiedere del settore dei “trascendentali”. Per ritrovare questi ultimi ed assumere i grandi interrogativi circa la verità, il bene e la bellezza, occorre scorgere questa realtà estesa al di là dello spazio del supermercato.
La cultura delle trasformazioni e le verità immutabili
Quali cambiamenti culturali hanno determinato il fatto che la Chiesa debba difendere oggi sia la riflessione razionale, come pure altri valori attribuiti tradizionalmente all’eredità dell’Illuminismo? Perché la nostalgia umana per la verità sembra essere sottoposta oggi a particolare prova? Si possono enumerare alcuni fattori indipendenti, i quali fiorirono mettendo in dubbio molti valori fondamentali per l’evoluzione culturale dell’uomo. La caduta di due sistemi totalitari costruiti nel XX secolo, ha permesso di guardare criticamente alla mistificazione degli ideologi il cui canto della sirena aveva affascinato dapprima molti famosi intellettuali della nostra epoca. Dalla prospettiva di un eccidio, accolto in nome di sublimi parole d’ordine come “razza superiore” oppure “classe-forza trainante della nazione”, si può scoprire: l’illusione di quelle prognosi del diciannovesimo secolo che avevano presentato il nostro secolo come periodo di straordinari successi della scienza e della tecnica. Esempi di quest’ultima hanno fornito sia i crematori di Auschwitz, costruiti secondo i principi della termodinamica, come la pratica comunista, nella quale le scoperte tecniche più nuove erano utilizzate per costruire lo stato di polizia, simile ai modelli descritti da Orwell nel “1984”.
La delusione derivante dalla lacerazione fra le elevate prognosi e la pratica totalitaria, ha prodotto la crescita dello scetticismo. Esso è cresciuto non solo nei confronti delle dichiarazioni dei politici e di quei rappresentanti delle scienze sociali, quali avevano distrutto la diversità fra verità ed illusione, ma si è creato un clima di delusioni e sospetti tale, per cui veniva trattata con diffidenza qualsiasi ottimistica dichiarazione del futuro. Si cambiava pure l’atteggiamento nei confronti delle applicazioni della tecnica.quelli che, ancora non molto tempo fa, unirono grandi speranze ai successi della tecnica, incominciarono presto a battersi nel cassandrico tono, trattando la tecnica soprattutto come strumento di schiavitù. Intanto i successi della tecnica sono indiscutibili e ancora conducono la nostra cultura verso profondi cambiamenti. La rivoluzione informativa, associata alle applicazioni dell’Internet, è spesso paragonata alla rivoluzione di Gutenberg, legata all’invenzione della stampa. Ma il problema è questo, che la rivoluzione di Gutenberg si estese in un lungo periodo di tempo. L’utilizzo dei suoi frutti richiese uno sforzo intellettuale legato, se non altro, all’insegnamento della letteratura. L’Internet non pone invece queste esigenze, esso porta una valanga di informazioni figurative, nelle quali diventa sempre più difficile sottolineare il limite fra la finzione e la verità. L’arrivo veloce dell’informazione fa sì che il mondo è diventato orami un villaggio globale, nel quale il medesimo telegiornale riferisce a caldo le informazioni negli angoli più lontani nella campagna globale è difficile cercare il senso globale. Le ragioni dei Tutsi sembrano escludere le tradizioni datene dagli Hutu, i difensori dei nazionalismi protestano contro le proposte di ricerca di un’unità internazionale; gli ecologi presentano ragioni che costruttori di nuove autostrade o quartieri non vogliono riconoscere. In questa situazione può essere facile abituarsi al pensiero che esiste una verità distinta per Hutu e per Tutsi; le ragioni degli ecologi e degli urbanisti, invece, sono destinate al conflitto permanente. Questo ragionamento porta una minaccia particolare nel campo dei valori morali. Osservando i principi etici accolti nelle diverse società culturali, si può facilmente arrivare ad un relativismo ingenuo, nel quale si accoglie il principio “tutto passa” per giustificare ogni forma di primitivismo o dell’assurdo. Al posto delle utopie proposte per il futuro dal nazismo o dal comunismo, si può introdurre una nichilistica utopia dell’assurdo, nella quale l’unico valore assoluto diviene il relativismo.
I Vescovi che il Concilio Vaticano II chiama “testimoni della verità” assumendo la cura dell’armoniosa unità delle verità di fede con la riflessine razionale, hanno come compito “di restituire all’uomo dei nostri tempi la sincera fiducia sulle proprie capacità conoscitive” e contemporaneamente di mostrare il ruolo esplicito della riflessione filosofica nella formazione della visione cristiana del mondo (cfr. n. 6). Nel paesaggio intellettuale, nel quale così spesso si celebrano le illusioni e l’incertezza, il messaggio dell’enciclica porta un forte accento di ottimismo. Dio ci ha donato la capacità della scoperta intellettuale delle fondamentali verità. Molti misteri inaccessibili per il nostro intelletto ci sono stati rivelati nella missione di Gesù Cristo. Non ci sono quindi motivi per sentirci smarriti nel folto delle supposizioni e delle ipotesi. Necessita solo “che alla soglia del terzo millennio dell’era cristiana, l’umanità si renda chiaramente consapevole di quali grandi capacità sia stata elargita” (n. 6). bisogna confidare che, nonostante la stanchezza e le delusioni, l’uomo di fede “trovando appoggio in Dio, rimanga sempre e dovunque rivolto verso ciò che è bello, buono e vero” (n. 21).
Fondamenti senza fondamentalismo
La sollecitudine del Papa è rivolta in modo speciale verso i rappresentanti della nuova generazione. Essi entrano in un mondo privo di quei fondamenti ancora ovvi per i loro genitori. Nella cerchia dei nuovi maestri spesso non trovano insegnanti delle verità fondamentali per l’esistenza umana. Facilmente invece trovano modelli di comportamento in coloro che antepongono “l’immediato successo alla fatica di una paziente ricerca di ciò che in verità varrebbe la pena fare contenuto della propria vita” (cfr. n. 6). Per scoprire questo contenuto bisogna liberarsi dalla tentazione di uno stretto pragmatismo. Per questa strada è passato Socrate, quando pose le famose domande sulla perfezione morale nonché sull’armonia della riflessione e della vita. Proprio in questa prospettiva Fides et Ratio mostra un’armoniosa collaborazione della fede e della ragione. Insieme a questo mostra l’infondatezza di quegli schemi intellettuali i quali crearono conflitti artificiali fra verità della fede e verità della ragione, dimenticando che “di fatto queste si pervadono vicendevolmente, mentre ognuna conserva il proprio spazio, nel quale si realizza” (cfr. n. 17). Contro le correnti che vorrebbero ridurre la fede cristiana ad una irrazionale decisione, l’enciclica richiama il Libro della Sapienza, per sottolineare che grazie alla nostra riflessione “dalla grandezza e bellezza delle creature, per analogia, si conosce l’Autore” (Sap 13, 5).
La fede che cerca di capire trova allora il suo completamento nella comprensione aperta al mistero, accolto nello spirito di affidamento a Dio. Nella valorizzazione del Santo padre fa delle fatiche razionali dell’uomo troviamo l’affermazione delle grandi inquietudini umane, le cui espressioni sono fornite da letteratura, musica, pittura, scultura e architettura. Segnato dall’impronta della sua contingenza, l’uomo espresse in questi campi la piena nostalgia della passione per l’infinito. Questa stessa nostalgia ritroviamo nella filosofia che nasce dal desiderio di “innalzarsi al di là di ciò che è contingente per spaziare verso l’infinito” (cfr. n. 24). In questa prospettiva non si possono evitare i grandi interrogativi sul senso della vita, sul suo orientamento, sulla impossibilità di sfuggire alla morte, sulla speranza dell’immortalità, senza far tacere la nostra passione conoscitiva (cfr. n. 26). L’enciclica mostra che è avvenuto in tempo lo sviluppo dei riferimenti vicendevoli fra la verità della ragione e la verità della fede. Se al credente manca la fiducia verso la riflessione razionale, la sua fede può perdere il suo universalismo, passando a livello di sentimenti e di sensazioni soggettive. Se la ragione volutamente si chiude alla Rivelazione, può eliminare dall’orizzonte quelle verità che hanno un carattere fondamentale per la nostra vita (cfr. n. 4).
Frequentemente nella cerchia delle persone credenti si può trovare il richiamo all’umiltà intellettuale. La manifestazione specifica del concetto di umiltà dev’essere il riconoscimento delle più semplici interpretazioni, perfino quando esse sembrino assolutamente improbabili. L’enciclica ci insegna un altro tipo di umiltà. Sapere nello spirito di fiduciosa umiltà, accogliendo la verità di Dio, significa aprirsi a tuta la varietà dei mezzi, con l’aiuto dei quali Dio trasmette questa verità. L’umiltà intellettuale si manifesta allora in questo: che, rispetto ai nostri semplici schemi intellettuali, amiamo molto di più la complessità e la ricchezza di verità che Dio ci comunica. Le prime frasi dell’enciclica sottolineano che la fede e la ragione costituiscono due ali che dvono condurci verso la conoscenza della verità. Quelli che vorrebbero di proposito rinunciare ad usare l’ala della ragione, anche se hanno buone intenzioni rendono al cristianesimo un servizio molto dubbioso. Icaro unica ala può costituire elemento di mitologia privata. Non si deve tuttavia con esso legare la speranza che la verità su Dio infinito possa essere portata negli areopaghi culturali della modernità. Invece la sottovalutata in molti ambienti “riflessione filosofica può contribuire molto a chiarificare la relazione fra la verità trascendentale e il linguaggio umanamente intelligibile” (cfr. n. 99).
Pane e trascendentali
Fides et Ratio introduce in un’ampia prospettiva nella quale si riconosce l’esistenza del fondamento inviolabile della verità, respingendo il fondamentalismo chiuso al dialogo fra teologia, filosofia e scienze naturali. Il messaggio dell’enciclica ci rende consapevoli della necessità di una comune attività, che si contrapponga oggi alle popolari prove di fuga nell’irrazionalismo. Se si respinge l’autorità della ragione, si può facilmente ricercare dei surrogati alla metafisica e alla religione negli essoterismo che portano semplici risposte ai complicati interrogativi dell’uomo. La fede contemporanea negli Ufo e nell’oroscopo, la fuga nella parapsicologia oppure l’occultismo, forniscono esempi eloquenti di ricerca di surrogati da supermercato per questa riflessione, della quale rimangono simboli Platone, Socrate o Tommaso d’Aquino.
La rinuncia alla verità in nome di illusorie ideologie totalitariste è ugualmente una soluzione apparente. Agli ideologi è notevolmente più facile diffondere nell’ambiente nuove versioni ideologiche, le quali anziché la riflessione critica apprezzano lo stile dei guru stagionali, che pretendono dai loro discepoli fiducia cieca. Tutto il messaggio dell’enciclica è pieno di sollecitudine per la conservazione della solidarietà delle menti e dei principi morali, che nella storia dell’umanità usciva fuori dalla cornice di un unico sistema filosofico o di un’unica confessione.
da L’Osservatore Romano, 30 dicembre 1998, p. 4