Pur dichiarandosi esplicitamente ateo, Sigmund Freud ha sentito la necessità, durante tutta la sua vita, di riflettere sulla religione, per la quale ha offerto una lettura materialista e riduttiva, interpretandola, come è noto, alla stregua di una nevrosi. Esistono tuttavia alcune affermazioni, sebbene frammentarie, che manifestano la consapevolezza del padre della psicanalisi circa la reale incommensurabilità del fenomeno religioso e l’inadeguatezza, anche della stessa psicanalisi, di giudicarla. Riportiamo alcuni dei più significativi passaggi freudiani in proposito.
«La psicanalisi in sé stessa non è né religiosa né irreligiosa, bensì uno strumento imparziale di cui può servirsi sia il religioso che il laico, purché venga usato per liberare l'uomo dalle sofferenze. Sono rimasto molto colpito nel rendermi conto che non avevo pensato all'aiuto straordinario che il metodo psicoanalitico può fornire alla cura delle anime, ma questo è certo successo perché un malvagio eretico come me è troppo lontano da questa sfera d'idee».
Lettera di Freud a Oskar Pfeister, 9 febbraio 1909. Epistolari di Sigmund Freud. Psicoanalisi e fede: carteggio con il pastore Pfister, Boringhieri, Torino 1970, p. 17.
«In realtà la psicoanalisi è un metodo di ricerca, uno strumento imparziale, come il calcolo infinitesimale, ad esempio. Se con l'aiuto di questo un fisico scoprisse che dopo un certo periodo la terra sarà distrutta, si esiterebbe ad attribuire al calcolo come tale tendenze distruttive e a metterlo al bando. Tutto ciò che ho detto qui contro il valore di verità delle religioni non aveva bisogno della psicanalisi, è stato detto molto prima che la psicanalisi fosse inventata. Se dall'applicazione del metodo psicoanalitico si ricavano nuove argomentazioni contro il contenuto di verità della religione, tanto peggio per la religione; comunque con lo stesso diritto i difensori della religione potranno servirsi della psicoanalisi per avvalorare in pieno il significato affettivo della dottrina religiosa».
L'Avvenire di un'illusione (1927), in Opere complete (1886-1938) , 12 voll., Bollati Boringhieri, Torino 1967-1980, vol. X, pp. 431-485, qui pp. 466-467.
«È inerente a tutto ciò che ha a che fare con l'origine di una religione, anche di quella ebraica, qualcosa di grandioso, di cui le nostre precedenti spiegazioni non han dato ragione. Deve concorrere anche un altro fattore, per il quale c'è poco di analogo e nulla di simile, qualcosa di unico, qualcosa dello stesso ordine di grandezza di ciò che ne è scaturito, come appunto la religione».
L'uomo Mosè e la religione monoteistica (1938), in Opere complete (1886-1938) , 12 voll., Bollati Boringhieri, Torino 1967-1980, vol. XI, pp. 329-453, qui p. 445.
«Non c'è da temere che la psicanalisi, la quale ha scoperto per prima che gli atti e le formazioni psichiche sono invariabilmente sovradeterminati, si lasci indurre nella tentazione di far discendere da un'unica origine qualcosa di così complesso come la religione. Se essa, obbedendo alla unilateralità cui è obbligata, e che a dire il vero è doverosa, intende porre in luce una sola tra le fonti di queta istituzione, non per questo pretende di attribuirle carattere di esclusività, né le assegna un posto di primo piano tra i fattori che concorrono a determinarla. Soltanto una sintesi fra le diverse sfere della ricerca, è in grado di stabilire quale sia l'importanza relativa da attribuire, nella genesi della religione, al meccanismo che vogliamo discutere qui. Ma un lavoro come questo supera i mezzi di cui lo psicanalista dispone e va al di là dei suoi stessi propositi».
Totem e tabou (1912-1913), in Opere complete (1886-1938) , 12 voll., Bollati Boringhieri, Torino 1967-1982, vol. VII pp. 1-164, qui p. 105.