I testi proposti, il De l’infinito, universo et mondi e La cena de le Ceneri, mostrano l’impegno con cui Giordano Bruno (1548-1600) sostiene la sua convinzione eliocentrica e presentano alcuni tratti della sua cosmologia: mondi diversi e infiniti in un unico universo. La sua critica alla cosmologia aristotelica, tuttavia, non diviene mai critica anti-teologica, in quanto il Nolano mantiene anche in questi testi una concezione religiosa dell’universo, creato da Dio e chiamato a glorificarlo.
De l’infinito, universo et mondi
Non sono fini, termini, margini, muraglia che ne defrodino e suttragano la infinita copia de le cose. Indi feconda è la terra et il suo mare; indi perpetuo è il vampo del sole: sumministrandosi eternamente esca a gli voraci fuochi et humori á gl’attenuati mari: perché dall'infinito sempre nova copia di materia sottonasce. Di maniera che megliormente intese Democrito ed Epicureo, che vogliono tutto per infinito rinovarsi, et restituirsi: che chi si forza di salvare eterno la costanza de l'universo, perché medesimo numero a medesimo numero sempre succeda, et medesime parti di materia con le medesime sempre si convertano. Hor provedete, signori Astrologi con li vostri pedissequi physici, per qué vostri cerchi che vi discriveno le phantasiate nove sfere mobili, con le quali venete ad impriggionarvi il cervello di sorte che me vi presentate non altrimente che come tanti papagalli in gabbia, mentre raminghi vi veggio ir saltellando, versando, et girando entro quelli. Conoscemo che sì grande imperatore non ha sedia sì angusta, sì misero solio, sì arto tribunale, sì poco numerosa corte, sì picciolo et imbecille simulacro: che un phantasma parturisca, un sogno fracasse, una mania ripare, una chimera disperda, una sciagura sminuisca, un misfatto ne toglia, un pensiero ne restituisca: che con un soffio si colme, et con un sorso si svode: ma è un grandissimo ritratto, mirabile imagine, figura eccelsa, vestigio altissimo, infinito ripresentante di ripresentato infinito, et spettacolo conveniente all'eccellenza ed eminenza di chi non può esser capito, compreso, appreso. Cossì si magnifica l'eccellenza de Dio, si manifesta la grandezza de l'imperio suo: non si glorifica in uno, ma in soli innumerabili: non in una terra, un mondo: ma in diececento mila, dico in infiniti. Di sorte che non è vana questa potenza d'intelletto, che sempre vuole e puote aggiungere spacio á spacio, mole á mole, unitade ad unitade, numero á numero, per quella scienza che ne discioglie da le catene di uno angustissimo, et ne promove alla libertà d'un augustissimo imperio, che ne toglie dall'opinata povertà et angustia alle innumerevoli ricchezze di tanto spacio, di sì dignissimo campo, di tanti coltissimi mondi: e non fa che circolo d'orizonte, mentito da l'occhio in terra e finto da la phantasia nell'ethere spacioso, ne possa impriggionare il spirto, sotto la custodia d'un Plutone et la mercé d'un Giove. Siamo exempti da la cura d'un tanto ricco possessore, et poi tanto parco, sordido et avaro elargitore: et dalla nutritura di si feconda et tuttipregnante, et poi sì meschina e misera parturiscente natura.
Altri molti sono i’ degni et honorati frutti, che da questi arbori si raccoglieno: altre le messe preciose et desiderabili, che da questo seme sparso riportar si possono; le quali per non più importunamente sollecitar la cieca invidia de gli nostri adversarii, non ameniamo á mente: ma lasciamo comprendere dal giudizio di quei che possono comprendere et giudicare, li quali da per se medesimi potranno facilmente á questi posti fondamenti sopraedificar l'intiero edificio de la nostra philosofia: gli cui membri, se cossì piacerà á chi ne governa et muove, et se l'incominciata impresa non ne verrà interrotta, ridurremo alla tanto bramata perfettione: a fine che quello, che è seminato ne gli dialogi De la causa, principio ed uno, nato in questi De l’infinito universo et mondi, per altri germoglie, per altri cresca, per altri si mature, per altri mediante una rara mietitura ne addite, et per quanto è possibile ne contente: mentre (havendolo sgombrato de le veccie, de gli lolii et dele raccolte zizanie) di frumento meglior che possa produr terreno de la nostra coltura, verremo ad colmar il magazzino de studiosi ingegni.
Argomento del Dialogo Quinto, testo trascritto da Opere italiane, rist. anast. delle cinquecentine, a cura di E. Canone, 4 voll., Olschki, Firenze 1999, vol. II, pp. [663] -[665]
Filoteo. Non son dunque infiniti gli mondi di sorte con cui è imaginato il composto di questa terra circondato da tante sphere, de quali altre contegnano un astro, altre astri innumerabili: atteso che il spacio è tale per quale possano discorrere tanti astri; Ciascuno di questi è tale, che può da per se stesso e da principio intrinseco muoversi alla comunicazion di cose convenienti; Ogn’uno di essi è tanto ch'è sufficiente, capace et degno d'esser stimato un mondo: Non è di loro chi non abbia efficace principio et modo di continuar et serbar la perpetua generazione et vita d'innumerabili et eccellenti individui. Conosciuto che sarà che l'apparenza del moto mondano è caggionata dal vero moto diurno della terra (il quale similmente si trova in astri simili) non sarà raggione che ne costringa á stimar l'equidistanza de le stelle, che il volgo intende in una ottava sphera come inchiodate et fisse: e non sarà persuasione che ne impedisca di maniera, che non conosciamo che de la distanza di quelle innumerabili sieno differenze innumerabili di lunghezza di semidiametro. Comprenderemo, che non son disposti gl’orbi et sphere nell'universo, come vegnano á comprendersi l'un l'altro, sempre oltre ed oltre essendo contenuto il minore dal maggiore, per essempio, gli squogli in ciascuna cipolla; ma che per l'ethereo campo il caldo et il freddo, diffuso da' corpi principalmente tali, vegnano talmente á contemperarsi secondo diversi gradi insieme; che si fanno prossimo principio di tante forme et specie di ente.
Elpino. Sú, di grazia, vengasi presto alla risoluzion delle raggioni di contrarii, e massime d'Aristotele, le quali son più celebrate e più famose, stimate della sciocca moltitudine con le perfette demostrazioni: et á fin che non paia che si lasce cosa a dietro, io referirò tutte le raggioni e sentenze di questo povero sofista, et voi una per una le considerarete.
Filoteo. Cossì si faccia.
Elpino. È da vedere (dice egli nel primo libro del suo cielo e mondo), se estra questo mondo sia un’altro.
Filoteo. Circa cotal questione sapete, che differentemente prende egli il nome del mondo, et noi; perché noi giongemo mondo a mondo, come astro ad astro in questo spaciosissimo ethereo seno, come è condecente anco ch'abbiano inteso tutti quelli sapienti ch'hanno stimati mondi innumerabili et infiniti: lui prende il nome del mondo per un aggregato di questi disposti elementi, et phantastici orbi sino al convesso del primo mobile che di perfetta rotonda figura formato, con rapidissimo tratto tutto rivolge (rivolgendosi egli) circa il centro, verso il qual noi siamo.
Però sarà un vano et fanciullesco trattenimento, se vogliamo raggion per raggione aver riguardo a cotal phantasia: ma sarà bene et espediente de resolvere le sue raggioni per quanto possono esser contrarie al nostro senso: et non aver riguardo á ciò che non ne fa guerra.
Fracastorio. Che diremo á color che ne rimproperasseno che noi disputiamo su l'equivoco?
Filoteo. Diremo due cose et che il difetto di ciò è da colui ch'ha preso il mondo secondo impropria significazione, formandosi un phantastico universo corporeo; e che le nostre risposte non meno son valide supponendo il significato del mondo secondo la imaginazione de gl’aversarii, che secondo la verità: perché, dove s'intendeno gli punti della circumferenza ultima di questo mondo di cui il mezzo è questa terra, si possono intendere gli punti di altre terre innumerabili, che sono oltre quella imaginata circumferenza: essendo che vi sieno realmente, benché non secondo la condizione imaginata da costoro, la qual, sia come si vuole, non gionge o toglie punto a quel che fa al proposito della quantità de l'universo et numero de mondi.
Fracastorio. Voi dite bene, séguita, Elpino.
Elpino. «Ogni corpo» (dici), «ó si muove ó si sta: e questo moto et stato ó è naturale, ó è violento. Oltre ogni corpo dove non sta per violenza, ma naturalmente, la non si muove per violenza, ma per natura: et dove non si muove violentemente, ivi naturalmente risiede: di sorte che tutto ciò che violentemente è mosso verso sopra, naturalmente si muove verso al basso, et per contra. Da questo s'inferisce, che non son più mondi: quando consideraremo che se la terra la quale è fuor di questo mondo, si muove al mezzo di questo mondo violentemente: la terra la quale è in questo mondo, si moverà al mezzo di quello naturalmente; e se il suo moto dal mezzo di questo mondo al mezzo di quello è violento, il suo moto dal mezzo di quel mondo a questo sarà naturale. La causa di ciò è che se son più terre, bisogna dire che la potenza de l'una sia simile alla potenza de l'altra: come oltre la potenza di quel fuoco sarà simile alla potenza di questo: altrimente le parti di que' mondi saran simili alle parti di questo in nome solo, et non in essere; et per consequenza quel mondo non sarà, ma si chiamarà mondo, come questo. Oltre tutti gli corpi che son d'una natura et una specie hanno un moto: (perché ogni corpo naturalmente si muove in qualche maniera) se dunque ivi son terre come è questa, et sono di medesima specie con questa, harranno certo medesimo moto: come per contra, se è medesimo moto, sono medesimi elementi. Essendo cossì, necessariamente la terra di quel mondo si moverrà alla terra di questo; il fuoco di quello, al fuoco di questo: onde seguite oltre che la terra non meno naturalmente si muove ad alto, che al basso; et il fuoco non meno al basso ch'a l'alto. Hor, essendono tale cose impossibili, deve essere una terra, un centro, un mezzo, un orizone, un mondo».
Filoteo. Contra questo diciamo che in quel modo con cui in questo universal spacio infinito la nostra terra versa circa questa regione et occupa questa parte: nel medesimo gl’altri astri occupano le sue parti, et versano circa le sue regioni ne l'immenso campo. Ove come questa terra costa di suoi membri, ha le sue alterazioni, et ha flusso e reflusso nelle sue parti (come accader veggiamo ne gl’animali, humori, et parti, le quali sono in continua alterazione et moto), cossì gl’altri astri costano di suoi similmente affetti membri.
Et sicome questo naturalmente si movendo secondo tutta la machina, non hà moto se nó simile al circulare, con cui se svolge circa il proprio centro, et discorre intorno al sole: cossì necessariamente quelli altri corpi che sono di medesima natura. E non altrimente le parti sole di quelli, che per alcuni accidenti sono allontanate dal suo loco, (le quali però non denno esser stimate parti principali o membri) naturalmente con proprio appulso vi ritornano: che parti de l'arida et acqua, che per attion del sole et de la terra s'erano in forma d'exalazione et vapore allontanate verso membri et regioni superiori di questo corpo: havendono riacquistata la propria forma, vi ritornano. E cossì quelle parti oltre certo termine non si discostano dal suo continente, come queste: come sarà manifesto quando vedremo la materia de le comete non appartenere á questo globo.
Cossì dunque, come le parti di un animale benché sieno di medesima specie con le parti di un altro animale, nulla di meno, perché appartengono á diversi individui, giamai quelle di questi (parlo de le principali et lontane) hanno inclinazione al loco di quelle de gli altri, come non sarà mai la mia mano conveniente al tuo braccio, la tua testa al mio busto. Posti cotai fondamenti diciamo veramente essere similitudine tra tutti gli astri, tra tutti gl’ mondi, et medesima raggione haver questa et le altre terre: però non seguita che dove è questo mondo debbano essere tutti gl’altri, dove è situata questa debbano essere situate l'altre: ma si può bene inferire che sicome questa consiste nel suo luogo, tutte l'altre consistano nel suo; come non è bene che questa si muova al luogo dell'altre, non è bene che l'altre si muovano al luogo di questa: come questa è differente in materia et altre circostanze individuali da quelle; quelle sieno differenti da questa: cossì le parti di questo fuoco si muovono a questo fuoco come le parti di quello a quello; cossì le parti di questa terra a questa tutta, come le parti di quella terra á quella tutta. Cossì le parti di quella terra (che chiamiamo luna), con le sue acqui, contra natura e violentemente si moverebono a questa; come si moverebono le parti di questa á quella. Quella naturalmente versa nel suo loco, ed ottiene la sua regione che è ivi; questa è naturalmente nella sua regione quivi: et cossì se riferiscono le parti sue a quella terra, come le sue a questa; cossì intendi de le parti di quelle acqui e di que' fochi. Il giù et loco inferiore di questa terra non è alcun punto della regione eterea fuori ed extra di lei, (come accade alle parti fatte fuori della propria sfera, se questo aviene), ma è nel centro de la sua mole ó rotondità, ó gravità: cossì il giù di quella terra non è alcun luogo extra di quella, ma è il suo proprio mezzo, il proprio suo centro. Il su di questa terra è tutto quel ch'è nella sua circumferenza et estra la sua circumferenza: però cossì violentemente le parti di quella si muoveno extra la sua circumferenza, e naturalmente s'accoglieno verso il suo centro, come le parti di questa, violentemente si diparteno, et naturalmente tornano verso il proprio mezzo. Ecco come si prende la vera similitudine trá questa et quell'altre terre.
Dialogo Quarto, testo trascritto da Opere italiane, rist. anast. delle cinquecentine, a cura di E. Canone, 4 voll., Olschki, Firenze 1999, vol. II, pp. [775] - [782].
La cena de le Ceneri
[Nella scenografia del Dialogo, Teofilo riferisce della conversazione avuta da Bruno, ovvero il Nolano, con il suo interlocutore Nundinio, in merito alla pluralità dei mondi, NdE]
Poiché il Nolano, di sfuggita, aveva detto che esiste un numero infinito di corpi celesti simili alla terra, il dottor Nundinio, da buon polemizzatore, non avendo più nulla da aggiungere all'affermazione precedente, cominciò a uscire dal seminato; e tralasciando l'argomento relativo alla mobilità o immobilità della terra, volle sapere le caratteristiche di tali corpi, e cioè di che materia fossero composti, visto che sono considerati eterei, materia pura e incorruttibile, le cui parti più dense sono le stelle.
Frulla. Questa domanda mi sembra fuori luogo, anche se io non mi intendo di logica.
Teofilo. Il Nolano, per fargli una cortesia, non glielo volle rimproverare; ma, dopo aver sottolineato che avrebbe preferito che Nundinio si occupasse dell'argomento principale o che ponesse quesiti in quel senso, gli rispose che gli altri mondi, che sono terre, non sono diversi per nulla dal nostro; sono solo più grandi e più piccoli, così come avviene fra gli animali che presentano differenze nei singoli individui; gli disse anche di essere convinto, per ora, che le sfere di fuoco, come il sole, sono di specie diversa, come il caldo differisce dal freddo, come ciò che brilla di luce propria differisce da ciò che brilla per riflesso.
Smitho. Perché disse di esserne convinto, per ora, e non in assoluto?
Teofilo. Temeva che Nundinio abbandonasse ancora l'argomento principale e si attaccasse a questa nuova affermazione. Concedo che, essendo la terra organismo vivente, sia composta da parti diverse, fredde soprattutto quelle esterne a contatto con l'aria, calde e caldissime le altre, maggiori per numero e dimensioni; concedo ancora che, nella discussione, si suppongano in parte i principi dell'avversario, che vuole essere giudicato aristotelico, e dall'altra i propri principi, che non sono accordati con degnazione, ma provati, secondo cui la terra sarebbe calda come il sole.
Smitho. In che modo ciò?
Teofilo. Perché, in base a quello che abbiamo detto, a partire dalla diminuzione delle parti oscure e opache della terra e dalla unione delle parti lucide e brillanti si perviene sempre alle regioni più lontane al diffondersi della luce. Se la luce è causa del calore (come, al pari di Aristotele, affermano molti i quali ritengono che anche la luna e gli altri corpi celesti sono più o meno caldi in base alla presenza di più o meno luce, per cui quando alcuni pianeti sono definiti freddi, lo si deve intendere in senso relativo), succederà che la terra, con i suoi raggi, inviati alle parti più lontane dell'eterea regione, in virtù della luce comunicherà altrettanto calore. A noi tuttavia non risulta che una cosa brillante sia calda, perché spesso vediamo cose vicino a noi brillanti ma non calde.
Ora torniamo a Nundinio, che a questo punto cominciò a digrignare i denti, a spalancare la bocca, a stringere gii occhi, a corrugare le ciglia, ad aprire le narici e a emettere un suono soffocato come quello di una gallina spennacchiata e con questa sua risata voleva convincere i presenti di aver ragione e che l'altro stava dicendo cose assolutamente ridicole.
Frulla. Se rideva, non è una prova che il Nolano aveva ragione?
Teofilo. Tutto ciò accade a chi vuole dare perle ai porci. Interrogato sui motivi per cui si era messo a ridere, rispose che l'immaginarsi l'esistenza di altre terre simili in tutto alla nostra non poteva che essere frutto di fantasia simile a quella che aveva ispirato la Vera storia dello scrittore Luciano di Samosata. Il Nolano rispose che se Luciano, affermando che la luna è una terra simile alla nostra, voleva burlarsi di quei filosofi che sostenevano la pluralità di mondi uguali (in modo particolare la luna, la cui somiglianza con la terra è particolarmente percepibile, in quanto è più vicina), non aveva ragione, ma era anche lui in errore; se si riflette bene si può concludere che la terra e gli altri corpi celesti danno la vita alle cose, le quali vivono trasformando la materia dei corpi sui quali esistono; pertanto, se questi mondi danno vita, devono avere essi stessi vita; è questa loro vita l'intrinseco principio del loro moto ordinato nello spazio che gli compete. Non ci sono motori esterni che, mettendo in moto immaginarie sfere, fissino in esse i corpi celesti; se ciò fosse vero la spinta che ogni corpo riceverebbe da un motore estrinseco sarebbe troppo violenta, sarebbe un inutile affaticamento di moto e di motore e porterebbe a molti inconvenienti. La terra e i corpi celesti si muovono per virtù propria intorno al sole e agli altri astri come il maschio è attirato dalla femmina e la femmina dal maschio: la calamità muove il ferro, il filo d'erba l'ambra, cosi ogni cosa va alla ricerca del simile e rifugge l'opposto; tutto ha origine da un principio intrinseco per il quale si muove naturalmente, e non da un principio estrinseco come vediamo succedere a quelle cose che sono mosse contro la propria natura. La terra e gli altri corpi celesti si muovono secondo le differenze del proprio principio intrinseco che è la loro anima. «Credete» chiese il dott. Nundinio «che quest’anima sia sensitiva?» «Non soltanto sensitiva» rispose il Nolano «ma anche intellettiva; non solo intellettiva, come la nostra, ma forse anche di più». A questo punto Nundinio tacque e non rise.A questo punto Nundinio tacque e non rise.
Dialogo Terzo, da La cena de le Ceneri, testo italiano trascritto e adattato a cura di Marcella Vasconi, Demetra, Bussolengo (VR) 1995, pp. 77-83.
[Riferendo del colloquio fra Giordano Bruno e il suo interlocutore Torquato, Teofilo espone le tesi del Nolano in merito all’eliocentrismo e alla natura degli altri corpi celesti, NdE]
Sollecitato da tutti i presenti Torquato esclamò: «Perché dunque, se la terra si muove, l'astro di Marte appare ora più grande, ora più piccolo?»
Smitho. O Arcadia, è possibile che in natura esista un filosofo, un medico...
Frulla. ... e dottore e Torquato...
Smitho. ... che abbia potuto avanzare una simile riserva? Che cosa rispose il Nolano?
Teofilo. Non si intimorì certo, anzi, gli rispose che una delle cause principali per cui Marte appare a volte più piccolo a volte più grande risiede nel movimento della terra e di Marte intorno ai propri circoli, per cui a volte sono più vicini e a volte più lontani.
Smitho. Che cosa aggiunse Torquato?
Teofilo. Chiese subito spiegazioni circa le proporzioni dei movimenti dei pianeti e della terra.
Smitho. E il Nolano ebbe tanta pazienza di fronte a una persona così presuntuosa e goffa da non voltargli le spalle, andarsene a casa e dire a chi lo aveva interpellato che...
Teofilo. Al contrario, rispose che non era andato lì per leggere o per insegnare, ma per dare delle risposte; la simmetria, l'ordine, la misura dei movimenti dei corpi celesti sono ormai noti agli antichi e ai contemporanei; non è certo un suo problema discutere di tali questioni o polemizzare con gli studiosi di matematica per contestare i loro calcoli e le loro teorie che lo trovano d'accordo; il suo obiettivo è invece quello di dialogare sulla natura e sulla veridicità del protagonista di questi movimenti. Il Nolano oltre a ciò disse: «Se per rispondere a questa questione ci vorrà molto tempo, rimarremo qui tutta la notte senza mai discutere i fondamenti delle nostre argomentazioni contro la comune filosofia; tanto gli uni quanto gli altri ammettiamo qualunque ipotesi purché si giunga a una conclusione circa la quantità e la qualità dei moti, e in ciò siamo perfettamente d'accordo» A che cosa serve arrovellarsi il cervello al di là di questa questione? In base alle nostre osservazioni e alle nostre verifiche stabilite se potete portare qualche argomentazione contro la nostra tesi; in seguito avrete la possibilità di condannarci».
Smitho. Bastava dirgli di rimanere in argomento.
Teofilo. Nessuno tra i presenti fu così ignorante, e i loro visi e i loro gesti parlavano chiaro, da non mostrare di avere capito che costui era un pecorone di prim'ordine.
Frulla. Dell'ordine del toson d'oro!
Teofilo. Eppure per rimescolare le carte, pregarono il Nolano che rendesse esplicito quello che voleva difendere in modo che il dottor Torquato potesse portare le sue argomentazioni. II Nolano rispose che aveva già abbondantemente chiarito il suo pensiero e che, se le argomentazioni degli avversari erano inadeguate, questo non era dovuto a errori nel suo pensiero, come avrebbe potuto essere evidente anche a un cieco. Comunque ancora una volta confermava che secondo lui l'universo è infinito e che è costituito da un'immensa regione eterea; è un cielo, detto anche spazio o seno, nel quale ci sono tanti astri, in esso fissi, allo stesso modo della terra: la luna, il sole e altri innumerevoli corpi celesti sono all'interno di questo spazio, così come vediamo essere la terra; non bisogna credere che esistano altri universi, altre basi, altri spazi dove siano situati gli organismi viventi che concorrono alla formazione del mondo, vero soggetto e materia infinita della infinita potenza divina; è possibile capire ciò sia mediante un ragionamento corretto, sia attraverso le rivelazioni divine che non definiscono il numero esatto dei ministri di Dio, si parla solo di migliaia di migliaia che assistono e di decine di centinaia di migliaia che amministrano. Si tratta di corpi animati, molti dei quali o di luce propria o di luce riflessa riescono a noi visibili con tutta la loro figura. Alcuni sono caldi, come il sole e altri innumerevoli astri, altri sono freddi come la terra, la luna, Venere e molti altri pianeti. Per comunicare l'uno con l'altro, e partecipare insieme allo stesso principio vitale, si muovono girando intorno ad altri secondo certi spazi e a determinate distanze, come è evidente nei sette pianeti che ruotano intorno al sole; uno di questi è la terra che, muovendosi in ventiquattro ore, da occidente verso oriente, provoca il moto apparente del sole, che da luogo al giorno e alla notte. Tale apparenza è ingannevole, contro sole per la participazione de la primavera, estade, autunno, inverno.
[...]
Or, mentre il Nolano dicea questo, il dottor Torquato cridava: 'Ad rem, ad rem, ad rem'Al fine il Nolano se mise a ridere, e gli disse, che lui non gli argomentava, ne gli rispondeva, ma che gli proponeva; e però: “Ista sunt res, res, res'. E che toccava al Torquato appresso de apportar qualche cosa ad rem.
Smitho. Perché questo asino si pensava essere tra goffi e balordi, credeva che quelli passassero questo suo ad rem per un argumento e determinazione; e cossì un semplice crido, co’ la sua catena d'oro, satisfar alla moltitudine.
Teofilo. Ascoltate d'avantaggio. Mentre tutti stavano ad aspettar quel tanto desiderato argumento, ecco che, voltato il dottor Torquato a gli commensali, dal profondo della sufficienza sua sguaina e gli viene a donar sul mostaccio un adagio erasmiano: 'Anticyram navigat'
Smitho. Non possea parlar meglio un asino, e non possea udir altra voce chi va a pratticar con gli asini.
Teofilo. Credo che profetasse (benché non intendesse lui medesmo la sua profezia), che il Nolano andava a far provisione d'elleboro, per risaldar il cervello a questi pazzi barbareschi.
Smitho. Se quelli che v'eran presenti, come erano civili, fussero stati civilissimi, gli arrebbono attaccato, in loco della collana, un capestro al collo, e fattogli contar quaranta bastonate in commemorazione del primo giorno di quaresima.
Teofilo. II Nolano gli disse, che il dottor Torquato, non lui, era pazzo, perché porta la collana; la quale se non avesse a dosso, certamente il dottor Torquato non valerebbe più che per suoi vestimenti; i quali però vagliono natura e impossibile; è invece possibile, ragionevole, vero e necessario che la terra si muova su se stessa per ricevere la luce e le tenebre. Il giorno e la notte, il calore e il freddo; il movimento intorno al sole determina invece le stagioni e cioè la primavera, l’estate, l’autunno e l’inverno.
Dialogo Quarto, da La cena de le Ceneri, testo italiano trascritto e adattato a cura di Marcella Vasconi, Demetra, Bussolengo (VR) 1995, pp. 103-109.