XI, 12. Crea Arturo e Orione, le Pleiadi e le regioni interne dell’Austro [Gb 9,9]. La parola di verità non segue le vuote favole di Esiodo, di Arato e di Callimaco, così che nominando Arturo voglia alludere alla coda dell’Orsa, l’ultima delle sette stelle, e come Orione, il folle amante, impugnò la spada. Questi nomi degli astri sono stati inventati dai cultori della sapienza profana, ma la Sacra Scrittura si serve dei medesimi nomi per esprimere, mediante la conoscenza di termini noti, le realtà che intende suggerire. Poiché, se volesse indicare determinati astri ricorrendo a nomi sconosciuti, l’uomo, cui è destinata questa medesima Scrittura, di sicuro non comprenderebbe quel che ascolta. Perciò nel discorso sacro i sapienti di Dio mutuano il linguaggio dai sapienti del secolo, come quando lo stesso Creatore degli uomini, cioè Dio, ad utilità dell’uomo assume in Sé la voce della passione umana fino a dire: Mi pento di aver creato l’uomo sulla terra [Gen 6,6-7]; mentre è chiaro che Colui che vede ogni cosa prima che avvenga, dopo aver fatto una cosa non può assolutamente pentirsene. Che meraviglia, dunque, se gli uomini spirituali utilizzano le parole degli uomini carnali, quando lo stesso Spirito ineffabile e Creatore di tutte le cose, per condurre la carne alla comprensione di Sé, forma in Se stesso la parola di carne? Nella Sacra Scrittura, quindi, mentre ascoltiamo i nomi noti degli astri, ci rendiamo conto a quali astri si riferisca il discorso. Quando poi abbiamo scoperto di quali astri si tratti, non ci resta che elevarci, sotto la loro spinta, agli arcani dell’intelligenza spirituale. Secondo la lettera non si dice alcunché di straordinario dicendo che Dio fece Arturo, Orione e le Pleiadi, quando risulta che non c’è niente al mondo che Egli non abbia fatto. Ma il santo dice che il Signore ha fatto queste cose, per mezzo delle quali intende simboleggiare propriamente quelle cose che si compiono in senso spirituale.
13. Arturo, che, fissata sull’asse del cielo, rifulge dei raggi di sette stelle, raffigura la Chiesa universale, che nell’Apocalisse di Giovanni è simboleggiata da sette Chiese e sette candelabri [cf. Apoc 1,12.20]. Essa, contenendo in sé i doni della settiforme grazia dello Spirito, irradiando lo splendore della somma potenza, rifulge come dall’asse della verità. Si noti anche che Arturo gira sempre e non scompare mai dall’orizzonte, perché la santa Chiesa subisce continuamente le persecuzioni dei malvagi e tuttavia resiste, senza venir meno, sino alla fine del mondo. Siccome i reprobi l’hanno perseguitata nell’intento di farla sparire, spesso hanno creduto di averla totalmente estinta; ma essa altrettante volte è ritornata al suo stato di floridezza quante è stata sul punto di morire nelle mani dei suoi persecutori. Quindi la costellazione di Arturo girando si leva in alto, perché la santa Chiesa più vigorosamente si ristora nella verità, allorché per la verità più ardentemente si affatica.
14. È giusto che subito dopo Arturo si parli di Orione. La costellazione di Orione sorge nella stagione invernale, e quando sorge provoca tempeste e sconvolge i mari e le terre. Ora, cosa sta a indicare Orione dopo Arturo, se non i martiri? Essi, quando la santa Chiesa iniziò la sua predicazione, comparvero come d’inverno sotto la volta celeste pronti a soffrire il peso e le molestie dei persecutori. Alla loro nascita il mare e la terra furono sconvolti, perché mentre il popolo dei Gentili ebbe a dolersi che di fronte alla loro fortezza i suoi costumi erano destinati a sparire, per decidere la loro morte suscitò non solo gi arrabbiati e i turbolenti ma anche i placidi. E così da Orione scaturì l’inverno perché, mentre splendeva la costanza dei santi, la mente fredda degli increduli suscitò la tempesta della persecuzione. Quindi Orione comparve in cielo quando la santa Chiesa vi inviò i martiri. Essi, che osarono annunciare la verità alla gente rozza, sopportarono ogni genere di avversità proveniente dal rigore invernale.
15. Subito dopo vengono le Pleiadi, che, ritornando la primavera, si affacciano sotto la volta del cielo e si mostrano quando il sole ormai sprigiona tutto il suo calore. Esse sono strettamente legate agli inizi di quel segno che i sapienti del secolo chiamano Toro, col quale il sole comincia a crescere e sorge più fervido ad allungare la durata del giorno. La costellazione delle Pleiadi, che sorge dopo quella di Orione, non indica altro che i dottori della santa Chiesa. I quali, scomparsi i martiri, vennero a recare al mondo la conoscenza in quel tempo in cui ormai la fede splendeva più luminosa e, superato l’inverno dell’incredulità, il sole della verità per mezzo del cuore dei fedeli riscaldava più intensamente. Essi, cessata la tempesta della persecuzione e terminate le lunghe notti dell’infedeltà, sono sorti per la santa Chiesa allorché, grazie alla primavera della fede, si aprì una stagione ormai più luminosa. Non a caso i santi dottori sono simboleggiati dalla costellazione delle Pleiadi. In greco la pioggia si chiama uetòs e le Pleiadi hanno preso nome dalle piogge, certamente
Perché recano le piogge. Perciò col nome di Pleiadi sono bene indicati coloro che, apparsi come sotto la volta celeste per costituire la Chiesa universale, hanno versato le piogge della santa predîcazione sulla terra inaridita del cuore umano. Se la parola della predicazione non fosse pioggia, Mosè non avrebbe detto: Stilli come pioggia la mia dottrina [Deut 32,2]; la Verità, per bocca d’Isaia, non direbbe: Alle nubi comanderò di non mandarvi la pioggia [Is 5,6]; e anche questo passo che poco prima abbiamo citato: Perciò sono state fermate le stelle delle piogge [Ger 3,3]. Così, quando compaiono le Pleiadi recando le piogge, il sole sale più in alto perché, comparendo la scienza dei dottori e la nostra anima essendo irrigata dalla pioggia della predicazione, aumenta il calore della fede. E la terra irrigata si prepara a produrre il frutto quando la luce del cielo si infuoca, perché noi produciamo più abbondantemente la messe dell’opera buona quando per mezzo della fiamma della sacra istruzione il nostro cuore arde più luminosamente. E quando per mezzo loro ogni giorno di più si manifesta la scienza celeste, si apre per noi come la stagione primaverile della luce interiore; e così il nuovo sole fiammeggia nelle nostre anime e, da noi conosciuto per mezzo delle loro parole, risplende ogni giorno più luminoso. E infatti, avvicinandosi la fine del mondo, la scienza superna progredisce e col tempo si sviluppa più largamente. Perciò Daniele dice: Allora molti scorreranno il libro e la loro conoscenza sarà accresciuta [Dan 12,4]. Così, nella prima parte della rivelazione, l’angelo dice a Giovanni: I sette tuoni fecero udire la loro voce come segni [Apoc 10,4]. Tuttavia alla fine della stessa rivelazione gli ordina: Non mettere sotto sigillo le parole profetiche di questo libro [Apoc 22,10]. Mentre gli ordina di sigillare la prima parte, per la parte finale gli ordina il contrario, perché tutto ciò che agli inizi della santa Chiesa era nascosto, la fine ogni giorno lo manifesta. Alcuni poi ritengono che «Pleiadi» derivi dalla consonante greca Y. Se è così, non è contrario al significato che abbiamo detto. Non a caso infatti i dottori sono stati indicati da quelle stelle che prendono nome da qualche lettera. Ma anche se «Pleiadi» non sono in contrasto con quella consonante, è certo che uetòs significa pioggia, e quando le Pleiadi compaiono recano le piogge.
16. Perciò il santo contemplando l’ordine della nostra redenzione rimane stupito, e nello stupore esclama: Egli solo estende i cieli e cammina sulle onde del mare; crea Arturo, Orione e le Pleiadi. Infatti, dopo aver steso i cieli, il Signore formò Arturo perché, in onore degli Apostoli da lui inviati, fondò la Chiesa nella patria celeste. Dopo aver formato Arturo, fece Orione perché, irrobustita la fede della Chiesa universale, inviò i martiri contro le tempeste del mondo. Dopo Orione fece apparire le Pleiadi perché, mentre i martiri si rafforzavano contro le avversità, per irrigare l’aridità del cuore degli uomini procurò la dottrina dei maestri. E costoro sono le costellazioni spirituali, perché collocati al di sopra delle potenze supreme, risplendono sempre dall’Alto.
17. Dopo di che, cosa rimane alla santa Chiesa se non raccogliere il frutto della propria fatica e così giungere a contemplare le intime realtà della patria celeste? Perciò dopo aver detto opportunamente: Crea Arturo, Orione e le Pleiadi, aggiunge: e le regioni interne dell’Austro. Che significa in questo passo l’Austro, se non il fervore dello Spirito santo? Quando uno ne è ripieno, arde di amore per la patria spirituale. Perciò nel Cantico dei Cantici la voce dello Sposo dice: Levati, Aquilone, e tu, Austro, vieni, soffia nel mio giardino e si effondano i suoi aromi [Cant 4,16]. Alla venuta dell’Austro, si leva e se ne va l’Aquilone quando, con la venuta dello Spirito santo si allontana l’antico nemico espulso, che aveva immerso l’anima nel torpore. E l’Austro soffia nel giardino dello Sposo per effondere i suoi profumi, perché quando lo Spirito di verità riempie con le virtù dei suoi doni la santa Chiesa, fa sprigionare da essa in lungo e in largo i profumi dell’opera buona. Le regioni interne dell’Austro sono le schiere nascoste degli Angeli e i luoghi segretissimi che il calore dello Spirito santo riempie. Lassù giungono le anime dei santi, ora spogliate dei corpi e poi restituite ai loro corpi, e come astri saranno occultate in luoghi nascosti. Lassù di giorno, come da noi a mezzogiorno, più ardentemente si accende il fuoco del sole perché, dissipata ormai l’oscurità della condizione mortale, si vede più chiaramente lo splendore del Creatore. E come il raggio del sole si eleva in spazi più alti perché la verità si comunica a noi con una luce più sottile. Lassù si scorge la luce dell’intima contemplazione senza ombra di cambiamento; lassù irradia il calore della luce suprema senza alcuna oscurità corporea; lassù i cori invisibili degli Angeli brillano come astri nei luoghi nascosti; e quanto più ora sono invisibili agli uomini, tanto più profondamente saranno allora pervasi dalla fiamma della vera luce. È davvero meraviglioso che, inviati gli Apostoli, il Signore abbia disteso i cieli; che, mitigate le tempeste della persecuzione, abbia dominato i flutti del mare camminandovi sopra; che, rafforzata la Chiesa, abbia fissato Arturo; che, resi forti contro le avversità i martiri, abbia inviato Orione; che, colmati di dottrina nel tempo della tranquillità i santi dottori, abbia offerto le Pleiadi; e inoltre è davvero meraviglioso che ci abbia preparato il luogo riposto della patria celeste come regione interna dell’Austro.
da Commento Morale a Giobbe, IX, XI, 12-17, in “Opere di Gregorio Magno”, vol. I/2, Città Nuova Roma 1994, pp. 31-39.