«Qui esiste un fatto storico che m’insegna che per la mia salvezza eterna io debbo rivolgermi a Cristo». Kierkegaard espone la dinamica della fede come scelta impegnativa di un soggetto che sa porsi continuamente sotto esame. La fede rappresenta un rischio, ma un rischio conforme ad ogni uomo capace di impegno.
2778. Socrate non cercava di accumulare prove sull'immortalità dell'anima, per vivere credendo in virtù delle prove. Al contrario diceva: l'affermazione dell'immortalità mi occupa a tal punto che arrischio assolutamente la mia vita per essa, come la cosa più certa. Viveva così — e la sua vita era una prova dell'immortalità dell'anima. Egli non credeva alle prove, per vivere: no, la sua vita ne era la prova e soltanto con la sua morte di martire la portò a termine. Ecco, in che consiste lo spirito: è davvero imbarazzante per gli scimmiottatori, per tutti quelli che vivono di seconda o di decima mano, per i cacciatori di risultati, per le nature vigliacche e sensuali.
L'osservazione, usata con cautela, può esser applicata quanto al diventare cristiani.
Prima viene giustamente quel dubbio di Lessing che “non si può fondare una salvezza eterna su di un fatto storico”.
Dunque qui esiste un fatto storico, il racconto della vita di Gesù Cristo.
Ma è anche storicamente certo? A ciò bisogna rispondere che, anche se fosse la cosa più certa di tutta la storia, questo non conta; non si può direttamente fare un passaggio da un fatto storico, per fondare su di esso una salvezza eterna. Ciò è qualcosa di qualitativamente nuovo.
E allora, come? Ecco, come Socrate, un uomo dice a se stesso: qui esiste un fatto storico che m'insegna che per la mia salvezza eterna io debbo rivolgermi a Cristo. Ora mi guarderò bene dal prendere una via sbagliata e dall'ingolfarmi nei cavilli delle ricerche scientifiche, per sapere se si tratta di un fatto storicamente certissimo, purché la cosa storicamente sia sufficientemente certa. Cioè, anche se la cosa fosse 10 volte più certa fino al minimo particolare, non mi sarebbe tuttavia di aiuto alcuno, perché direttamente ciò non mi sarebbe di aiuto.
Dico allora a me stesso: “Io scelgo”. Questo fatto storico impegna tutta la mia vita a questo “se”. — Ora egli vive; vive con l'animo ripieno soltanto di questo pensiero, rischiando tutta la sua vita per esso, e la sua vita è la prova ch'egli ci credeva. Egli non ebbe prima qualche prova e poi credette, e poi cominciò a vivere. No, tutt'al contrario.
Questo si chiama rischiare, e senza il rischio 1a Fede è impossibile. Rapportarsi allo spirito è essere sotto esame. [marg. 406] Questo è contenuto anche nelle parole di Cristo: “Se qualcuno vuol seguire la mia dottrina, vivere secondo essa, agire secondo essa, egli sperimenterà ecc.” [Mt 7,24; Gv 8,31]. Cioè, qui non si danno prima le prove —ed Egli poi neppure si accontenta che l'accettazione della sua dottrina significhi: io dò assicurazione.
Credere, voler credere, significa fare della propria vita un continuo esame; l'esame quotidiano è la tensione della Fede. Però lo si può ben predicare fino alla fine del mondo a tutti i vigliacchi, agli effeminati e ai sensuali: essi non capiscono, in realtà non lo vogliono capire. In fondo sembra a costoro che non è male che arrischi un altro, per poi accordarsi a lui... —prodigandosi solo in assicurazioni. Ma esser essi ad arrischiare — questo mai!
Quanto al diventar cristiani, si deve però ricordare una differenza che c'è qui rispetto alla dialettica di Socrate. Infatti rispetto all'immortalità, l'uomo si rapporta a se stesso e all'idea; non più in là. Ma dal momento che un uomo crede ad un “se” e sceglie di credere in Cristo, cioè sceglie d'impegnare la sua vita per questo, subito può rivolgersi nella preghiera direttamente a Cristo. Così la realtà storica è l'occasione, e nello stesso tempo l'oggetto della Fede.
Ma tutte le nature carnali invertono la situazione. Impegnare tutto ad un “se”, dicono, è una specie di scetticismo, di fantasticheria, di mancanza di positività. La ragione invece è che non vogliono “rischiare”. E questo brulicame di gente senza spirito, che il Cristianesimo si è trascinata dietro, ha finito per abolire il Cristianesimo.
Søren Kierkegaard, Diario, a cura di Cornelio Fabro, Morcelliana, Brescia 1981 vol. 7, pp. 66-67 [X 2 A 406-407].