La pubblicazione dell’opera Dialoghi sulla pluralità dei mondi (1686) di Bernard Le Bovier de Fontenelle, autore di cui ricorre nel 2007 il 250° della morte, rappresenta uno dei primi esempi di divulgazione dell’astronomia che impiega come sfondo narrativo una tematica, l’esistenza di altri “mondi” diversi dalla terra, capace di generare profonde trame interdisciplinari. Non è infrequente che lo sviluppo storico dell’astronomia metta in luce le sue numerose interazioni con l’arte, la cultura, la filosofia e talvolta anche la religione. Si tratta di un’antica vocazione che questo campo del sapere non ha mai tradito e che, in certo modo, pare conservare anche nel presente, come testimonia il costante dibattito sul “problema delle origini”, solo per fare un esempio. L’osservazione del cielo ha fatto riflettere e lo farà ancora, fino a quando avremo la fortuna di indirizzarvi il nostro sguardo o dirigervi i nostri strumenti scientifici.
Fra i temi interdisciplinari più discussi, occupa un posto di rilievo, appunto, il dibattito sulla “pluralità dei mondi”. Il tema è senza dubbio interessante, ma per inquadrarlo correttamente occorre precisarne alcuni aspetti storici, con lo scopo di favorire la comprensione di tutta la problematica, per certi versi delicata, ed orientarne una più efficace divulgazione. È lo scopo che ci proponiamo con queste brevi riflessioni.
Un primo elemento da segnalare è il rischio, corso quasi inconsapevolmente da vari autori, di impiegare in modo “intercambiabile” l’espressione “pluralità dei mondi” quando applicato alla nozione di universo nel suo insieme (e dunque si sta parlando di una pluralità di universi), e quando applicato invece alla nostra terra (e dunque riferito alla semplice esistenza di altri pianeti sui quali potrebbe essersi sviluppata la vita). Può essere perfino interessante notare che in molte fiction i due aspetti risultino narrativamente intrecciati: esploratori umani che atterrano su pianeti abitati sconosciuti, non di rado vi trovano una logica diversa, una cronologia invertita, la sede di paradossi filosofici, insomma, proprio “un altro mondo”. Ma pluralità di ambienti per la vita e pluralità di universi, è facile capirlo, sono due cose profondamente diverse.
Se negli aspetti scientifici del problema il lettore può uscire dall’ambiguità e capire di cosa si sta realmente parlando, semplicemente facendo attenzione allo sviluppo delle argomentazioni, negli aspetti di carattere filosofico, e soprattutto teologico, la situazione è diversa. Fonte di incertezza è a volte l’impiego della parola “mondo”, che calza ad entrambi i casi. Non di rado, alcuni autori ritengono che la stessa teologia cristiana sia stata responsabile di avere operato una certa resistenza (quando non formulato un’aperta condanna) nei confronti dell’ipotesi pluralista (di quale dei due pluralismi?).
Dal punto di vista filosofico l’idea di una “pluralità di universi”, e il giudizio su come tale idea sia stata accolta o respinta, dipende in toto dalla definizione di universo che implicitamente si assume. In una sana ontologia metafisica, sostenere l’esistenza di una pluralità di universi è semplicemente un nonsenso, a motivo della medesima definizione metafisica di universo, come totalità dell’essere, ovvero tutto ciò che esiste. Dal punto di vista teologico (almeno in una teologia della creazione fondata sulla Rivelazione ebraico-cristiana), la tesi è ancora un nonsenso, questa volta a motivo della definizione teologica di universo, come la totalità di tutto ciò che ha avuto origine da un atto trascendente di Dio creatore, ex nihilo, dal nulla. Non avrebbe pertanto senso qualificare una filosofia metafisica o la teologia cristiana (o loro singoli esponenti) come “avversari dell’ipotesi pluralista”, perché tale avversione è semplicemente frutto di fedeltà alla logica, una volta operata una corretta ermeneutica dei termini adoperati.
Per quanto riguarda invece l’ipotesi di molti mondi, intesi questa volta come pianeti, ove possano esistere altre forme di vita, anche intelligenti, la cui origine risulterebbe indipendente dalla storia evolutiva della nostra terra, il fatto di accoglierla o rifiutarla risente necessariamente del contesto storico-scientifico in cui ci si muove. La cosmologia del IV secolo a.C. non è la stessa del Medioevo, né quella di Copernico è la nostra. Quanto potrebbero aver detto Aristotele, Alberto Magno, Giordano Bruno o Eulero, lo storico deve saperlo valutare all’interno del loro contesto scientifico, filosofico e lessicale, specie se si intendono proporre paragoni i cui termini sono separati da parecchi secoli.
Un’ipotesi che in un’epoca storica assai antica può essere ragionevolmente qualificata (da tutti) frutto di pura fantasia, in secoli a noi più vicini non sarebbe giudicata (da nessuno) più tale. In particolare, a partire da quando l’ipotesi di una simile pluralità è divenuta ragionevolmente possibile, non è mai stata negata da nessuno che impieghi la ragione. Non pare pertanto corretto il giudizio secondo il quale il cristianesimo o alcuni voci autorevoli della Chiesa cattolica, o singoli teologi, possano avere escluso la possibilità di altri mondi, nel senso di altri pianeti abitabili o abitati, trattandosi di un evento la cui eventuale scoperta cade nel semplice ordine fattuale e che, pertanto, non può essere negato a priori, in base ancora alle semplici regole della logica. Se esistano o no dei pianeti con o senza delle forme di vita diverse da quelle sviluppatesi sul nostro, non può essere la conclusione di un ragionamento a priori, ma deve essere lasciato esclusivamente alla prova dei fatti a posteriori. Fatti che, nel nostro caso specifico, non potremo mai dire di avere del tutto scandagliato e verificato, non essendo in condizione, e mai lo saremo, di scandagliare o ascoltare via radio tutto l’universo esistente (quella totalità di essere e quella totalità di mondo creato cui prima ci riferivamo). Per quanto riguarda poi il rapporto con la teologia, l’espressione “pluralità dei mondi” assume un significato assai diverso nel caso ci si stia riferendo oppure no alla presenza, in qualche parte del cosmo che non sia la terra, di vita personale e intelligente.
Potrebbe essere illustrativo fare riferimento a qualche episodio storico specifico. Aristotele, ad esempio, non ammetteva una pluralità di mondi semplicemente perché si riferiva ad una unità metafisica del mondo. Così, sullo stesso tema, Alberto Magno e Tommaso d’Aquino sono solo apparentemente in disaccordo fra loro, in quanto il loro diverso giudizio circa l’ammissibilità di tale pluralità dipende dal fatto che il primo sosteneva la plausibilità di altri mondi (altre terre), mentre il secondo negava quella di altri universi (diversi dall’unico creato da Dio). Analogamente, non sono in contraddizione fra loro gli interventi del Vescovo di Parigi Tempier, che condannò nel 1277 la proposizione di tradizione aristotelica secondo la quale la Causa Prima non potesse aver creato molti mondi, e la posizione di Tommaso d’Aquino, che sosteneva l’unicità dell’universo (cfr. Summa Theologiae, I parte, questione 47, art. 3). Infatti, nel pensiero di Tommaso e di altri medievali, tale unità discendeva dall'unità del suo Creatore e dall'unità della sua causalità finale, esercitata su tutto ciò che esiste. Nella questione citata della Summa, l'Aquinate associa infatti l'idea di una pluralità dei mondi ai fautori del caso i quali, come Democrito, negavano una sapienza ordinatrice. Il monito di Tempier, nel quale il concetto di mundus non coincideva totalmente con l'uso fattone da Tommaso, aveva invece come scopo quello di mantenere inalterati gli attributi di onnipotenza del Creatore; fra l’altro, non tanto nella sfera del reale, quanto in quella del possibile, cosa sulla quale Tommaso d’Aquino sarebbe stato pienamente d’accordo. Infine, non abbiamo dati sufficienti per sostenere che la condanna di Giordano Bruno, il cui eliocentrismo è fuori dubbio, sia stata dovuta alle conseguenze del suo “pluralismo”, ovvero per gli effetti recati sulle verità di fede dell’Incarnazione e della Redenzione. A partire dai documenti indiretti relativi al drammatico episodio della sua condanna — il cui giudizio etico non può essere che di riprovazione (più complesso, invece, il giudizio storico, perché molto lontano dalla nostra sensibilità contemporanea) — si può piuttosto concludere che furono certamente le tesi teologiche ad avere un peso determinante nello sviluppo di tutta la vicenda.
Dal punto di vista storico, l’unico intervento di un Papa in merito al nostro problema risale ad una lettera di Zaccaria I (741-752), nella quale si menziona che un presbitero Virgilio stava insegnando una dottrina sulla pluralità di mondi abitati. Zaccaria riprova l'idea che vi siano abitanti agli antipodi, sulla luna o sul sole (cfr. Epistola XI ad Bonifacium, Patrologiae Cursus Completus, Migne, PL: 89, 946-947). Ma il motivo dottrinale che soggiace ad un simile richiamo, come si può facilmente evincere da un contatto diretto con il testo, è semplicemente quello di non introdurre elementi di novità che, ponendo in discussione l'unità del genere umano, renderebbero più complessa la comprensione dei rapporti con Dio e con il peccato originale per quegli uomini che non fossero discendenti di Adamo.
Altra e diversa, infatti, è la questione se la teologia abbia saputo offrire, nel passato o nel presente, spiegazioni convincenti di come armonizzare la possibilità di vita intelligente oltre i confini della terra con il contenuto della fede, ad esempio in merito alla dottrina dell’Incarnazione o del peccato originale, dando talvolta l’impressione di glissare il problema. Ma l’esiguo numero di autori che si sono occupati di tali argomenti non può portare a sostenere che tale possibilità sia stata negata per motivi di principio. È interessante notare che specie in ambiente anglosassone, evangelico ed anglicano, il numero di teologi che si siano occupati della questione diviene significativo a partire dal XVIII secolo, ovvero a partire da quando la pluralità di mondi abitati è divenuta ragionevolmente possibile. Dalla analisi storica non emerge alcuna dichiarazione del Magistero della Chiesa cattolica che abbia negato tale possibilità, né potrebbe esservi, trattandosi, come abbiamo segnalato, di un evento che cade nell’ambito fattuale, fenomenico. In merito alla posizione della teologia cristiana, non è immediato offrire sintesi su quale possa o debba essere il vero contenuto della Rivelazione biblica in materia, e su quale debba essere l’articolazione fra le varie verità di fede che ne risulterebbero coinvolte. Il fatto che la ricerca di tali risposte sia onerosa e delicata non giustifica l’idea di una teologia inadempiente o reazionaria.
Non vi è alcun dubbio che i rapporti fra teologia e sviluppo delle scienze abbiano conosciuto stagioni diverse. Studi che affrontino la tematica da un punto di vista storico e interdisciplinare non possono che favorire la comprensione di questi sviluppi, anche nei loro passaggi più drammatici e, perciò, culturalmente più rilevanti. Divulgare l’astronomia non è un compito facile, perché implica anche saper divulgare la fitta trama di relazioni storiche ed epistemologiche che questa disciplina ha intessuto lungo la storia con innumerevoli campi del sapere e della vita umana. La divulgazione, anche in questo campo, è un’impresa necessaria, un servizio che consente a tutti di accostarsi alle straordinarie vicende che accompagnano la fatica della verità. E reca al tempo una responsabilità, quella di saper uscire dai luoghi comuni, proprio in attenzione a quella medesima verità che si sta cercando.