I. La nascita del problema - II. Il telo sindonico - III. Dati sindonici e dati evangelici sulla crocifissione e sepoltura di Gesù - IV. Principali tappe del cammino della Sindone - V. Le analisi delle scienze sperimentali sul telo sindonico - VI. Valutazione critica delle nostre conoscenze sulla Sindone - VII. La Sindone fra scienza e fede: reliquia, icona, messaggio.
I. La nascita del problema
Nei giorni fra il 25 e il 28 maggio 1898, durante l'ostensione che doveva ricordare le nozze di Vittorio Emanuele (III) di Savoia con Elena di Montenegro, l'avvocato Secondo Pia scattò nel duomo del capoluogo piemontese le prime fotografie della Sindone di Torino. Al momento dello sviluppo delle lastre Pia si rese conto che sul negativo fotografico che gli stava davanti l'immagine aveva carattere positivo (rendendo con tonalità chiara i punti chiari della realtà e con tonalità oscura i punti oscuri), mentre sull'originale sindonico e sul positivo fotografico essa aveva carattere negativo (invertendo le tonalità chiare e oscure della realtà). La scoperta suscitò emozione fortissima (all'improvviso acquistavano familiarità i tratti del sofferente della Sindone, soprattutto quelli del volto), a cui fece seguito uno slancio di iniziative molteplici e mai più interrotte nel campo della ricerca scientifica. Si fa coincidere con quella data l'origine della «sindonologia», realtà atipica, che assomma tutte le scienze che si interessano dell'antico reperto sindonico.
Le nuove prospettive di ricerca scientifica provocarono una nuova consapevolezza nel rapporto religioso che lega il credente al lenzuolo sindonico e all'immagine che vi è impressa, accrescendo sia l'entusiasmo sia la problematizzazione circa la possibilità di contemplare in essa i tratti stessi di Gesù. Contemporaneamente iniziarono vivaci discussioni in merito alla cosiddetta “autenticità” della Sindone, che si riferisce a un doppio problema: a) se quel lenzuolo abbia avuto origine all'inizio dell'era cristiana (problema della datazione) e b) se l'immagine sindonica sia stata prodotta dal contatto fra il lenzuolo e il corpo senza vita di Gesù dopo la sua deposizione dalla croce (problema dell'origine dell'immagine).
Nessun reperto antico riguardante le origini cristiane ha mai suscitato una simile forma di interesse, perché nell'oggetto è presente una realtà di segno unica, che tende ad avvicinarsi in modo singolarissimo alla persona “segnata”. Sorgono spontanee le domande: quel lenzuolo ha proprio toccato il corpo di Gesù di Nazaret dopo la sua deposizione dalla croce? L'immagine che esso presenta riproduce davvero i lineamenti di quell'uomo così importante per la vita cristiana? Potervi rispondere interessa mente e cuore di ogni uomo; resta il problema se solo una risposta positiva sicura legittimi il rapporto religioso tra il credente e quell'oggetto con la sua immagine (vedi infra, VII).
Il clima nel quale si svolse la discussione e la ricerca, assai acceso fin dall'inizio, ha avuto un'impennata in emotività a partire dal 1988, quando furono effettuate le analisi sulla componente di C14 (un isotopo radioattivo del carbonio) presente nel tessuto sindonico e venne reso noto l'esito dell'indagine, che datava l'origine del telo sindonico fra il 1260 e il 1390 d.C. (vedi infra, V.1). Le tendenze radicalizzanti nella discussione si attestarono su posizioni estreme: da una parte quanti affermavano che il verdetto era definitivo e perciò era da considerarsi sanzionata l'illegittimità di un rapporto religioso fra il credente e la Sindone; dall'altra quanti affermavano l'inaffidabilità del risultato (sostenendo spesso che era stato raggiunto con procedimenti scorretti), difendendo pertanto l'“autenticità” del reperto sindonico e la legittimità del rapporto religioso con esso.
Si rende anzitutto necessaria una corretta posizione del problema. Esso sorge — più precisamente: è acutizzato — da un pronunciamento scientifico; ma dove sta precisamente il problema del rapporto scienza-fede a riguardo della Sindone? Che cosa può o deve attendere la fede dalla scienza; quali condizioni impone la scienza alla fede? Occorre anzitutto chiarire in quale categoria di realtà religiosa si pone la Sindone: è immagine con rimando a un fatto? È reliquia della deposizione di Gesù dalla croce e della sua sepoltura (per qualcuno anche della sua risurrezione)? Alla prima domanda sembra doversi dare, senza alcun dubbio, risposta positiva; la riposta alla seconda si pone nella fascia della possibilità. Ancora: quali conseguenze ha sul rapporto di quella realtà con la fede la risposta alle precedenti domande? Dove si pone il rapporto con la fede? Certamente a livello di veridicità del segno; forse anche a livello di autenticità di reliquia? E comunque, in quale modo essa agisce positivamente in favore del processo della fede?
Dove si pone il piano della significatività? Nell'espressività dell'immagine; o anche nella materialità del rapporto con il corpo di Gesù? Perché il sentimento — il “cuore” — dell'uomo è più reattivo di fronte alla consapevolezza del contatto fisico: perché è maggiore la densità del ricordo? Occorre tutta quella “densità” per giustificare la proposta pastorale di devozione o di culto solenne? Il segno sindonico è più “vero” se il telo ha certamente toccato il corpo di Gesù? L'eventuale assenza di “densità” costituisce solo un aspetto negativo nella situazione di incertezza che ne deriva?
La risposta a questa problematica richiede un complesso cammino di ricerca. La sua articolazione costituisce il sommario della nostra esposizione lungo le sezioni della voce: a) partiamo dalla lettura della realtà sindonica; b) poniamo a confronto questo reperto con i dati evangelici sulla passione e sepoltura di Gesù; c) proponiamo una descrizione delle tappe (sicure, probabili, possibili) del cammino che esso ha compiuto per giungere a noi; d) per passare a una scorsa sulle ricerche delle scienze matematiche e sperimentali effettuate sulla Sindone. In conclusione, due momenti di sintesi si propongono di: e) formulare un giudizio sul grado di conoscenza riguardante la realtà sindonica; f) offrire una valutazione religiosa di questo stato di cose, con risposta alle domande poste, poco sopra formulate.
II. Il telo sindonico
La Sindone di Torino è un antico lenzuolo di lino, di buona fattura, a struttura spigata, lungo circa m. 4,36 (un po' di più quando è sottoposto a tensione) e alto circa cm. 110. Sul verso del lenzuolo è visibile l'immagine frontale e dorsale di un uomo, morto a causa delle torture della crocifissione (nella tradizionale posizione d'ostensione la parte frontale è a sinistra, la dorsale a destra). Sul retro del lenzuolo l'immagine non è visibile. Sul verso l'immagine è causata dall'imbrunimento (per ossidazione e disidratazione) delle fibrille superficiali dei fili sporgenti del tessuto; colore autonomo (carminio) e di contrasto hanno solo le macchie di sangue, sparse un po' ovunque sul corpo. Il sangue ha superato la barriera del lenzuolo ed è nettamente visibile sul retro. Dopo la polemica intercorsa negli anni Ottanta del XX secolo fra W. Mc Crone e i chimici J. H. Heller e A. Adler, e gli studi compiuti da questi ultimi e da P. Baima Bollone, sulla realtà delle macchie di sangue non si può oggi più dubitare (cfr. Baima Bollone e Adler, in Barberis e Zaccone, 1998); l'analisi ne ha inoltre riconosciuto l'appartenenza al gruppo sanguigno AB (cfr. Baima Bollone, 1998, pp. 175-178).
Non vi sono dubbi che l'uomo raffigurato nell'immagine sindonica sia morto. Lo dimostrano i segni della rigidità cadaverica evidenti nella posizione del capo, che non si appoggia all'indietro sul lenzuolo, essendo un po' reclinato in avanti; nell'atteggiamento retratto del piede sinistro (per chi guarda, e quindi destro della persona crocifissa), che dopo lo schiodamento dalla croce non è tornato completamente parallelo all'altro, che era invece stato teso; nella durezza dei muscoli degli arti che toccano il piano sepolcrale e che hanno perso l'elasticità del vivo senza avere ancora acquisito la morbidezza che dà inizio alla decomposizione. Lo mostra inoltre il sangue “cadaverico” che sgorga dalla ferita del petto (per avvenuta dissierazione del sangue) e, nell'insieme, «l'esistenza di un complesso lesivo di gravità tale da risultare incompatibile con la vita» (Baima Bollone, 2000b, p. 185).
Le cause della morte sono da individuare nelle torture subite dall'uomo e attestate nell'immagine, in particolare i segni dei chiodi alle mani e ai piedi. Oltre a questi segni, che rimandano direttamente e inequivocabilmente alla crocifissione, la Sindone conserva il ricordo di molte altre torture: il volto è tumefatto e coperto da un velo di sangue (come ha rivelato la scansione elettronica del retro del telo sindonico, dove non è visibile alcuna immagine, mentre si rileva ogni presenza di sangue), manifesta enfiagioni, una probabile frattura del setto nasale e forse la spaccatura di un labbro; i capelli scendono rigidi ai lati del volto a causa del sangue raggrumato, così come rigida è la barba; la fronte è solcata da un rivo di sangue, che si ferma al sopracciglio e, superando le rughe, assume la figura di un 3 rovesciato o di una epsilon (ε). Anche sulla testa i capelli sono intrisi di sangue e si indovina la presenza di una molteplicità di piccole ferite che hanno offeso il cuoio capelluto e hanno provocato abbondati emorragie, che confluiscono alla base della nuca (uno dei luoghi ad alta densità ematica). Specialmente sulla parte posteriore del corpo (schiena e gambe) sono visibili numerosissimi segni di colpi provocati probabilmente da flagello (la presenza di essi anche sulla parte anteriore si spiega con l'effetto avvolgente impresso alle funi o corregge). Ancora sulla parte posteriore, all'altezza delle spalle, si notano due macchie oscure, spiegabili probabilmente per lo sfregamento del tronco trasversale della croce, il patibulum , durante il suo trasporto da parte del condannato (eccetto che si tratti di “lividure cadaveriche”, cfr. Zacà, in Baima Bollone, 2000b, p. 178). Sulla parte anteriore della figura umana, nel quinto spazio intercostale, è presente una larga ferita (cm. 4,5 x 1,5) da punta e taglio, dalla quale proviene quel sangue cadaverico già menzionato e che durante il trasporto del cadavere ha formato una cintura trasversale alla schiena. Tornando alla ferita dei polsi, dal sinistro (l'unico scoperto, essendo l'altro nascosto sotto la mano sinistra) si vede partire una doppia colatura di sangue, dovuta alle diverse posizioni assunte in croce dal condannato nello sforzo di ridare al torace la possibilità dell'inspirazione.
L'uomo della Sindone è dunque morto per le torture della crocifissione. Più difficile è dire chi fosse quell'uomo.
III. Dati sindonici e dati evangelici sulla crocifissione e sepoltura di Gesù
La Sindone deve il suo nome e il suo interesse ai vangeli; eppure si ha l'impressione che, fra le scienze che ne trattano, l'esegesi biblica sia quella che ha meno cose da dire su di essa. È troppo chiaro che dai vangeli non è possibile attendere un'indicazione che porti a concludere che il lenzuolo conservato a Torino ha 2000 anni di età e che ha avvolto il cadavere di Gesù Cristo. Eppure, guardando la Sindone non è possibile non guardare anche i vangeli. Il fatto che da secoli moltitudini di fedeli mettano in collegamento, istintivamente, quanto osservano sul lenzuolo con quanto i vangeli raccontano della passione di Gesù non può non provocare la curiosità anche dello scienziato. A differenza di altri reperti secolari, che hanno in sé un simbolismo assai debole e che suscitano interesse quasi esclusivamente a causa di una lunga tradizione di devozione popolare nei loro confronti, la Sindone porta in sé un riferimento e un messaggio nativi che si impongono da soli, dando fondamento per molti a un sentimento religioso che, partendo da quel lenzuolo, lo trascende, per diventare rapporto di vita con la Persona a cui il lenzuolo rimanda.
L'immagine sindonica è un “racconto”. Chi lo legge scopre il verificarsi di un evento e riesce anche a seguirne lo sviluppo. Il fatto che esista un altro racconto, questa volta letterario, che narra una vicenda analoga — ed analoga in modo unico — di cui conosciamo il protagonista e gli eventi che hanno preceduto la sua morte, obbliga il ricercatore ad una prima verifica. Competente sul secondo racconto è l'esegesi biblica, che ha il compito di chiarire quali sono le corrispondenze e quali sono gli aspetti di incompatibilità che passano tra i due “racconti”; leggendo i vangeli, possiamo aprirci con fondatezza all'ipotesi che l'attuale “Sindone di Torino” coincida con il telo funebre che ha avvolto il cadavere di Gesù, oppure tale corrispondenza è incompatibile con il dato scritturistico?
Gli ambiti del racconto evangelico riguardanti la Sindone sono quelli della passione e della sepoltura di Gesù (cfr. Mc cc. 14-15; Mt cc. 26-27; Lc cc. 22-23; Gv cc. 18-19) e del rinvenimento del sepolcro vuoto (cfr. Gv 20,3-10; Lc 24,12) (cfr. Ghiberti, 1982). Le verifiche di eventuali convergenze possono iniziare dal nome, che ci rimanda alla sepoltura. Il reperto conservato a Torino ne ha più di uno, a seconda della lingua: Turin Shroud o anche Holy Shroud , Linceul de Turin o Saint Suaire , Sàbana Santa , Heiliges Grabtuch o Turiner Grabtuch. Il nome latino che ha accompagnato la presenza in Occidente di questo telo è quello di Sacrosancta Sindon Domini Nostri Jesu Christi , da cui deriva l'italiano «Sindone», termine tecnico, perché non abitualmente applicato ad altri teli o lenzuola.
Questo termine è appunto uno di quelli presenti nei tre vangeli sinottici (Mt, Mc e Lc) per indicare il telo (o un telo) usato per la sepoltura di Gesù. L'esegesi si domanda se in origine il nome indichi la Sindone che noi conosciamo. La risposta può essere data solo tenendo presenti sia la potenzialità semantica del termine, sia i verbi che indicano l'uso fatto di questo tessuto. Lo spettro semantico del gr. sindón ci rimanda a un panno o telo che può trovarsi allo stato grezzo oppure già preparato per un uso specifico (per esempio come tunica, che potrebbe essere una tunica mortuaria). Le possibilità di senso sono dunque ampie e lasciano aperte le questioni sulle forme, sul tipo di stoffa (per lo più lino) e sulla sua ampiezza, perché la documentazione dell'uso è molteplice e imprecisa. Con una sindón viene avvolto il cadavere di Gesù. «Avvolgere» potrebbe anche essere inteso come un riportare la tela che giace sotto il cadavere fin sulla parte anteriore di esso, facendola girare dietro il capo, come appunto si pensa sia avvenuto con il lenzuolo di Torino. Certo, se non ci fosse la Sindone di Torino, non saremmo forse portati istintivamente a interpretare il verbo avvolgere in quel senso, ma è importante che tale senso non sia escluso dalle capacità semantiche del termine.
Nel racconto giovanneo (cfr. Gv 19,38-42, da completare con i vv. 20,3-10) i particolari crescono, ma non sono facilmente armonizzabili con quelli dei sinottici. Non si parla più di «sindone», e al suo posto si nominano «teli» (othónia) e poi un «sudario» (soudárion), mentre nel caso della sepoltura di Lazzaro (cfr. Gv 11,38-44) si parla, oltre che del sudario, anche di «legacci» (keiríai). Questi ultimi (che per Gesù non sono nominati) servivano per tenere legati le mani e i piedi, affinché durante il tragitto verso il sepolcro non si scomponessero gli arti del cadavere, che veniva seppellito a breve distanza di tempo dalla morte (e dunque quando non era ancora del tutto subentrata la rigidità cadaverica). I «teli» sono indicati al plurale ed è segno quindi che ne sono stati visti più di uno, mentre il «sudario» (che per Lazzaro “legava attorno” il volto: cfr. Gv 11,44) per Gesù “era stato sulla sua testa” (cfr. Gv 20,7). Ora, la Sindone di Torino è una sola e inoltre non suggerisce la presenza del sudario sulla testa, dato che l'intensità dell'immagine sindonica è omogenea su tutta la superficie del corpo, senza diminuzione sul volto. Un possibile orientamento giunge dal modo con cui apparivano i teli alla vista di chi li trovò “giacenti” nel sepolcro: se Gesù vi fosse stato avvolto (in realtà Giovanni dice «legato») al modo che si intravede nella Sindone, dopo la resurrezione il visitatore avrebbe visto il telo nella sua parte superiore ed in quella inferiore, come in una apparente pluralità. Il sudario potrebbe anche essere stato piegato, o arrotolato, e usato attorno al volto, con funzione di mentoniera, e così non sarebbe stato frapposto tra il volto e la Sindone.
Resta vero che nei Vangeli sinottici e in Giovanni vi sono elementi a favore di un certo avvolgimento del cadavere di Gesù per la sepoltura, però non è facile immaginare come sia stato effettuato in concreto. Esso comunque esclude che a sindón si dia il senso di tunica mortuaria, perché non avrebbe praticamente senso parlare dell'avvolgimento in una tunica (le circostanze della morte inattesa di Gesù e della premura per la riposizione del cadavere rendono anch'esse improbabile il ricorso alla tunica); rimarrebbero invece due possibilità: o il cadavere viene deposto nel mezzo di un grande telo, mentre su di esso vengono raccolti i capi (poi magari fissati con legamenti), oppure viene deposto sulla metà inferiore del telo (lungo e stretto), che viene poi avvolto dietro la testa e fatto scendere sulla parte anteriore (che è la modalità suggerita dalla visione dell'immagine sindonica). Sulla scorta dei dati giovannei non possiamo né negare né affermare l'aggiunta di qualche capo di tessuto sottaciuto dai sinottici: non possiamo escludere che per il trasporto del cadavere nel breve tragitto fino al sepolcro sia stato impiegato qualcosa di analogo ai legacci o keiríai, per mantenere vicini piedi e mani. Si può concludere che l'uso dell'espressione «avvolgere in una sindone» può anche spiegare quanto vediamo oggi nel lenzuolo sindonico: un telo di quella forma, usato in quel modo.
Per i particolari delle torture subite dai protagonisti dei due racconti, Gesù di Nazaret e l'uomo della Sindone, le corrispondenze sono suggestive, a causa dell'eccezionale coincidenza delle torture narrate e di quelle visibili: corona di spine, insulti al volto, flagellazione, inchiodamento dei polsi e dei piedi, ferita del costato. Qualcuno di questi particolari non è abituale nelle antiche descrizioni — per altro assai parche di dettagli — delle crocifissioni (per esempio, l'incoronazione di spine e il colpo di lancia al petto, a morte già avvenuta): ritrovarle nei vangeli e sulla Sindone è pertanto un indizio di convergenza fra i due “racconti”. La spiegazione più spontanea della presenza di questi particolari sull'immagine sindonica suggerisce che essi siano stati originati da un contatto fra il lenzuolo e il corpo di Gesù dopo che fu deposto dalla croce; se non si trattava di Gesù, è spontaneo domandarci se non accadde con una persona che aveva subito esattamente le torture inflitte all'Uomo dei vangeli. Ma è ipotesi di pura gratuità.
Non mancano però alcune difficoltà ad ammettere la compatibilità tra Sindone e vangeli (cfr. in proposito Ghiberti, in Scannerini e Savarino, 2000, pp. 273-284). Innanzitutto, l'immagine impressa sul telo sembra essere il frutto di una proiezione quasi perfettamente ortogonale e le differenze di intensità di colorazione sembrano essere conseguenza solo della distanza dei diversi punti del corpo dal telo, non invece della presenza di altri corpi (altri panni mortuari?) interposti fra l'ipotetico cadavere e il telo sindonico; ma tutto ciò è compatibile con i verbi del racconto evangelico? Per la pluralità dei «teli» e il sudario «sul capo» è stata data sopra una probabile risposta. Quanto ai verbi del rivestimento o avvolgimento del cadavere (entylísso, eneiléo, déo) non è detto che comportino esclusivamente un avvolgimento da tutte le parti. Il procedimento con cui sono impiegati gli aromi (arómata, myron, smyrna, alóe) è forse meno importante per la nostra verifica. Inoltre il sepolcro (mnemeîon, mnêma, táphos) non fa problema. Forse un “sepolcro a truogolo” (ossia incavato a forma di vasca) potrebbe spiegare al meglio la proiezione ortogonale su un lenzuolo nuovo, disteso e trattenuto in posizione semirigida sul cadavere.
Ancora: non conosciamo con totale precisione l'uso ebraico dell'epoca di preparare il cadavere per la sepoltura (entaphiázein di Gv 19,40). Dobbiamo presumere che nella circostanza eccezionale della parasceve di quel «grande sabato» si procedesse con la massima abbreviazione nel rito di preparazione del cadavere. Il fatto poi che si trattasse del cadavere di quel giustiziato comporta altre possibili prescrizioni. A noi interessa la conclusione della assai probabile omissione della lavatura del cadavere. Infine, l'uomo sindonico era certamente barbuto e aveva una lunga capigliatura; secondo alcuni poteva avere i capelli raccolti a “codino” dietro il capo. Tutto ciò è compatibile con quanto si conosce degli usi ebraici riguardanti la capigliatura maschile all'epoca della morte di Gesù? Le obiezioni della capigliatura non sembrano cogenti, sia per il “codino” (la cui presenza è discutibile) sia per la pretesa impossibilità della capigliatura fluente: non è escluso che Gesù possa avere vissuto almeno un periodo come «nazireo» (un voto praticato dagli ebrei che prevedeva, fra l'altro, il divieto di radersi il capo) e la proibizione della lunga capigliatura non è inoltre dimostrata come legge recepita. Metodologicamente però sarà necessario prendere pure in considerazione la questione dell'intenzionalità storiografica degli autori evangelici, quando (essi o le fonti alle quali attingono) scelsero per la loro narrazione una specifica terminologia. È possibile che l'intenzionalità storiografica di quei racconti non si estenda ai singoli particolari episodici, soprattutto per i passi giovannei. Da tutti i particolari qui ricordati, si può comunque giungere alla conclusione che tra la “Sindone” e i testi evangelici non c'è incompatibilità.
IV. Principali tappe del cammino della Sindone
La storia più antica della Sindone è legata a un fatto assai incerto: la data della sua origine. Il referto dell'analisi del C14 presente nel tessuto sindonico, reso pubblico il 13 ottobre 1988, pone la datazione fra il 1260 e il 1390: se esso è attendibile, la storia della Sindone coincide con il suo periodo europeo conosciuto; in caso contrario, diviene lecito risalire a un'origine precedente a quell'epoca.
Nel 1353 a Lirey, nella diocesi di Troyes in Francia, veniva terminata una chiesa, fatta costruire in onore dell'Annunciazione di Maria da Geoffroy de Charny, che vi collocò la Sindone, affidandola ai canonici della chiesa (cfr. Zaccone, 1997). La Sindone diviene subito oggetto di venerazione, con grande concorso di popolo. La cosa non fu esente da polemiche, che durarono per decenni, coinvolgendo il mondo delle autorità, dal vescovo Pierre d'Arcy al re Carlo VI, all'antipapa Clemente VII. Iniziate con l'accusa di falsa reliquia, terminarono con la conferma della concessione di ostensione, pur con alcune cautele. Da allora è possibile seguire senza interruzioni le vicende di quel telo: nel 1418 la Sindone viene ritirata dalla chiesa di Lirey dall'ultima Charny, Margherita, moglie di Humbert de La Roche, la quale nel 1453 la cedette a Lodovico di Savoia. I Savoia la conservarono come reliquia preziosa e la portarono con sé nei loro spostamenti, finché nel 1502 la collocarono nella cappella del loro palazzo ducale a Chambéry, dove ricevette dal Papa Giulio II (1503-1513), nel 1506, una liturgia propria (festa il 4 maggio) e dove subì il disastroso incendio del 4 dicembre 1532, i cui danni sul tessuto furono riparati con cura dalle clarisse di Chambéry nel 1534. Nel 1578 Emanuele Filiberto la trasferì a Torino, la nuova capitale del suo ducato, e nel 1694 venne collocata stabilmente nella Cappella del Guarini, costruita sulla linea divisoria del duomo e del palazzo reale di Torino. Il reperto seguì ancora la famiglia regnante in Liguria nel 1706 e si allontanò un'ultima volta dalla città fra il 1939 e il 1946, accolta dai monaci di Montevergine, in Campania, per sfuggire ai pericoli dei bombardamenti della II guerra mondiale. Le ostensioni del periodo savoiardo e torinese furono inizialmente frequenti, ma dal 1700 si fecero più rare. Erano abituali quando si celebravano date fauste della dinastia: per esempio, per le nozze di Vittorio Emanuele (II) nel 1842, di Umberto (I) nel 1868, di Vittorio Emanuele (III) nel 1898, di Umberto (II) nel 1931 (le ultime due in ritardo sulla data). Successivamente vi furono ostensioni nel 1933 (per il “giubileo della redenzione”), nel 1978 (per i 400 anni dall'arrivo a Torino), nel 1998 (per i 100 della prima fotografia, i 500 anni del duomo e i 1600 del Concilio di Torino) e nell'anno 2000 (per il grande Giubileo della fine del II millennio). Nel 1973 venne concessa un'ostensione televisiva. Per diverse occasioni ci furono ostensioni private: per esempio, nel 1804, quando Pio VII passò da Torino diretto in Francia, nel 1980 per Giovanni Paolo II, ed inoltre per diverse ricognizioni, come il 14 aprile 1997, dopo l'incendio della notte fra l'11 e il 12 aprile (dal quale la Sindone uscì indenne).
Come la Sindone fosse giunta a Lirey non è noto con chiarezza: si parla di dono o di “conquista”. Il cammino precedente è ipotetico e si ricostruisce in base a notizie dall'interpretazione incerta (cfr. Dubarle, 1985; Dubarle e Leynen, 1998). L'anno 1204 è fondamentale per le notizie che i crociati latini tramandano sulla città di Costantinopoli. Uno di essi, Robert de Clari, descrive le reliquie che ha venerato nella capitale cristiana d'Oriente: tra di esse una Sindone sulla quale è visibile l'immagine di Cristo. Dopo il sacco di Costantinopoli non se ne ricorda più la presenza sul luogo e si ipotizza che sia giunta in Occidente o nelle mani dei Templari o, dopo una permanenza in Atene, nelle mani di cavalieri francesi che vi avevano risieduto.
Per la «sindone costantinopolitana» è molto meno facile parlare di identità con quella attuale di Torino che per quella di Lirey. In attesa di rispondere con sicurezza a tale domanda, è impossibile non riproporre la domanda già posta per quella: che ne era di quella Sindone, prima che giungesse a Costantinopoli? È assai probabile che fosse conservata nella capitale dell'Impero d'Oriente fin dal 944, quando l'imperatore costantinopolitano Romano I Lecopeno (920-944) riuscì a venire in possesso del Mandilion di Edessa (il che presuppone l'identificazione dei due reperti: «mandilion» e «sindone», come unica e identica realtà). Fonte principale di informazione è l'omelia pronunciata da Gregorio il Referendario per l'arrivo dell'immagine il 16 agosto 944. Egli parla del viso insanguinato e del fianco da cui sgorga sangue e acqua. A Edessa (oggi Urfa) tale immagine è presente all'inizio del secolo VII e viene spiegata in riferimento alla leggenda legata al re di Edessa Abgar V (9-46 d.C.), riportata da Eusebio di Cesarea (260-339), secondo la quale al re, caduto gravemente ammalato, un'immagine «non fatta da mani d'uomo» sarebbe stata inviata da parte di Gesù stesso. Per la presenza del Mandilion ad Edessa e l'ipotesi dei suoi rapporti con la Sindone rimandiamo a Wilson (1978 e 1998), Dubarle (1985), Dubarle e Leynen (1998), Zaninotto, in Zaccone (1997).
Il nucleo storico in questo complesso di notizie è oscuro e per risolverne le difficoltà sono state tentate molte risposte. Il Mandilion mostra solo il volto di Gesù, ma si parla di telo tetradiplon (cioè quadripiegato), probabilmente perché il lungo lenzuolo, piegato in due volte e poi in quattro, lasciava scoperto e visibile solo un ottavo della superficie totale, cioè quella del volto (su tutta la questione cfr. Dietz, in Scannerini e Savarino, 2000, pp. 330-357, che corregge e completa l'ipotesi). Questo volto fu contemplato dagli artisti dell'imperatore Giustiniano I, devoto della reliquia di Edessa e mecenate. Egli avrebbe fatto introdurre un modello (attestato a partire dalle antiche icone di santa Caterina al Sinai) che sembra imporsi con tratti costanti: volto barbuto con lunghi capelli, divisi alla sommità del capo, magari completati da un ricciolo lasciato libero al centro della fronte; volto asimmetrico, causato dal gonfiore della guancia sinistra. A partire da un certo momento si diffonde la raffigurazione cosiddetta del «compianto di Cristo», deposto dalla croce e adagiato su un telo posto per terra. Per molto tempo sembra che della Sindone si sia guardata solo la parte che mostrava il volto. Per parte della popolazione di Edessa, il Mandilion costituiva un cimelio, per altri motivo di scandalo, soprattutto nel periodo della lotta iconoclasta. Ciò spiegherebbe anche sue periodiche scomparse come pure la produzione di copie di mandilia : note sono quelle di Genova e del Vaticano, ma ne dovevano già essere esposte a Costantinopoli. Chi accetta quest'ipotesi collega con una delle fasi della tradizione di Abgar V la venuta della Sindone da Gerusalemme a Edessa e ne colloca la data nel corso del II secolo.
Lo stato di cose qui brevemente descritto è giudicato in modo differente dagli addetti ai lavori: la mancanza di notizie sicure per un periodo di tredici secoli è ritenuta da alcuni una difficoltà insuperabile, uno dei punti più deboli del discorso scientifico sulla Sindone. Altri ritengono l'assenza di dati certi un fenomeno non così eccezionale, in confronto ad altri reperti antichi che non raramente compaiono senza altra notizia di sé che la propria realtà. È però vero che la ricostruzione della storia della Sindone impone il ricorso ad altre informazioni, che possono essere offerte solo dallo studio scientifico dell'oggetto in sé.
V. Le analisi delle scienze sperimentali sul telo sindonico
Quando è stato fatto il lenzuolo sindonico con la sua immagine? Come si è formata l'immagine stessa? Alla prima domanda potrebbe rispondere una notizia storica; per la seconda, difficilmente le notizie storiche potrebbero bastare. Di fatto esse mancano per ambedue e rendono necessario il ricorso sistematico alle scienze sperimentali. «La Sindone è indiscutibilmente un reperto medico-legale che deve essere studiato con i criteri, le tecniche e il supporto di molte altre materie scientifiche proprio di questa disciplina, a cavallo tra la cultura anatomo-clinica e quella umanistica» (Baima Bollone 2000c, p. 4). Il secolo XX ha visto una grande quantità di scienze interessarsi del reperto sindonico: in questa sede ricordiamo solo quelle che si sono occupate dei nostri due problemi.
1. La datazione della Sindone. È da ritenere pacifica la dimostrazione di una età, per la Sindone, risalente almeno fino alla metà del sec. XIV (Lirey): attribuzioni posteriori, per esempio alla vita di Leonardo da Vinci, sono un non-senso scientifico. Accenniamo sia agli indizi favorevoli ad una sua collocazione in età antica sia a quelli sfavorevoli.
La «palinologia» o scienza dei pollini, iniziò a interessarsi della Sindone quando il professore Max Frei, esperto della polizia criminale di Zurigo, effettuò, tramite applicazione di nastri adesivi sulla superficie sindonica, l'asportazione di materiale conservato negli interstizi tra filo e filo (novembre 1973 e ottobre 1978). Importanti, fra tali residui, le spore di vegetali di vario tipo. Attraverso lo studio di quel materiale al microscopio ottico ordinario e al microscopio a scansione elettronica, Frei individua (tramite confronto con immagini di pollini conosciuti) i pollini di 58 diverse specie vegetali; sembra che al momento della sua improvvisa morte, egli stesse lavorando alla identificazione di un'altra quindicina di specie. Frei stesso compie viaggi in Israele per approfondire le conoscenze della botanica del luogo; in tempi successivi intervengono esperti botanici israeliani (Avinoam Danin e Uri Baruch). Nessuna delle specie rinvenute è specie estinta; tutte sono note. Dalle spore presenti sul reperto, il criminologo risale alle località in cui esso si è trovato. I rinvenimenti di Frei e gli studi di Danin e Baruch permettono di dire che la Sindone è stata in area mediterranea; inoltre, alcune specie corrispondono solo ad aree dalle caratteristiche analoghe a Edessa o all'attuale Israele. L'osservazione più interessante riguarda il fatto che tre specie (Cistus creticus, Gundelia Tournefortii, Zygophyllum dumosum) convivono solo in alcune aree della Palestina.
Tutto ciò permette di ipotizzare la traiettoria degli spostamenti del telo sindonico; privilegia anche una stagione dell'anno, la primavera; ma lancia anche conclusioni sulla datazione? Solo la storia della botanica permetterebbe di rispondervi, nel caso che qualcuna delle specie tipiche fosse estinta, ad esempio, proprio 2000 anni fa. Il fatto che quella branca della botanica sia ancora poco sviluppata, e che tutte le specie rinvenute fino a questo momento siano ancora viventi, toglie la punta all'argomento. La pista è valida, la ricerca non è ancora conclusa.
La «numismatica» è notoriamente un utilissimo strumento di datazione nei rinvenimenti archeologici. Per la Sindone le scoperte di Filas (a partire dal 1954) e quelle di P. Baima Bollone e N. Balossino (1997), che trovano sugli occhi del crocifisso della Sindone indizi di presenza di due diverse monetine di piccolo valore (della famiglia del lepton ) coniate da Pilato negli anni 29 e 30 dell'era cristiana, assumono grande interesse: esse permettono infatti di datare con somma verisimiglianza la sepoltura di quel crocifisso proprio in quegli anni. Ma all'interesse della scoperta non corrisponde la sua sicurezza: anche in questo caso la ricerca non è conclusa (cfr. Balossino, in Barberis e Zaccone, 1998).
Il metodo della «radiodatazione» mediante misurazione del C14 si propone di individuare gli anni trascorsi dal momento in cui gli organismi presenti in un certo reperto hanno cessato di vivere. Esso sfrutta il «ciclo del carbonio» presente in natura e parte da una costatazione fondamentale: nella materia organica esistono tre isotopi di carbonio C12 , C13 e C14 , aventi un numero di massa crescente (i cui nuclei cioè sono formati da sei protoni e, rispettivamente, da sei, sette e otto neutroni). Di essi il C14 , presente in quantità minima, è instabile e radioattivo. Esso decade, emettendo particelle β (elettroni), trasformandosi col tempo nell'isotopo N14 dell'azoto. Mentre l'organismo permane in vita, la quantità totale di C14 resta in un rapporto di equilibrio con gli altri isotopi attraverso lo scambio metabolico con l'ambiente esterno. Dal momento in cui cessa la vita, la quantità del radioisotopo non si rinnova più e comincia gradatamente a diminuire in modo costante, dimezzandosi in un periodo di circa 5730 anni.
La ricerca secondo questo metodo fu applicata al nostro caso supponendo che il tessuto sindonico sia stato realizzato subito dopo la cessazione di vita della pianta e quindi impiegato dopo breve tempo per l'uso a noi noto: dalla misura della quantità di C14 presente sull'attuale telo sindonico si può concludere l'età della Sindone. Per effettuare questo esame su alcuni campioni del telo venne deciso l'uso dell'acceleratore-spettrometro di massa e l'analisi venne affidata ai laboratori di Zurigo, Oxford e Tucson in Arizona. Il prelievo venne effettuato il 21 aprile 1988. Ad ogni laboratorio fu consegnato un campione del peso di ca. 50 mg. Col campione sindonico furono consegnati altri tre campioni di tessuti antichi di datazione nota (compresa fra l'epoca romana e l'epoca tardomedioevale). L'esame avrebbe dovuto svolgersi alla cieca, ma il campione sindonico fu immediatamente individuato. Il risultato dell'esame venne comunicato al cardinale Ballestrero, Custode pontificio della Sindone, il 28 settembre di quell'anno. Egli lo rese pubblico il 13 ottobre successivo: secondo i tre laboratori «la Sindone risulta radiodatata a un periodo compreso fra il 1260 e il 1390 dopo Cristo» (Savarino, in Barberis e Savarino 1997, p. 14).
L'intensità della polemica che seguì questa notificazione è facilmente spiegabile per la posta in gioco, ma essa ha avuto anche come causa la segnalazione di taluni aspetti scorretti nello svolgimento della procedura. Non vogliamo qui enumerarli; certo il rifiuto ad accettare sia la presenza di rappresentanti scientifici della proprietà sia una contestualità più ampia di ricerche ha impedito una collaborazione che avrebbe potuto sfruttare la conoscenza che gli specialisti offrivano del telo, al fine di ottenere un intervento di disinquinamento dei campioni più mirato alla realtà sindonica. Contro l'attendibilità degli esami del 1988 vennero sollevati due generi di riserve, proposti il primo da A. Kouznetsov e il secondo da L.A. Garza Valdes. Lo studioso russo ha sottoposto un campione di tessuto, la cui sicura datazione risaliva all'epoca romana, a una simulazione di incendio in condizioni analoghe a quelle verificatesi a Chambéry nel 1532 (includendovi il contatto con l'acqua e la presenza di ioni d'argento), constatando un ringiovanimento radiocarbonico; lo studioso texano ha invece ipotizzato la presenza di microrganismi viventi del genere liconothelia, alteranti la radiodatazione. Nonostante i risultati di queste prove non siano sufficienti per capovolgere il referto radiocarbonico del 1988 (le verifiche sull'esperimento di Kouznetsov forniscono una retrodatazione ancora insufficiente, e quello di Garza Valdes è stato fatto su materiale non sicuramente sindonico), essi avvertono sulla possibilità che i tre laboratori del 1988 non abbiano potuto tenere conto di tutti i condizionamenti sperimentati dalla Sindone nel corso della sua storia. Pare oggi prudentemente fondato affermare «che la problematica connessa con la radiodatazione della sindone è aperta e che i risultati degli esami del 1988, pur rappresentandone un passo nella complessa vicenda scientifica e storica, non possono essere considerati assiomaticamente conclusivi» (Savarino, in Barberis e Zaccone 1998, p. 205).
Oltre alla prove dirette, anche “prove indirette” possono essere indicative dell'età della Sindone, in particolare quelle che inducono a escludere l'artificio o addirittura l'inganno circa la sua origine. Le conoscenze acquisite dalla scoperta della fotografia e, sulla fotografia, dall'analisi informatica che ha evidenziato la caratteristica della tridimensionalità, sono sfavorevoli all'attribuzione del reperto sindonico ad un artefatto medioevale, perché il prodotto supera di gran lunga tutte le possibilità progettuali dell'epoca. Una prova “negativa” può essere considerata la qualità stessa del tessuto, che veniva ritenuto troppo raffinato e complesso per un'ipotesi di origine palestinese all'epoca di Cristo. Attualmente è invece documentata sia la presenza di tessuti di lino sia la tecnica della tessitura “a lisca di pesce” nell'area egizio-siriana fin dai secoli precedenti l'era precristiana (cfr. Baima Bollone, 2000c, pp. 13-17).
2. La formazione dell'immagine sindonica. Non è a tutt'oggi ancora noto alcun procedimento che possa spiegare il modo con cui si è formata l'immagine sindonica. La ricerca fotografica e quella informatica hanno portato a escludere la presenza di segni di intervento pittorico. Esperimenti di ogni genere, effettuati secondo i particolari della narrazione evangelica (specialmente gli unguenti di cui parla Gv 19,39-40), «hanno sinora ottenuto impronte e immagini sperimentali anche suggestive, ma mai con la finezza della Sindone» (Baima Bollone, 2000b, p. 161; cfr. anche Milanesio, Siracusa e Zacà, 1997; Balossino e Siracusa, in Ghiberti e Casale, 1998). In questo momento si distinguono tre classi di spiegazioni, suffragate da sperimentazioni più o meno approfondite: formazione mediante contatto, mediante emanazione vaporigrafica oppure formazione dovuta ad energia radiante; gli autori e sperimentatori sono per lo più convinti che si tratta sempre, in massima parte, di spiegazioni parziali. L'insistenza maggiore si rileva oggi in una doppia direzione: nel suggerire che l'immagine fu ottenuta grazie al riscaldamento di una statua o calco in bronzo, sul quale fu adagiata la tela sindonica, o nel suggerire che fu prodotta da una irradiazione di luce (o di altre forme di energia) avvenuta al momento della resurrezione di Gesù. La prima si è dimostrata insostenibile, dal confronto dei teli ottenuti da (parziali) tentativi di sperimentazione con quello sindonico: nelle simulazioni l'immagine è visibile, al contrario di quanto avviene nella Sindone, sul retto e sul verso del telo e scompare nel giro di pochi mesi; il secondo suggerimento ha invece il limite della “non verificabilità” (la resurrezione è fatto irripetibile), tranne parzialmente per la proposta di Sebastiano Rodante (cfr. Scannerini e Savarino, 2000, pp. 167-168). Nessuno può dire, dal punto di vista scientifico, che cosa ci riservi il futuro: per il momento l'unico atteggiamento oggettivo è quello del nescimus , non sappiamo.
Occorrerà a questo punto fissare almeno alcuni risultati parziali. La corrispondenza constatata tra racconti evangelici e “racconto” sindonico permette di ipotizzare che vi sia stata una relazione tra la vicenda della passione di Gesù e la formazione dell'immagine sindonica. Presa in considerazione questa ipotesi, resta però la possibilità, già accennata, di un individuo che sia stato trattato alla stessa maniera di Gesù e poi avvolto nel telo che è giunto a noi. Ma questa ipotesi, non impossibile, non è suffragata da alcun argomento e, vista da vicino, è anche altamente improbabile. Restando invece nell'ipotesi che si tratti del telo funebre della sepoltura di Gesù, senza per questo sposare nessuna delle teorie di formazione dell'immagine a cui abbiamo accennato (tutte insufficienti), è giocoforza ammettere un “contatto”, cioè una relazione assai stretta, del cadavere con il lenzuolo. Su quest'ultimo si verificano impronte diverse: la presenza del sangue deve avere preceduto la formazione dell'immagine corporea e ha influito sul tessuto più in profondità rispetto alle cause che hanno prodotto l'immagine diffusa: il sangue è visibile nel retro, l'immagine no. Non possiamo dire se l'intensità dell'immagine sia variata nel tempo: se all'inizio sia stata subito sufficiente per essere vista, se col tempo essa sia diminuita; è certamente diminuita l'intensità del contrasto con lo sfondo, e quindi è cresciuta la difficoltà di vederla nei suoi connotati.
VI. Valutazione critica delle nostre conoscenze sulla Sindone
Il cammino compiuto fin qui impone conclusioni assai ponderate. Partiti dalla constatazione della corrispondenza fra il racconto neotestamentario della passione e morte di Gesù e il dato sindonico, abbiamo fatto una prima verifica sulla compatibilità del racconto della sepoltura di Gesù e l'immagine sindonica, concludendo per un giudizio di “non incompatibilità”. Concentrando l'attenzione sulla possibilità che il reperto sindonico (lenzuolo e immagine) sia il panno (o uno dei panni) usato per la sepoltura di Gesù (fatto a cui si dà il nome, convenzionalmente, di «autenticità»), siamo andati alla ricerca di indizi capaci di confermare, nell'ambito delle scienze storiche e fisico-sperimentali, l'autenticità sindonica, oppure di contraddirla. È stato possibile giungere alla sicurezza che l'origine dell'immagine non è da attribuire a un intervento pittorico. La scoperta dell'effetto negativo-positivo fotografico e della proprietà tridimensionale dell'immagine sindonica porta ad escludere ogni intervento di finzione programmata, dato che fino a un'epoca assai recente la conoscenza di quegli effetti non apparteneva alla consapevolezza né dell'uomo comune né dello scienziato. Lo stesso si dica per tutti i possibili interventi artificiali che sono stati sperimentati fino al momento presente, e che si sono dimostrati incapaci di supportare un'ipotesi di intervento programmatico per produrre un risultato quale noi lo possediamo.
Le varie branche della sindonologia, fatta eccezione dell'analisi del C14, convergono nel dimostrare che la Sindone è un unicum che trova una certa spiegazione quando si ipotizza la sua origine a partire dall'impiego per la sepoltura di Gesù e che perde possibilità di spiegazione sufficiente quando ci si allontana da tale ipotesi. Nessuna delle ricerche conclude con un giudizio di certezza storica o sperimentale sull'origine “gesuana” della Sindone, ma la loro convergenza è altamente significativa. Certamente un argomento di natura matematica è in grado da solo di mettere in crisi questo sistema; e i risultati dell'analisi del carbonio sono di natura matematica. Ciò vale, però, quando sarà stata raggiunta la certezza che l'applicazione di tale metodo di ricerca avvenga sulla base di una totale conoscenza dei condizionamenti che ogni singolo caso o reperto deve affrontare; ma questa certezza è ben lungi dall'essere al momento ottenuta, come dimostrano molti casi di divergenza fra le datazioni indicate dagli archeologi o dai botanici (per esempio a partire dagli anelli di un tronco d'albero) e quelle indicate dai radiocarbonisti. È dunque lecito continuare la ricerca su tutte le piste già aperte.
Nella difficoltà di valutare questa messe di dati, può offrirci una funzione orientativa il metodo del calcolo delle probabilità (cfr. Barberis, in Barberis e Savarino, 1997 e in Barberis e Zaccone 1998; cfr. anche Fanti e Marinelli, 1999), che si propone di «valutare quantitativamente, e non solo qualitativamente, quanto è attendibile una teoria, una serie di congetture, l'accadere di un dato evento, ecc.» (Barberis, 1997, p. 30). Il metodo ha un'innegabile suggestività, ma deve essere applicato con circospezione e grande correttezza scientifica: l'attribuzione del grado di probabilità a un'affermazione o a un'osservazione dipende dall'esattezza delle relative conoscenze archeologiche e storiche, che deve basarsi su una precisione di informazione da noi invece posseduta sovente solo in via approssimativa. Per questo motivo è possibile che i calcoli varino in modo rilevante a seconda degli operatori. Una formulazione, ad esempio, come «la Sindone di Torino è autentica, perché ha le caratteristiche di un telo funerario ebraico del I secolo d.C.» può essere rifiutata da ogni valutazione, quando si riconosca che dei teli funerari ebraici del I secolo non sappiamo nulla, semplicemente perché manca la documentazione corrispondente. Molto relativa è anche l'attendibilità del quoziente di probabilità riconosciuto alle singole affermazioni: se, ad esempio, le escoriazioni presenti su spalla e scapola dell'uomo della Sindone non fossero state causate dal patibulum trasportato dal condannato prima di giungere al luogo del supplizio, bensì fossero costituite solo da “lividure cadaveriche”, la probabilità che tale segno rimandi alla crocifissione diminuirebbe notevolmente.
Fatte queste riserve a un metodo, quello probabilistico, che può essere stato visto con eccessivo entusiasmo, resta però innegabile una sua forza suggestiva. L'incontro di molte probabilità, di vario quoziente, fa diminuire il grado di inverosimiglianza dell'affermazione della provenienza diretta della Sindone dalla vicenda della morte e sepoltura di Gesù di Nazaret. Barberis, muovendosi direttamente nella linea di Y. Delage, P. de Gail e T. Zeuli, conclude i suoi calcoli affermando che «su 200 miliardi di eventuali crocifissi ve ne può essere stato uno solo che abbia posseduto le sette caratteristiche dell'uomo della Sindone» (Barberis, in Barberis e Zaccone, 1998, p. 275) e in Gesù di Nazaret questo si è proprio verificato. Fanti e Marinelli (1999), con un calcolo più complesso (ma in numerosi punti non esente da critica), affermano che «data la pratica impossibilità che siano verificate le alternative N [né A né F] e F [falsa], ne consegue che l'unica alternativa possibile è la A [autentica] che afferma la piena autenticità della ST [Sindone di Torino]» (p. 183) e che «la Sindone è autentica al 100% con un'incertezza assolutamente trascurabile» (rivendicando quindi per essa la qualifica di «reliquia in senso stretto»: p. 188).
Riteniamo impossibile condividere le ultime conclusioni, perché esse non danno abbastanza ragione dei limiti prudenziali suggeriti dal responso dell'analisi del C14, che fino ad oggi è stato relativizzato ma non cancellato, e neppure delle incertezze che permangono nell'ambito della ricostruzione storica; ma l'argomento non è privo di forza. Ciononostante, esso non permette di dare alla probabilità dell'autenticità della Sindone il grado di certezza, nemmeno intendendo tale certezza in senso “morale”. La somma di un grande numero di probabilità aumenta forse il grado di probabilità globale, ma non produce certezza; ciò vale soprattutto quando l'argomento è discutibile (a volte molto discutibile, come nel caso di supposte scritte sul telo o per le monete sugli occhi) o quando la ricerca che lo supporta non è ancora giunta a conclusione (come nel caso dei pollini e soprattutto delle monete).
VII. La Sindone fra scienza e fede: reliquia, icona, messaggio
Il cammino che abbiamo riassunto ci permette di dire che non è impossibile che la Sindone sia del primo secolo dell'era cristiana e che abbia avvolto il cadavere di Gesù deposto dalla croce; ci pare che sia anche ragionevole riconoscere a queste affermazioni il grado di una seria probabilità. Andare oltre, fino al grado di certezza, allo stato attuale delle conoscenze, sembra a nostro avviso ingiustificato. Possiamo anche aggiungere che sarebbe ingiustificato affermare che la Sindone è sicuramente di epoca tardomedievale o moderna e meno ancora che si tratta di un falso intenzionale: ci sono ragioni in favore dell'età tardomedievale, ma non sono definitive. Non è neppure giustificato affermare con assoluta certezza che la Sindone è di epoca romana ed è stata in contatto con il corpo di Gesù crocifisso: le ragioni in questo senso non chiudono ancora il problema in modo risolutivo.
Sorge a questo punto la domanda se le precedenti conclusioni recano con sé conseguenze per la fede cristiana nel Figlio di Dio crocifisso e risorto. La realtà sindonica pare orientarci verso due cose: a riconoscere l'oscurità nella quale si dibatte la conoscenza (solo attuale?, o così sarà per sempre?); a valorizzare al tempo stesso tutti gli aspetti di questo “mistero”: immagine indubitabile della passione e morte di Gesù, lenzuolo che potrebbe averne avvolto il cadavere, ecc. Il credente può essere portato a pensare che, almeno per il momento, Dio abbia disposto che alle questioni fondamentali suscitate dalla Sindone — che sono oggetto adeguato della ricerca scientifica, ma anche orientano a “sospettare” l'esistenza di una dimensione superiore ad essa — non sia possibile dare una risposta univocamente risolutiva.
1. Origine del rapporto religioso. Riconosciuto il dato di fatto, senza minimismi e senza maggiorazioni, si può passare alle sue conseguenze. La storia passata e presente ha sempre registrato un interesse di fede, da parte dei credenti, verso la Sindone. Per qualificare questa relazione di fede, occorre prendere l'avvio da quanto di più tipico è presente nella Sindone: l'immagine e l'eccezionale corrispondenza fra la vicenda che essa attesta e la vicenda narrata dai vangeli circa la passione di Gesù. Di tale vicenda la Sindone dà una testimonianza particolarmente suggestiva, esprimendo con linguaggio visivo ciò che il racconto evangelico esprime, molto più succintamente, con linguaggio letterario. Ne consegue che, per chi ha qualche conoscenza della vicenda di Gesù, la visione della Sindone diventa rimando spontaneo ai vangeli e la Sindone stessa diventa testimone, eco silenziosa eppure eloquente, della voce del Vangelo.
Tutto ciò accade ancor prima che siano poste domande sui “perché” della Sindone e siano cercate risposte mediante indagini scientifiche. Il rapporto dell'uomo con la Sindone è, nella sua fase spontanea, di natura pre-scientifica. Si può anzi dire che, quando inizia il dialogo con la scienza, è già sorta la tendenza a postulare — a causa dell'eccezionalità della corrispondenza fra i due racconti — un rapporto diretto tra la vicenda di Gesù e l'origine della Sindone. La scienza è chiamata in causa per la verifica di questo “sospetto” e per la risposta a ogni altra domanda sul telo e la sua conservazione, e sull'origine dell'immagine. Ma il rapporto di fede è già iniziato, legittimamente. Ed esso spiega e giustifica le corrispondenti iniziative pastorali intraprese dalla Chiesa aventi per oggetto questo lino.
Le caratteristiche del rapporto di fede si pongono su un vasto registro. Anzitutto la venerazione per lo strumento che rimanda, nella sua natura di segno, alla persona che è oggetto diretto di fede e amore, e cioè a Cristo. È evidente che il segno in sé non è destinatario di alcuna adesione di fede, ma è innegabile che esso si pone nell'economia della fede, svolgendovi una funzione ausiliaria. Neppure esso è, di per sé, destinatario di amore, anche se un riflesso di affettuosa venerazione si riversa pure secondariamente su ciò che contribuisce a rendere più vicino l'oggetto proprio dell'amore. Il segno non è convenzionale ma naturale, come immagine che riporta una rappresentazione diretta dell'evento, rappresentazione inoltre particolarmente viva. Nel periodo di storia a noi noto non consta che si sia sviluppata una riflessione sulla funzione dell'immagine sindonica paragonabile alla teologia orientale dell'icona, dato il realismo che ha caratterizzato la sensibilità della cultura occidentale, prevalendo su una riflessione che valorizzasse l'elemento simbolico. Ciononostante la teologia dell'icona non è affatto estranea da questo contesto, anche se in un modo tutto suo proprio (si vedano le opere di Schönborn, 1988, e di Mondzain, 1996, che concludono ambedue con un riferimento, di segno opposto, sulla Sindone).
Stante la certezza — che sembra del tutto consolidata — che nella realtà sindonica è da escludere ogni intervento pittorico, l'uso della categoria «icona» assume aspetti eccezionali. Ma non viene per questo cancellato, perché se la téchne è altra, non è assente l'aspetto fondamentale della sua funzionalità: è solo evidente che ad esso deve essere riconosciuta una ricchezza probabilmente superiore. Icona di fattura sconosciuta, che implementa la ricchezza del suo mistero, affondandolo nella profondità del silenzio di Dio.
2. La dinamica del rapporto. La problematica riguardante la Sindone tocca molteplici campi del sapere e del credere. Poiché essa è immagine, e molti la chiamano anche reliquia, ci si imbatte immediatamente nel contenzioso del rapporto delle immagini e delle reliquie con la fede. Ma non è questo l'aspetto tipico della problematica sindonica: infatti, chi rifiuta la relazione immagine-reliquia all'interno del cammino della fede, ricorre anche sempre al discorso scientifico per dimostrare che, comunque, la qualifica di vera reliquia non sarebbe corretta (già Calvino, ad esempio, ricorreva all'esegesi e alla storia per sostenere che si trattava di un inganno; una corrente di evangelici contemporanei ricorre ad argomenti scientifici per proporre la stessa interpretazione: cfr. Papini, 1982 e 1998), a significare che l'eventuale ammissione di “autenticità” della Sindone creerebbe comunque un certo disagio.
Vi è poi una fascia di problemi che potremmo raggruppare sotto il nome di “questione sindonica” e che toccano il preteso diritto di condizionamento che viene riconosciuto alla scienza nei confronti del rapporto di fede del credente verso la Sindone. Se è esatto dire che il rapporto religioso con la Sindone nasce in fase pre-scientifica (senza diventare né antiscientifico, né ascientifico, perché è anzi da esso che nasce facilmente l'interesse per tutta la problematica scientifica), ne consegue che il cammino della ricerca scientifica non può condizionarlo. È importante mantenere questa visione, perché essa rende possibile, anche a chi è convinto che la scienza abbia obiezioni insuperabili contro l'autenticità del reperto, di accogliere tutto il messaggio di vita che proviene dall'immagine sindonica.
È vero però che la possibilità di dire che quel lenzuolo ha avvolto veramente il corpo esanime di Gesù ha una grande forza di coinvolgimento, ma essa non aggiunge nulla alla intelligenza di fede. Il “cuore” conta, certamente, nel momento in cui si assumono decisioni: dà slancio, muove a generosità; anche se il motivo fondamentale per credere e agire è dato da ciò che Gesù ha fatto e detto, e questo è attestato comunque in modo insuperabile dall'immagine sindonica. Nel margine di incertezza che ci lascia lo studio sulla Sindone è possibile addirittura vedere una funzione educativa: dando questo aiuto alla fede, senza liberarlo totalmente dalle incertezze scientifiche, il Dio che ha resuscitato suo Figlio parrebbe voler invitare a concentrarci sull'essenziale del messaggio. La debolezza dello strumento non lo fa amare di meno, anzi lo concilia con la nostra debolezza: il poco che sappiamo invita ad amare di più. Non è estraneo allo stile di Gesù servirsi delle cose deboli.
3. Il messaggio. La Sindone è una realtà in certo modo debole e umile, e deve essere accettata così; ma è anche un segno estremamente espressivo, efficace, impegnativo. È tanto “umile”, che non ci è concesso ancora dire l'ultima parola sul suo luogo di provenienza, sull'epoca in cui è nata, sul processo con cui si è formata l'immagine di cui è depositaria; essa deve essere accettata nella sua realtà, senza forzarla verso gradi di certezza che possiamo desiderare, ma in questo momento non abbiamo. La Sindone è “debole”, perché non ha l'efficacia sacramentale della Eucaristia, ma è solo un rimando a quel «corpo dato per voi», a quel «sangue sparso per voi». Ancor meno, la Sindone è mezzo necessario per giungere alla salvezza: per molti non è importante, per moltissimi non fu e non è conosciuto, e ciò non ha diminuito nei credenti la loro consapevolezza ed il loro impegno nel rispondere all'invito di Cristo a seguirlo. Per molti non cristiani o cristiani di altre confessioni non cattoliche, la Sindone non è accettata nemmeno come compagnia lecita in un cammino verso Dio. È dunque un ben povero segno e, quando la si concettualizza, diventa anche cosa assai complicata. È difficile rispettare la povertà della Sindone, segno dell'attesa, segno del silenzio del sepolcro.
Però la Sindone c'è, e dice le stesse cose che dice il vangelo sulla morte e sepoltura di Gesù, anzi diventa segno proprio e solo attraverso il vangelo. Le dice in un modo come nessun altro le dice, e le dice oggi, nella cosiddetta “civiltà dell'immagine”. Si direbbe che questo segno abbia atteso il nostro tempo per manifestarsi a un gran numero di persone, per diventare sempre di più, cassa di risonanza di quel messaggio. Poiché dice cose d'evangelo, è doveroso fare il possibile affinché siano udite anche da altri. Quest'immagine è richiamo significativo al passaggio più trascurato del “credo” paolino: «e fu sepolto» (1Cor 15,4), che occorre ricuperare anche nel nostro tempo.
La conclusione è suggerita dall'insegnamento di Giovanni Paolo II, dalla riflessione che egli stesso ha proposto in occasione del suo pellegrinaggio alla Sindone il 24 maggio 1998 (cfr. La Sindone: icona della sofferenza innocente di tutti i tempi , Insegnamenti, XXI,1 (1998), pp. 1036-1040; testo completo anche in Ghiberti, 1999, pp. 271-275). «La Sindone è provocazione all'intelligenza. Il fascino misterioso esercitato dalla Sindone spinge a formulare domande sul rapporto tra il sacro Lino e la vicenda storica di Gesù. Non trattandosi di una materia di fede, la Chiesa non ha competenza specifica per pronunciarsi su tali questioni. Essa affida agli scienziati il compito di continuare ad indagare per giungere a trovare risposte adeguate agli interrogativi connessi con questo Lenzuolo che, secondo la tradizione, avrebbe avvolto il corpo del nostro Redentore quando fu deposto dalla croce. La Chiesa esorta ad affrontare lo studio della Sindone senza posizioni precostituite, che diano per scontati risultati che tali non sono; li invita ad agire con libertà interiore e premuroso rispetto sia della metodologia scientifica sia della sensibilità dei credenti».
Stabilito ciò, Giovanni Paolo II prosegue enunciando i temi di evangelizzazione che provengono dalla contemplazione di quest'immagine benedetta. «La Sindone è specchio del Vangelo […] e invita a modellare la propria esistenza su quella di Colui che ha dato se stesso per noi». « Nella Sindone si riflette l'immagine della sofferenza umana . Essa […] non solo ci spinge ad uscire dal nostro egoismo, ma ci porta a scoprire il mistero del dolore che, santificato dal sacrificio di Cristo, genera salvezza per l'intera umanità». « La Sindone è immagine dell'amore di Dio, oltre che del peccato dell'uomo […]. Facendo eco alla parola di Dio ed ai secoli di consapevolezza cristiana, la Sindone sussurra: credi nell'amore di Dio, il più grande tesoro donato all'umanità, e fuggi il peccato, la più grande disgrazia della storia». « La Sindone è immagine di impotenza […]. È l'esperienza del Sabato Santo, passaggio importante del cammino di Gesù verso la Gloria, da cui si sprigiona un raggio di luce che investe il dolore e la morte di ogni uomo». « La Sindone è immagine del silenzio , […] non solo il silenzio della morte, ma anche il silenzio coraggioso e fecondo del superamento dell'effimero, grazie all'immersione totale nell'eterno presente di Dio».
Accostarsi alla Sindone, prosegue il Papa, è «un “venire a vedere” questo segno tragico ed illuminante della Passione, che annuncia l'amore del Redentore. Questa icona del Cristo abbandonato nella condizione drammatica e solenne della morte […] esorta ad andare al cuore del mistero della vita e della morte per scoprire il messaggio grande e consolante che ci è in essa consegnato. La Sindone ci presenta Gesù al momento della sua massima impotenza, e ci ricorda che nell'annullamento di quella morte sta la salvezza del mondo intero. La Sindone diventa così un invito a vivere ogni esperienza, compresa quella della sofferenza e della suprema impotenza, nell'atteggiamento di chi crede che l'amore misericordioso di Dio vince ogni povertà, ogni condizionamento, ogni tentazione di disperazione».
Documenti della Chiesa Cattolica correlati:
Giovanni Paolo II, La Sindone: icona della sofferenza innocente di tutti i tempi, Torino 24.5.1998, Insegnamenti XXI,1 (1998), pp. 1036-1040.
Presentiamo una selezione di alcune monografie significative sulla Sindone di Torino, dalla quale abbiamo intenzionalmente escluso gli innumerevoli articoli. Il lettore interessato potrà trovare repertori bibliografici in Dervieux (1929 e 19362 ) e Fossati (1978). E. DERVIEUX , Bibliografia della SS. Sindone di N.S.G.C. venerata in Torino , Tipografia M. Ghirardi, Chieri 1929; P. BARBET , La passione di N. S. Gesù Cristo secondo il chirurgo , L.I.C.E.-Berruti, Torino 1954; C. LAVERGNE , La preuve de la résurrection de Jésus d'après Jean 20,7; Le sudarium et la position des linges après la résurrection; Le corps glorieux et la preuve que Jésus est ressuscité , Centro Internazionale di Sindonologia [cont. estratti pubbl. in “Sindon”], Torino 1961; Osservazioni alle perizie ufficiali sulla Santa Sindone 1969-1976 , Centro Internazionale di Sindonologia, Torino 1977; L. FOSSATI , Breve saggio critico di bibliografia e di informazione sulla Sacra Si done. Dal primo Congresso Nazionale di Studi (1939) al secondo Congresso Internazionale (1978) , Bottega d'Erasmo, Torino 1978; P.A. GRAMAGLIA , L'uomo della Sindone non è Gesù Cristo. Un'ipotesi storica fondata su documenti finora trascurati , Claudiana, Torino 1978; P. VIGNON , Le Saint Suaire de Turin devant la Science , l'Archéologie, l'Histoire, l'Iconographie, la Logique , Bottega d'Erasmo, Torino 1978; I. WILSON , The Turin Shroud , Doubleday, Garden City (NY) 1978; G. GHIBERTI , La sepoltura di Gesù. I vangeli e la Sindone , Marietti, Roma 1982; C. PAPINI, La Sindone , un mistero che si svela. Il “verdetto” americano non conferma l'autenticità , Claudiana, Torino 1982; G. ZANINOTTO , La tecnica della crocifissione romana , Centro Romano di Sindonologia, Roma 1984; A.-M. DUBARLE , Historie ancienne du Linceul de Turin jusqu'au XIII siècle , O.E.I.L., Paris 1985; P. COERO-BORGA, G. INTRIGILLO (a cura di), La Sindone. Nuovi studi e ricerche , Paoline, Cinisello Balsamo 1986; S. 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PALEOTTO , Esplicatione del Sacro Lenzuolo dove fu involto il Signore , Presso gli Heredi di Cis Rossi 1599, ripr. anast., unita al fascicolo introduttorio La Sindone nel secolo XVI. Prima pubblicazione in lingua italiana della reliquia custodita a Torino , a cura di G.M. Onini, Tipolitografia F.lli Scaravaglio, Torino 2000. Tra i siti internet scientificamente più qualificati segnaliamo: http://www.sindone.org, sito della Diocesi di Torino; http://www.sindone.it, sito del Centro Internazionale di Sindonologia di Torino; http://www.shroud.com, sito che presenta collegamenti con gli organismi sindonologici di tutto il mondo.