I. Che cos'è la demografia: definizione ed origini storiche - II. Il metodo della demografia nel panorama delle scienze sociali - III. La dimensione temporale nella demografia - IV. Le principali correnti del pensiero demografico.
Il modo più facile per capire la demografia come scienza della popolazione è quello di effettuare un passo indietro nel tempo, considerando innanzitutto i secoli XVIII e XIX, per risalire fino all'inizio dell'era cristiana, ai secoli che precedettero la storia della civilizzazione. Solo dopo questa analisi, che comprende un periodo piuttosto vasto, sarà possibile precisare il metodo utilizzato dalla demografia, prima di parlare delle particolari relazioni che questa disciplina scientifica ha con il tempo. Infine, sarà conveniente chiarire le principali correnti del pensiero demografico, mostrando soprattutto che non poche affermazioni sull'aumento di popolazione sono state troppo spesso ispirate da ideologie piuttosto che da una seria analisi delle questioni demografiche (cfr. Dumont, 1997).
I. Che cos'è la demografia: definizione ed origini storiche
1. Una scienza dalle origini molto antiche. Nell'anno 1855, il francese Achille Guillard pubblica un'opera intitolata Elementi di statistica comparata, con il sottotitolo: Demografia comparata. A partire dalla comparsa di questo libro, il termine «demografia» viene utilizzato per indicare una disciplina scientifica che era precedentemente chiamata «aritmetica politica». Paradossalmente, il libro di Achille Guillard non presenta grandi qualità scientifiche. Già più di un secolo prima un ricercatore aveva realizzato il primo studio scientifico sulla demografia, la cui data può essere stabilita con certezza, in cui la natalità è uno dei precisi campi di ricerca: è il 25 gennaio 1662, quando vengono stampate da un editore londinese, le Osservazioni naturali e politiche classificate secondo l'indice che segue sui bollettini della mortalità . Questo libro, firmato da John Graunt, con la semplice aggiunta «cittadino di Londra», mostrava in copertina il seguente sottotitolo: «In rapporto al governo, la religione, il commercio, la crescita, l'atmosfera, le malattie ed i diversi cambiamenti della suddetta città».
La lettura completa di questa copertina dà già, in modo implicito, la definizione di demografia secondo John Graunt, poiché si tratta, esaminando il tasso di mortalità, di valutare le relazioni dei suddetti fattori con la realtà e le evoluzioni politiche, economiche, geografiche. Il libro, che ebbe comunque un grande successo editoriale, trattava solo uno dei campi della demografia: la mortalità. Con ciò non si volevano certo ignorare altri aspetti, ma occorre ricordare che siamo nel 1662: la mortalità, sin dall'inizio della storia dell'umanità e fino al XIX secolo, sarà la realtà che dominerà i ritmi dei regimi demografici; la morte resta, dunque, l'avvenimento chiave e l'interrogativo primordiale nella vita delle popolazioni.
Le fonti della demografia sono anteriori al primo lavoro scientifico che trattava di questa disciplina: la storia insegna che numerose civiltà, in diversi continenti, sono ricorse ai censimenti. In Cina, la dinastia Ming (1368-1644) stabilisce il principio del censimento decennale. Circa nello stesso periodo, in America, la civiltà Inca organizza nei secoli XIV e XV dei censimenti molto dettagliati. Più di mille anni prima, l'era cristiana era cominciata con un censimento, il più celebre dell'umanità, effettuato per ordine di Cesare Augusto nell'impero romano. Il vangelo secondo s. Luca precisa: «In quei giorni un decreto di Cesare Augusto ordinò che si facesse il censimento di tutta la terra. Questo primo censimento fu fatto quando era governatore della Siria, Quirino. Andavano tutti a farsi registrare, ciascuno nella sua città. Anche Giuseppe, che era della casa e della famiglia di Davide, dalla città di Nazaret e dalla Galilea salì in Giudea alla città di Davide, chiamata Betlemme, per farsi registrare insieme con Maria sua sposa, che era incinta» (Lc 2,1-5).
Prima dell'era cristiana, l'idea di effettuare un conteggio della popolazione è già presente. Nell'AT, il Secondo libro di Samuele spiega come Dio si interessi al numero degli eletti: durante il regno di David, «la collera del Signore si accese di nuovo contro Israele e incitò Davide contro il popolo in questo modo: "Su, fa' il censimento di Israele e di Giuda"» (2Sam 24,1). Dopo nove mesi e venti giorni di inchiesta, da Tiro a Sidone, che si trovavano in terra cananea, fino a Béer-Shéba, Joab, capo dell'esercito, tornò per rendere conto: «c'erano in Israele ottocentomila guerrieri che maneggiavano la spada; in Giuda cinquecentomila» (2Sam 24,9). Nell'AT troviamo esposto al capitolo 26 del Libro dei Numeri, che Mosè ricevette da Dio, un anno ed un mese dopo la fuga dall'Egitto, l'ordine di contare ogni famiglia della comunità dei figli d'Israele. Questo interesse per la numerazione, presente nell'AT, è conforme alle pratiche di tutte le grandi civiltà, come accadeva ad Atene al tempo di Pericle, o precedentemente presso gli Assiri o i Sumeri.
La pratica di compiere osservazioni demograficamente utili è, dunque, molto più antica della scienza stessa. La demografia contemporanea beneficia dell'eredità di numerose tecniche di censimento, anche se i loro risultati sono poi scomparsi con la decadenza di quelle civiltà. Di fatto la pratica romana del censimento non sarà più praticata con regolarità sulle terre europee fino al XIX secolo.
2. Alcune definizioni concorrenti . Se teniamo conto di questa lunga storia, come conviene definire la demografia? La questione ricorrente consiste nel domandarsi se bisogna limitare questa scienza ad aspetti puramente quantitativi o considerare che la sua vera vocazione sia cercare di combinare alcune indispensabili conoscenze di tipo numerico con aspetti di tipo qualitativo.
Storicamente, la prima definizione di questa scienza, non ancora chiamata con il nome di demografia, appare nell' Enciclopedia (1751-1772) di Diderot e di d'Alembert: «L'aritmetica politica è una disciplina le cui osservazioni hanno come fine delle ricerche utili all'arte di governare i popoli, come quelle del numero di uomini che abitano in un paese; la quantità di cibo che devono consumare; il lavoro che possono fare; la fertilità della terra; la frequenza di inondazioni, ecc.».
Questa definizione include due nozioni-chiave, il «numero di uomini che abitano un paese» e «il tempo che hanno da vivere», cioè la loro vita effettiva e la loro speranza di vita, due nozioni legate alle condizioni di vita (alimentazione, lavoro, risorse, incidenti, rischi naturali, ecc.). Il termine «aritmetica» sottolinea gli aspetti numerici della disciplina, mentre il termine «politico» sottolinea che i dati aritmetici devono essere chiariti dalla politica e devono servire di riflessione per la sua azione.
Recentemente diverse definizioni hanno privilegiato l'aspetto quantitativo. Il Trésor de la langue française (1978) usa l'aggettivo «statistico» per definire la demografia come: «una scienza che ha come oggetto lo studio statistico della collettività umana nella sua struttura fondamentale, sociale, intellettuale, ecc.». Il Petit Robert, dizionario alfabetico della lingua francese, dà la seguente definizione della demografia: «studio statistico della collettività umana». Al contrario le definizioni elaborate dai demografi non danno esclusivamente ragione degli aspetti statistici. Infatti il Dictionnaire de Démographie (Pressat, 1979) non include l'aggettivo «statistico» nella propria definizione di demografia, lì indicata come lo «studio delle popolazioni umane». Allo stesso modo il Thesaurus multilingue de population propone una definizione di demografia alquanto ampia: «scienza avente per oggetto lo studio delle popolazioni sotto ogni aspetto in rapporto alle loro dimensioni, struttura ed evoluzione» (Population Information Network , New-York-Paris 1984, p. 44).
Queste ultime definizioni superano l'idea secondo la quale la demografia produrrebbe dei dati considerati difficilmente accessibili, poiché questi consisterebbero esclusivamente in una valanga di cifre più indigeste che mai. Ora, limitare la demografia ad un'analisi strettamente quantitativa vuol dire cadere, secondo Pierre George, in una «logomachia del numero». In questo caso la demografia sarebbe, come diceva Alfred Sauvy (1959) nella sua lezione magistrale al Collegio di Francia, «una semplice branca della matematica, la teoria degli insiemi rinnovata». Ciò la ridurrebbe ad un mero «conteggio di uomini» (cfr. Sauvy, 1976).
È facile accontentarsi di esaminare gli uomini come si studierebbero i libri che compongono una biblioteca o i fiori di un giardino, cioè nel loro complesso e non singolarmente. Ma l' homo demographicus esiste come l' homo oconomicus, cioè come un oggetto inventato da alcuni economisti per poter costruire delle teorie che permettano di escludere i capricci, gli sbalzi di umore, i cambiamenti di comportamento dell'uomo reale. Quando si esamina una popolazione nel suo insieme, i suoi comportamenti rispondono ad una logica, soprattutto culturale, che, spesso, supera la consapevolezza che ciascuno ha di vivere secondo questa logica. La demografia non può analizzare cause e conseguenze senza tener conto della realtà politica, economica, sociologica, storica, geografica. Ben inteso: non c'è demografia senza cifre, poiché queste stanno alla base, in quanto strumento di misura dei dati, di ogni sua analisi. Il dato numerico è un mezzo necessario per la conoscenza demografica, ma non rappresenta un fine in se stesso.
II. Il metodo della demografia nel panorama delle scienze sociali
Lo studio delle sue definizioni conduce alla conclusione che la demografia fa parte delle scienze sociali, poiché questa disciplina ha come oggetto alcuni aspetti della società umana. In questa accezione, la demografia usa un metodo che può essere diviso in sei punti.
1. L'osservazione degli avvenimenti demografici di base. Il primo consiste nell'osservare le realtà e le evoluzioni della popolazione. Si tratta di tener conto degli avvenimenti demografici di base: nascite, matrimoni, decessi, migrazioni. Questo esercizio ha bisogno di disporre di stati civili, di censimenti e, nei paesi meglio organizzati, di registri di popolazione che espongano il continuo aggiornamento del popolamento del territorio. Va infatti registrato che in molti paesi, anche in quelli più sviluppati, gli strumenti di registrazione di avvenimenti demografici basilari sono talvolta insufficienti o deficienti. Queste difficoltà possono derivare da vari fattori. Ad esempio, i metodi di censimento usati dagli Stati Uniti sono oggetto di critiche periodiche, mentre la Francia non può disporre di un organo amministrativo permanente che possa misurare i movimenti migratori. La demografia ricorre, di conseguenza, a metodi indiretti per valutare i flussi migratori, ma riesce ad avere solo una stima, piuttosto che una misura, dell'intensità dell'immigrazione e dell'emigrazione. Può ricorrere anche all'uso di fonti demografiche meno dirette, come sono ad esempio gli schedari degli enti di assistenza sociale o degli allievi di una scuola.
Nella maggior parte dei paesi in via di sviluppo, la conoscenza degli avvenimenti demografici non è che parziale: censimenti assai vecchi o poco affidabili, stato civile incompleto, ecc. La popolazione reale e le cifre delle evoluzioni demografiche risultano allora da calcoli che dipendono da stime o estrapolazioni. Il Population Reference Bureau , nel suo rapporto sulla popolazione mondiale (World population data sheet) pubblicato ogni anno, codifica i paesi a seconda della qualità dei loro dati demografici. Questa indicazione va da «A» per i paesi aventi delle «statistiche complete ed un censimento nazionale effettuato nel corso degli ultimi dieci anni» (o un registro permanente) a «D» per i paesi per i quali ci sono «poche o nessuna informazione disponibile, e quindi le stime si basano su dati frammentari o su modelli demografici». L'osservazione del reale è spesso difficile anche per via della falsità delle informazioni ufficiali che talvolta vengono fornite.
A queste difficoltà si aggiungono i ritardi nello spoglio degli stati civili, dei censimenti e delle indagini; la Francia, ad esempio, dispone delle cifre di nascita per regione e dipartimenti solo tre o quattro anni dopo la loro registrazione nello stato civile. Quando i risultati di un dato censimento appaiono diversi anni dopo il suo svolgimento, le informazioni offerte, presentate come nuove, hanno in effetti, un valore storico rispetto ad una realtà che forse è già cambiata. Globalmente, la conoscenza degli eventi demografici incontra difficoltà paragonabili a quelle della realtà economica. Eppure, molto spesso, si constata un ritardo minore nella pubblicazione di dati di carattere economico, come le cifre che si riferiscono all'impiego o alla produzione rispetto al ritardo con cui vengono rese note le cifre sulla natalità, sulla mortalità e sulla migrazione.
2. La scomposizione delle osservazioni basilari. La seconda tappa del metodo demografico consiste nello scomporre la realtà osservata. I quattro avvenimenti demografici basilari, cioè le nascite, i matrimoni, i decessi e le migrazioni, ci dicono solo qualcosa di globale e restano insufficienti ai fini di una approfondita conoscenza delle evoluzioni demografiche, delle loro cause e delle loro conseguenze. Bisogna, quindi, scomporre tali osservazioni per beneficiare di un approccio che permetta una migliore comprensione della realtà. Per quanto riguarda la natalità, conoscere il domicilio della madre è importante poiché molte di esse partoriscono nei reparti di maternità dei grandi agglomerati urbani, che sono poi i luoghi in cui viene registrata la nascita, lontano dal proprio domicilio. Altre questioni sulla natalità, quali sono ad esempio il sesso del bambino, oppure l'età della madre, permettono di calcolare il tasso di fecondità in linea generale o in rapporto all'età, alla nazionalità, al ceto di appartenenza del nuovo nato. È anche utile distinguere le nascite all'interno del matrimonio da quelle al di fuori di esso. Lo studio della mortalità deve poi tener conto di altri parametri discriminanti, come la possibile differenza tra il luogo del decesso e il domicilio del defunto, il sesso della persona, l'età e la nazionalità del decesso, nonché le cause del decesso stesso.
Quanto al matrimonio, la scomposizione dei dati è necessaria per studiarne le diverse caratteristiche: l'età degli sposi, le loro origini geografiche, le loro categorie socio-professionali, la loro nazionalità; se si tratta, per ciascuno dei coniugi, di un primo matrimonio o di un matrimonio successivo; se vengono legittimati o meno i bambini nati prima del loro matrimonio. L'evoluzione del numero di matrimoni può ugualmente dipendere da cambiamenti legislativi o da nuovi comportamenti sociali. Lo studio del matrimonio si appoggia generalmente anche sull'esame del suo contrario, cioè il divorzio, cosa che suppone la considerazione del regolamento e degli elementi già evocati sopra (età dei divorziati, ceto dei divorziati, numero ed età dei bambini al momento del divorzio) o altri elementi complementari: quanti anni è durato il matrimonio, tipo di divorzio, origine della domanda di divorzio, ruolo di fattori esterni al divorzio.
La migrazione richiede una scomposizione di dati che faccia riferimento ad avvenimenti ancor più diversi (cfr. Dumont, 1995). Alle questioni primarie che possiamo porci (sesso, età, professione e nazionalità della persona migrante, origine geografica, destinazione geografica) si aggiungono le caratteristiche specifiche della migrazione: migrazione temporanea o definitiva, interna ad un paese o internazionale, ragione principale della migrazione (decisione di un'impresa di inviare un impiegato ad una filiale straniera, decisione di un individuo di raggiungere la sua famiglia, speranza di trovare delle condizioni di vita migliori, cause di forza maggiore provocate da una milizia o un esercito straniero, insediamento di un nuovo regime politico), causa generale della migrazione (economica, politica, economico-politica, demografica).
Quanto all'effettiva presenza di una popolazione su un territorio, essa merita di essere considerata interrogandosi sull'anzianità della popolazione, distinguendo l'età ed il sesso degli abitanti. Ciò permette di costruire una "piramide di età", che è per la demografia ciò che le carte di un territorio sono per la geografia: una sorta di doppio istogramma che rappresenta la popolazione per sesso e per età ad un certo momento, iscrivendo tutti gli eventi demografici nell'arco di un secolo. Altre scomposizioni dell'effettività di una popolazione permettono di distinguere la sua ripartizione geografica, socio-professionale, per nazionalità, distinguere la popolazione urbana dalla rurale, ecc.
3. Lo studio della frequenza degli eventi. Una volta che questo lavoro di osservazione degli eventi demografici basilari e di analisi o scomposizione dei dati secondo la loro natura sia stato effettuato, una terza tappa potrà aiutare a considerare la loro frequenza ed ampiezza, grazie ad una caratteristica essenziale della demografia: il suo potere di interpretazione, poiché la demografia permette di estrarre delle interpretazioni di carattere generale a partire da comportamenti individuali.
La scelta di una nascita dipende generalmente dal desiderio di una coppia. Allo stesso modo, la scelta di sposarsi (almeno nei paesi occidentali) non è imposta dalla collettività, ma è frutto normalmente di una decisione personale. Quanto alla morte, anche se è inevitabile, essa sopravviene in tempi e modalità diverse e del tutto imprevedibili: può morire un neonato, un bambino può restare vittima di un incidente, un adulto può soccombere a una malattia, una persona anziana decedere a causa di una disfunzione cardiaca. Tutti questi eventi demografici individuali non sembrano contenere alcuna logica, né coerenza. Tuttavia, essi portano a comprendere che, se la durata della vita di una persona appartenente ad una certa generazione è piuttosto incerta da rilevare, è possibile stabilire la durata media della vita della generazione cui questa persona appartiene. Quindi gli eventi demografici e le loro cause dirette rilevano comportamenti individuali o decisioni di coppia (scelta di migrare, di sposarsi, di avere un bambino, di porre fine ai propri giorni.), e la somma di questi diversi eventi rivela delle logiche d'insieme delle quali conviene tenere conto. La somma dei singoli avvenimenti demografici di una o più generazioni, si integra in una logica che si ripete varie volte in vari anni. Per esempio, la speranza di vita media delle persone che hanno un'età di 50 anni è, salvo radicali cambiamenti strutturali, un dato prevedibile.
La demografia permette dunque, considerando la somma dei comportamenti individuali, di misurare il comportamento generale di una popolazione. A questo scopo si ricorre a diversi metodi statistici, calcolando tassi o indici che permettano di conoscere lo stato e la vita delle popolazioni, di paragonarle nel tempo e di paragonarle con altre popolazioni: tassi di natalità, di mortalità, di mortalità infantile, crescita naturale, crescita migratoria, matrimonio, riproduzione, indici di fecondità, divorzio, i rapporti fra nascite di uomini e di donne, la speranza di vita alla nascita e nelle diverse età della vita (cfr. Dumont, 1992).
4. Elaborazione di schemi di interpretazione. L'analisi della frequenza delle evoluzioni demografiche (tassi, indici, rapporti, ecc.) permette, in una quarta tappa, di proporre degli schemi di interpretazione.
Uno degli schemi più conosciuti, sebbene presentato a volte in modo non del tutto corretto, è quello detto della «transizione demografica» (cfr. Chesnais, 1986). Si vuole con ciò indicare quella fase di transizione nella quale le popolazioni contemporanee sono già passate, o stanno tuttora passando, da tassi di natalità e di mortalità elevati a natalità e mortalità più basse. A parte le diversità di epoche e di intensità, il percorso delle differenti popolazioni all'interno di una tale fase di transizione è simile. Nella prima fase della transizione demografica, i progressi economici e sanitari provocano una rapida diminuzione della mortalità, mentre la natalità resta relativamente alta. Così la crescente differenza tra natalità e mortalità provoca un aumento del tasso di crescita della popolazione. Poi, in una seconda fase, la natalità si adatta alle nuove condizioni della mortalità. Le coppie capiscono che, per avere il numero desiderato di bambini in grado di sopravvivere, possono anche abbassare la loro fecondità, poiché la mortalità infantile e adolescenziale è fortemente diminuita. Allora il tasso di crescita diminuisce, fino al compimento completo della transizione. Un altro schema conforme al precedente consiste nella constatazione di una relazione, opposta a quella prima enunciata, tra natalità e mortalità infantile: i paesi a mortalità infantile elevata hanno generalmente una fecondità ugualmente elevata o viceversa. Il livello di natalità può dunque essere spiegato dalle "condizioni" della mortalità.
Altri schemi mostrano che, in alcune popolazioni, può porsi con esattezza una relazione tra il numero di nascite fuori dal matrimonio ed il numero dei matrimoni che legittimano i bambini: queste "regolarizzazioni" aumentano in funzione dell'aumento di nascite fuori dal matrimonio. Per ciò che concerne i rapporti tra fecondità e nuzialità, dato che la fecondità fuori dal matrimonio è più debole rispetto a quella delle donne sposate, in generale ogni diminuzione di nuzialità causa una diminuzione della fecondità. Un altro schema esplicativo è quello che distingue l'età nella quale le ragazze contraggono matrimonio rispetto a quella in cui lo contraggono i ragazzi. In alcune popolazioni le curve dei due andamenti sono spesso parallele, come se gli uomini si sposassero sempre ad un'età di tre o quattro anni maggiore di quella delle donne, qualunque sia l'evoluzione nel tempo dell'età media del matrimonio.
Tutti questi esempi sono solo schemi esplicativi e non potrebbero essere considerati come delle vere e proprie leggi in ragione delle loro caratteristiche: sono schemi descrittivi, interpretativi ed hanno un carattere prospettivo, ma non di predizione; non si applicano nel medesimo modo a tutte le popolazioni; sono solo dei canoni di riferimento che permettono di osservare, analizzare e comprendere l'evoluzione di una determinata popolazione. Così lo schema della transizione demografica permette di verificare la dinamica demografica delle popolazioni contemporanee, di interpretare le differenze constatate tra lo schema e le misure reali, di immaginare l'evoluzione possibile di una popolazione di un paese in via di sviluppo, ma non permette di precisare a priori l'intensità ed il ritmo temporale di questa evoluzione.
5. L'enunciazione di leggi. Seguendo il suo metodo, la demografia, come ogni scienza, ricerca delle regole ancor più stringenti che si basino su delle leggi, tratte eventualmente dagli schemi di interpretazione. Ad esempio, dato che la medicina non può stabilire con precisione la capacità di una donna di essere fertile, la demografia può condurre delle inchieste che permettano di mettere in relazione la diminuzione della fertilità con il trascorrere degli anni, deducendone così una legge universale e permanente che sarà valida fino a che una farmacoterapia futura permetterà alle donne con più di quarantacinque anni di avere la stessa fertilità di quelle che ne hanno venti.
Un'altra legge messa in evidenza dalla demografia è il carattere praticamente fisso del tasso di mascolinità delle nascite; in tutte le società ed in ogni epoca questa cifra è praticamente identica: nascono centocinque maschi ogni cento femmine. La permanenza di questo rapporto è tale che il demografo tedesco Johann Peter Süssmilch (1707-1767) intitolò una delle sue opere demografiche L'ordine divino, considerando che le regole scoperte erano talmente straordinarie da poter essere considerate divine. Inoltre, la messa in evidenza della più alta natalità dei maschi viene completata dalla legge di maggiore mortalità degli stessi, tranne che nelle popolazioni che trattano in modo socialmente diverso maschi e femmine. È come se la natura, creando un disequilibrio tra i sessi alla nascita, ponesse con ciò un rimedio al futuro disequilibrio di mortalità. L'analisi demografica può evidenziare anche altre leggi: in tutti i paesi che hanno raggiunto un alto livello sanitario, la mortalità è inferiore al dieci per mille e la speranza di vita del sesso femminile è superiore rispetto a quello maschile; un altro esempio: ogni differenza economica provoca movimenti migratori verso i paesi che presentano una forte creatività economica.
Ugualmente importanti sono le leggi tratte dallo studio delle transizioni demografiche. Benché la transizione demografica non sia né una teoria, né una legge, l'esame dei fatti mette in evidenza certe regolarità nella dinamica demografica e quindi l'esistenza di leggi che da quella possono essere tratte. Come legge primaria, la transizione demografica corrispondente alla diminuzione della mortalità non è possibile in maniera endogena, se non all'interno di una popolazione che abbia raggiunto un certo livello di organizzazione e che possa permettersi di realizzare progressi tecnici sia nell'agricoltura, sia nell'industria, e quindi di generare un vero slancio economico. Come seconda legge, quando la transizione demografica è chiusa da una diminuzione della mortalità endogena, derivante dall'importazione di risorse sanitarie messe a punto e convalidate in altri paesi, il prolungamento della vita e l'abbassamento della mortalità non sono possibili senza un decollo economico parallelo che permetta uno sviluppo reale, che implichi, in particolare, la diminuzione dell'analfabetismo ed una scolarizzazione vantaggiosa per tutti e due i sessi.
Un'ulteriore legge è che l'abbassamento del tasso di mortalità pare essere una condizione necessaria perché si abbia anche un abbassamento della fecondità. Quest'ultima può, infatti, diminuire solo se la sua riduzione è giustificata da un miglioramento del tasso di sopravvivenza dei neonati e dei bambini, cioè attraverso una significativa diminuzione della mortalità infantile e di quella adolescenziale. Ci vuole una diminuzione continua del tasso di mortalità, fino a rendere improbabile che la morte di tutti i figli di una famiglia avvenga prima di quella dei genitori, per non ostacolare una corrispondente diminuzione della natalità. La diminuzione della fecondità durante la seconda fase della transizione demografica somiglia ad una retroazione nel processo della transizione in risposta alla diminuzione della mortalità. La retroazione è molto più viva rispetto al processo, essendo facilitata da cambiamenti propri alla società (educazione, scolarizzazione delle donne, aumento dell'età del matrimonio, ecc.).
Numerose leggi così elaborate non devono essere generalizzate sistematicamente, perché possono cambiare nel tempo e nello spazio. Ad esempio, le leggi sulla mortalità della seconda metà del XX secolo in Europa sono totalmente differenti da quelle che prevalevano nella seconda metà del XVIII secolo. Nell'Africa subsahariana, le analisi riguardanti la mortalità sono state radicalmente cambiate dopo la comparsa dell'AIDS dopo il 1980. La stessa cosa vale per la mortalità fra i 20 e i 40 anni in Europa. Per quanto riguarda le differenze geografiche, le leggi che regolano la mortalità in un paese occidentale dipendono dalle migliori condizioni sanitarie lì presenti, mentre le leggi che si possono elaborare a partire dai dati della mortalità di un Paese africano in via di sviluppo, sarebbero, proprio per quella medesima ragione, molto diverse. Le costanti nella vita di una popolazione molto spesso si riferiscono soltanto ad un determinato luogo o periodo di tempo.
6. Le prospettive demografiche. L'ultimo aspetto del metodo demografico consiste nella possibilità di fare proiezioni sul futuro. La conoscenza di schemi di interpretazione e di leggi autorizza a fare delle previsioni a breve termine e delle proiezioni a medio e lungo termine; queste ultime presuppongono una pluralità di scenari che si basano su diverse ipotesi.
In effetti, la demografia permette di stabilire proiezioni il cui fine è stimare quale sarà lo stato di una popolazione considerata in un determinato intervallo di tempo. Le proiezioni permettono, non solo di fare statistiche "guardando indietro", ma anche di farne "guardando avanti", per chiarire scelte e conseguenze che coinvolgeranno il futuro. Le proiezioni demografiche sono molto utili per il lavoro affidato al potere pubblico, e ciò in tutti i campi, compresi molti settori della vita economica. È importante prevedere, ad esempio, il numero di bambini da scolarizzare, di studenti da accogliere nelle università, di contributi pensionistici da versare per il mantenimento delle persone più anziane.
Sfortunatamente, lo strumento della proiezione demografica viene talvolta allontanato dal suo oggetto, lasciandosi piuttosto guidare da ipotesi che dipendono da condizionamenti ideologici (per esempio, utilizzare tassi di crescita lineari trascurando così gli insegnamenti provenienti dallo schema della transizione demografica) o limitando in modo anomalo il campo delle ipotesi. Le proiezioni dovrebbero, infatti, essere sempre presentate sotto il nome di «prospettive condizionali», anche se il termine risulta un po' ridondante, e questo per avere presente che quelle prospettive restano, sempre, totalmente dipendenti dalle ipotesi assunte in partenza.
III. La dimensione temporale nella demografia
Dopo il metodo consideriamo le specificità essenziali della demografia in seno alle scienze sociali, specificità che prendono in considerazione la dimensione temporale.
1. Una base temporale di lavoro sufficientemente estesa. Lo studio demografico esige, molto spesso, il ricorso ad un'unità temporale di lavoro, cioè un periodo di base per le sue analisi corrispondente alla differenza tra due generazioni, circa venticinque o trent'anni. Se si vuole esaminare in modo veramente esaustivo il comportamento della fecondità o della natalità di una popolazione, conviene concentrare l'attenzione sulla logica di vita della popolazione. Come ognuno sa, la fecondità corrisponde ad un periodo della vita della donna che dura circa trent'anni. Allo stesso modo, il periodo di nuzialità più completo per una corretta analisi demografica riguarda il matrimonio delle donne durante questo medesimo periodo di fecondità.
Questo intervallo elementare di analisi si ritrova ugualmente nel computo della cosiddetta "popolazione attiva". I valori di ingresso in questa fascia di popolazione, in un determinato anno, dipendono dalle nascite occorse una ventina di anni prima e dal numero di persone che hanno ricevuto un insegnamento superiore. Il numero delle nascite di un determinato anno dipende dai comportamenti della fecondità e delle effettive generazioni in età di procreazione. Per l'analisi di queste ultime è necessario tener conto soprattutto delle nascite occorse una trentina di anni prima.
Come ulteriore esempio, le entrate in età pensionistica di un determinato anno sono funzione diretta delle entrate nella popolazione attiva dei quaranta anni precedenti. Lo studio dell'incidenza sulla demografia dei bambini immigrati in certo un territorio necessita la considerazione dell'immigrazione dei giovani adulti avvenuta nella generazione precedente. Nei paesi che prevedono il servizio militare obbligatorio, il numero effettivo di coscritti si analizza generalmente in funzione della natalità constatata venti anni prima. La comprensione dei fenomeni demografici presuppone dunque, molto spesso, che si abbia una base di tempo la cui durata equivalga allo scarto tra due generazioni.
2. Una logica di lunga durata. Nella demografia, alla necessità di una sufficiente "base temporale" si aggiunge un'altra caratteristica, quella di una "logica" di durata molto più lunga. La legge finanziaria votata da un Parlamento sviluppa una strategia della durata di un anno; la decisione di un'impresa o di un singolo imprenditore di realizzare un investimento a breve termine copre la durata di tempo di questo medesimo investimento. In demografia, i dati osservati in un determinato momento hanno delle conseguenze durante lunghi periodi. Dato che ci vuole praticamente un secolo per rinnovare interamente una popolazione, l'analisi demografica deve essere capace di considerare tempi assai lunghi e non essere mossa da uno spirito che sarebbe invece proprio di uno specialista di fatti congiunturali.
La scienza della popolazione si trova dunque in una situazione assai particolare. Forzando l'immagine, la si potrebbe considerare come una sorta di "sfera di cristallo" scientifica, poiché permette di ragionare e fare buone previsioni anche al di là del breve termine. Se ci domandassimo che cosa sarà della terra tra mezzo secolo, si potrebbe avere l'impressione che sia quasi impossibile rispondere a questa domanda. Chi può predire la storia politica, l'evoluzione economica, i comportamenti sociali della metà del XXI secolo? Ora, la conoscenza delle popolazioni attuali conduce a delle risposte parziali. In effetti, tutti gli uomini che nel 2050 avranno più di cinquant'anni possono essere perfettamente censiti; sono necessariamente quelli nati negli anni anteriori al 2000 e, secondo le ipotesi di mortalità considerate, è possibile prevederne il numero con una certa precisione, dato che può essere calcolato anche in modo più accurato in funzione di varie evoluzioni riguardanti i comportamenti individuali, i progressi della medicina, gli eventuali conflitti, le catastrofi naturali.
La demografia è una delle poche scienze che può proporre, per periodi corrispondenti ad un lontano futuro, delle prospettive non assurde né totalmente aleatorie, a condizione di scartare ogni ipotesi incompatibile con le logiche demografiche conosciute. Questa possibilità di proiettarsi nel futuro e l'importanza degli effetti a lunga durata tendono ad "effetti di inerzia", fondamentali in questa scienza.
Da ciò non bisogna concludere che i cambiamenti demografici siano necessariamente lunghi. Al contrario, essi possono svilupparsi molto rapidamente: brusca mortalità dovuta ad una guerra o ad un'epidemia, denatalità legata all'assenza degli uomini partiti per il fronte, diminuzione rapida della mortalità legata all'introduzione di nuovi mezzi di lotta contro le malattie infettive e parassitarie, aumento della fecondità legata ad un cambiamento nel comportamento di una società, diminuzione della fecondità sotto l'effetto di una rivoluzione di regime demografico, come avvenuto nei paesi dell'Europa meridionale all'inizio degli anni ottanta (cfr. Zurfluh, 1992).
Inoltre, questa logica di lunga durata nella quale si sviluppano le conseguenze degli avvenimenti demografici non deve mascherare il fatto che il periodo di tempo della loro causa può avere avuto una breve durata. Un'importante specificità della demografia è dunque quella dei suoi rapporti con il tempo, della lunghezza delle sue logiche. Quando delle coppie decidono di accrescere la propria famiglia, molto spesso hanno maturato la loro decisione in un tempo relativamente breve, anche solo di qualche mese. Al contrario, le conseguenze di questa decisione - il bambino neonato - esercitano indubbiamente i loro effetti su tutto l'arco di una vita, su quella del neonato ed anche su tutta la vita dei suoi discendenti, cioè durante un periodo che è almeno esteso come la vita di un uomo, o che potrebbe perfino essere incommensurabile.
C'è dunque una relazione paradossale tra il breve tempo nel quale si verifica la causa primaria ed il lungo termine dei suoi effetti, come viene espresso dal detto, particolarmente vero in demografia: «i nostri atti ci seguono». Per esempio, la prima guerra mondiale, con il deficit di nascite ed il gran numero di giovani adulti morti che ha causato, ha avuto una durata di cinque anni. Le sue conseguenze, però, a causa della logica propria dei fenomeni demografici, si sono fatte sentire su un tempo molto più lungo in maniera ineluttabile. Sulla piramide delle età, agli effetti immediati dell'alta mortalità, si aggiungono quelli della natalità, e ciò almeno per tutto il secolo a venire. L'unità logica in demografia è almeno la durata della vita di un uomo, di poco inferiore a un secolo. Bisogna insistere su questo apparente paradosso, quello tra la rapidità con la quale i fenomeni possono prodursi, ed il lungo periodo durante il quale questi fenomeni eserciteranno le proprie conseguenze.
IV. Le principali correnti del pensiero demografico
Il metodo scientifico della demografia sfortunatamente non sempre viene rispettato (cfr. Dumont, 1995): capita che vengano effettuati dei percorsi di osservazione sbagliati (uso di stati civili o di censimenti di cattiva qualità, senza senso critico), che si sostituiscano le cifre osservate con cifre "ufficiali" che non corrispondono alla realtà delle cose (sull'esempio di Stalin), che vengano elaborati schemi di uniformità - come quello di Malthus che citeremo più avanti - per esempio omettendo di prendere in considerazione la grande diversità di dinamiche demografiche nel tempo e nello spazio. Allo stesso modo, la verifica su casi reali delle ipotesi avanzate viene a volte dimenticata.
Inoltre, un gran numero di correnti di pensiero demografico si sono espresse senza tenere conto della realtà o della ricerca della verità, ma piuttosto in funzione di presupposti ideologici, a volte argomentati a partire da ragionamenti demografici sbagliati. C'è, quindi, molto spesso, una lunga distanza tra gli insegnamenti della scienza della popolazione ed il pensiero demografico; quest'ultimo, nondimeno, ha una grande importanza poiché partecipa del "potere della parola".
Il pensiero demografico può essere diviso in tre scuole principali: la prima aspira a creare un ordine statale che controlli od imponga un ordine demografico, considerando l'uomo prima di tutto come un cittadino dello stato; la seconda manifesta il "timore dei limiti", proponendosi di imporre vincoli alla creatività dell'uomo; solo la terza privilegia la ricerca della verità e merita di essere classificata come scientifica.
Benché la demografia, in quanto scienza, sia relativamente recente, il "pensiero demografico" è piuttosto vecchio. Attraverso i secoli, una stessa questione, quella di quale sia il numero auspicabile di uomini sulla terra, resterà viva e darà luogo a risposte contrastanti. È strano constatare che i progressi della scienza della popolazione non abbiano modificato questi contrasti.
1. Lo Stato controllore di un ordine demografico. L'idea della necessità di un ordine demografico statale è sviluppata in modo dettagliato sia in Platone, sia in Aristotele. Secondo Platone (427- 347 a .C.), il popolamento di un territorio non può essere lasciato al caso. Di conseguenza lo Stato deve regolare la vita degli individui; così parla delle unioni coniugali: «Tu, dunque, legislatore, come hai scelto gli uomini sceglierai anche le donne cercando di assortire il più possibile le nature simili» ( La Repubblica , lib. V). Allo stesso modo l'educazione dei bambini dipende interamente dallo Stato , come sostiene Socrate in un dialogo del Timeo platonico: «Non abbiamo preso delle misure affinché nessuno possa mai riconoscere come suo il bambino che gli nascerà?». Precisando ancora la sua nozione di ordine statale, Platone fissa una cifra demografica precisa, precisando che la città «deve far corrispondere il numero delle famiglie a cinquemilaquaranta» e che «il numero delle famiglie costituite e distribuite ora da noi, tante devono essere sempre e non crescere mai di una unità, né calare di una» (Leggi , lib. V). La cifra segnalata non è casuale, ma è scelta perché divisibile per tutti i numeri da 1 a 12 (eccettuato l'11), cosa che facilita l'amministrazione e l'organizzazione militare della città.
Platone non si accontenta di definire degli obiettivi, ma precisa anche i mezzi che lo Stato deve utilizzare per mantenere l'ordine demografico: controllo quantitativo delle nascite, ma anche "qualitativo", con l'eliminazione «dei soggetti inferiori dell'uno e dell'altro sesso». Il pensiero platonico non lascia molto spazio alle scelte individuali, considerando l'uomo come una piccola particella di uno stato collettivista.
Senza far riferimento al pensiero di Platone, le dichiarazioni contemporanee conformi a questo principio sono numerose: i media citano spesso l'una o l'altra dichiarazione spiegando che è impensabile che un determinato paese accolga più di un dato numero di abitanti senza subire conseguenze nefaste.
Aristotele (384- 322 a.C) aderisce ugualmente all'idea di ordine demografico. Scrive così nella Politica: «una popolazione che raggiunge una cifra troppo elevata non potrà prestarsi ad un ordine ideale di popolazione». In questo senso non si può esitare ad «imporre delle restrizioni alla procreazione per fare in modo che le nascite non superino una determinata cifra». Tra i mezzi utilizzati per raggiungere questo obiettivo, c'è generalmente il ricorso all'aborto che «sarà praticato prima che la vita e la sensibilità giungano nell'embrione». Aristotele pensava che l'anima umana fosse introdotta nel processo generativo dal di fuori, diversi mesi dopo la fecondazione.
La lettura di Platone ed Aristotele appare stranamente moderna poiché rinvia a numerosi dibattiti contemporanei: fissare un numero massimo di abitanti, controllo delle nascite, aborto, eugenismo. Un tale pensiero, fondato su una preoccupazione di ordine demografico, ha ispirato, in alcuni periodi, differenti politiche coercitive del XX secolo in numerosi paesi, soprattutto in Cina ed in India. Queste politiche hanno fallito ed alcune di esse hanno provocato effetti perversi perché erano antinomiche, sia verso la verità umana sia verso la realtà delle logiche demografiche (cfr. Dumont, 1996).
2. I malthusiani ed il pessimismo demografico. Platone ed Aristotele propongono un pensiero ordinato basato su una concezione della vita in società che privilegia lo Stato, contrariamente a quanto stabilisce un sano «principio di sussidiarietà». Ma questi autori non avevano un pensiero pessimista: ogni superamento del loro obiettivo demografico quantitativo è altrettanto grave quanto il fatto di non raggiungerlo; in questo caso bisognava incoraggiare le nascite o, come ultima sponda, fare appello all'immigrazione.
Il pensiero demografico pessimista, al contrario, aderisce all'idea di una fatalità della natura contro l'uomo. Espresso nel corso della storia da diversi autori, esso viene sistematizzato in modo molto chiaro da Robert Malthus (1766-1834) nella sua opera Saggio sul principio di popolazione (1798): «Considerando la popolazione mondiale con un qualsiasi punto reale di partenza, mille milioni, ad esempio, la specie umana crescerebbe come la successione 1, 2, 4, 8, 16, 32, 64, 128, 256, 512, ecc. e la sussistenza come 1, 2, 3, 4, 5, 6, 7, 8, 9, 10, ecc. In due secoli e un quarto il rapporto delle popolazioni con i mezzi di sussistenza sarebbe di 512 a 10; in tre secoli di 4096 a 13». Secondo "la legge sulla popolazione di Malthus", i mezzi di sussistenza possono solo crescere secondo una progressione aritmetica, mentre la popolazione, che non è fermata da alcun ostacolo, «raddoppia ogni venticinque anni secondo una progressione geometrica». In conseguenza di questa doppia fatalità, Malthus propone essenzialmente di applicare un "obbligo morale", scartando tutte le soluzioni che considera vizi (omosessualità, adulterio, aborto).
Ma già prima di Malthus, e dopo la prima edizione del suo libro, le evoluzioni umane e demografiche hanno permanentemente smentito questa tesi, che si basa su postulati sbagliati, carenti di uniformità, che esprimono un pessimismo fondamentale sulla capacità dell'uomo libero di inventare, rinnovare, creare, adattarsi. A dispetto della sua condanna da parte dei fatti, il ragionamento quantitativo iniziale di Malthus, pronunciato prima della diffusione della rivoluzione industriale, dello sviluppo della transizione demografica e dei considerevoli progressi tecnici degli ultimi secoli, non ha smesso di essere ripreso in un mondo completamente differente. Ciò è servito ad alcuni dei nostri contemporanei, come nel caso del cosiddetto Club di Roma, per sostituire «geometrico» con «esponenziale». Quindi, con Malthus, questi autori hanno concluso che la crescita della popolazione mondiale, annunciata come esponenziale, è una minaccia e giustifica espressioni come «bomba demografica» o «esplosione demografica», espressioni che risultano però totalmente inadeguate di fronte all'analisi demografica scientifica (cfr. Dumont, 1993). Ciò di cui piuttosto si tratta è di imporre ai paesi in via di sviluppo un controllo demografico, dando nel contempo il buon esempio, organizzando, cioè un simile controllo anche nei paesi più sviluppati.
I neo-malthusiani traggono, dai loro postulati, un gran numero di applicazioni ben lontane dagli impegni morali del pastore Malthus, poiché sostituiscono "l'obbligo morale" con politiche statali coercitive, e a volte con il rifiuto di ogni morale nelle relazioni umane. Come dimostra Michel Schooyans (1995 e 1997), in tale problematica si intrecciano due discorsi ideologici: il primo è tipicamente malthusiano, e consiste nel ripetere all'infinito che ogni diminuzione della crescita demografica si trasforma in un migliore sviluppo. Il secondo discorso, contrario al pensiero di Malthus, è di tipo edonista; il piacere individuale viene privilegiato rispetto alla missione dell'uomo, giustificando così tutti quei comportamenti che condurrebbero a questo fine.
Il pessimismo demografico dei neo-malthusiani risponde ad una concezione dell'uomo certamente diversa da quella della Bibbia , non considerando la persona umana come il centro della creazione. Trattato come una particella elementare tra le altre dell'ecosistema, l'uomo non merita alcuna considerazione particolare. Un tale pensiero è ben evidenziato, in modo aneddotico, in alcuni paesi europei con l'intento di sostituire le pecore con i lupi negli alpeggi. L'uomo non è che un fattore tra tanti altri e spesso un fattore spiacevole, che si toglierebbe volentieri di mezzo dall'ecosistema: così ha dichiarato il tanto apprezzato comandante Cousteau al Corriere dell'Unesco (novembre 1991): «È terribile a dirsi, ma bisogna che la popolazione mondiale si stabilizzi e, per ciò, bisognerebbe eliminare 350.000 uomini al giorno».
Gli ideologi di questo neo-malthusianesimo, che invece di fare della demografia si dovrebbe forse dire abbiano fatto della «demografia-spettacolo» (cfr. Dumont, 1999), hanno festeggiato il 12 ottobre 1999 a Sarajevo la nascita del sei miliardesimo uomo, ma non hanno mai ammesso i loro errori né si pronunciano su numerose realtà demografiche. Così una stima proiettiva della popolazione della Nigeria è stata ribassata di 34 milioni nel 1991, e ancora di 8 milioni nel 1999, facendo però passare tali revisioni sotto silenzio. Allo stesso modo, l'avanzamento dell'inverno demografico, in un'Europa che registra più decessi che nascite, non è mai stato evocato né analizzato (cfr. Dumont, 1994). Nessuna traccia neanche della rapidità della decelerazione demografica, suscettibile di condurre ad un vero e proprio crash demografico (cfr. Schooyans, 1999). Il pessimismo demografico, basato sulla "paura dei limiti", è dunque una vera ideologia, che omette sistematicamente di praticare l'integrità dell'insegnamento metodologico demografico sistematizzato da Claude Bernard.
3. Obiettività della ricerca scientifica e fede nell'uomo. Dopo John Graunt, la demografia ha al proprio attivo numerosi lavori realizzati ricorrendo con maggiore precisione al metodo scientifico, con l'unico scopo di migliorare la conoscenza. Ciò non impedisce assolutamente che chi si occupa di demografia abbia, in quanto essere umano, un proprio pensiero, viva o si proponga dei valori. In effetti, la completezza della conoscenza richiede allo stesso tempo scienza e dottrina (cioè un insieme di valori). La scienza tende a dividere inevitabilmente la realtà, per conoscerla meglio, mentre questa forma, in verità, qualcosa di unitario.
La dottrina è dunque un complemento necessario, poiché lega la realtà per facilitare anch'essa, a suo modo, la conoscenza: è un'interpretazione della vita integrata in un insieme più vasto, in cui tutti i componenti si chiariscono a vicenda. Scienza della popolazione e visione dell'uomo non sono esclusive, ma complementari. L'obiettività, come virtù scientifica, non impedisce di proporre un modo di pensiero unitario che permetta di avanzare, al di là dei risultati dei propri lavori scientifici, verso un'interpretazione più completa della realtà capace di nutrire positivamente la riflessione.
Riassumendo i suoi insegnamenti sulle ricerche sulla popolazione della Francia, Jean-Baptiste Moheau (Recherches et considérations sur la population de la France, Paris, 1778) sottolineava l'importanza dell'umanità riunita nel suo insieme in una meditazione che ricordava i due "infiniti" di Blaise Pascal: «il tempo, lo spazio, la moltitudine, tutto ci riporta al sentimento della nostra debolezza; ma quando considerate gli uomini nel loro insieme, è allora che il nostro essere riprende un carattere di dignità».
Moheau insiste sui limiti dell'uomo isolato e sulle forze degli uomini riuniti. Tutto ciò si potrebbe applicare ad ogni progetto di sviluppo, proposto da individui singoli o da tutti i protagonisti di un territorio: i «progressi umani sui quali l'abitudine ci fa fermare l'occhio ed indebolisce la nostra ammirazione, sono opera della popolazione riunita; se si disperde, perde la sua azione. [.] Quando gli uomini sono riuniti, ogni secolo, ogni anno, ogni giorno aggiunge qualcosa alla loro ricchezza intellettuale o fisica».
Mentre gli approcci malthusiani sostengono che la ricerca scientifica impone dei limiti alla possibile pressione demografica, Esther Boserup (1970) mostra, al contrario, che è la pressione demografica a dare impulso alla ricerca scientifica. In effetti, una debole densità di popolazione si accompagna generalmente ad una troppo estensiva utilizzazione del suolo. Se questa debole intensità perdura, nulla giustificherà un uso più intensivo, cioè più efficiente, del suolo. Solo la crescita demografica, moltiplicando i bisogni, può creare le condizioni che rendano necessaria una modifica dei metodi culturali e che dia il via ad un processo di sviluppo economico. La crescita demografica esercita una pressione innovatrice costringendo le società (e fornendo ad esse i mezzi, attraverso l'afflusso di una nuova manodopera) a modificare la quantità di lavoro e la propria produttività, cioè i fondamentali modi di produzione (cfr. Cantoni, 1997).
Attraverso le sue ricerche, Julian L. Simon (1985) conferma le analisi precedenti. Esaminando differenti serie cifrate, egli constata che la pressione demografica crea le condizioni che permettono di spiegare lo spirito di inventiva e le possibilità di progresso tecnologico. Bisogna notare che questo autore, come prima di lui numerosi anti-malthusiani del XIX secolo, ebbe una precedente formazione malthusiana. Modificando il suo punto di vista con l'analisi dei fatti, egli dimostra che «le persone in sovrappiù producono, infatti, più di quello che consumano». E conclude: «La crescita demografica ha degli effetti positivi su un lungo periodo, malgrado i costi occasionali a breve termine» illustrando tutto ciò con una frase di Richard Frank (Northern Memories, 1694): «La necessità è la madre dell'invenzione».
Dal canto suo, Alfred Sauvy, senza dubbio il più grande demografo del XX secolo, ha studiato l'importanza delle relazioni tra il progresso tecnico e la popolazione attiva occupata. Nella sua opera La montée des déséquilibres démographiques (1984), giunge alla conclusione che «l'opinione ha spesso una vista troppo micro-economica e non percepisce l'effetto positivo del progresso tecnico sull'uso generale dell'economia. Le argomentazioni avanzate oggi contro l'informatica, perché toglie lavoro, sono esattamente le stesse utilizzate due secoli fa contro le macchine di allora, il telaio o l'ago per filare» (p. 37). In un altro testo, affermerà che è la società ad allontanare i giovani dalla vita attiva e, una volta che li ha allontanati, espulsi, li accusa di essere di troppo.
Sauvy accusa il malthusianismo constatando: «mai, in alcun tempo, in alcun luogo, c'è stato un esito felice in un paese dalla debole demografia». Egli si appoggia su esempi presi dalla storia economica (cfr. Sauvy, 1986). Così, durante il XIX secolo, territori a crescita demografica più elevata (Fiandre, Bretagna, Germania) hanno conosciuto dei miglioramenti della produzione e della produttività molto più rapidi rispetto a paesi la cui popolazione non aumentava per niente (Vallonia, Guascogna, Francia).
Anche se non si riferiscono a princìpi religiosi e se alcuni di loro si considerano agnostici, questi ricercatori trovano, tramite la scienza, la speranza presente nel cuore delle religioni del Libro, che porta inoltre a rifiutare ogni paura di un numero troppo grande di uomini, dato che ogni uomo è creato ad immagine di Dio. In principio, precisa la Genesi , fin dalle prime frasi della Sacra Scrittura, «la terra era informe e deserta e le tenebre ricoprivano l'abisso» (Gen 1,2). Per la bellezza della terra Dio realizza la creazione richiedendo la presenza anche di giardinieri, e crea l'uomo il sesto giorno: «Dio creò l'uomo a sua immagine; a immagine di Dio lo creò; maschio e femmina li creò» (Gen 1,27).
Perché gli uomini possano essere giardinieri della terra bisogna che siano numerosi, come precisa il testo sacro: «Dio li benedisse e disse loro: "Siate fecondi e moltiplicatevi, riempite la terra; soggiogatela e dominate sui pesci del mare e sugli uccelli del cielo e su ogni essere vivente che striscia sulla terra"» (Gen 1,28). Un po' più avanti, sempre nella Genesi, dopo il Diluvio è scritto: «Dio benedisse Noé e i suoi figli e disse loro: "Siate fecondi e moltiplicatevi e riempite la terra. Il timore e il terrore di voi sia in tutte le bestie selvatiche e in tutto il bestiame e in tutti gli uccelli del cielo. Quanto striscia sul suolo e tutti i pesci del mare sono messi in vostro potere"» (Gen 9,1-2).
Se, il primo giorno, «le tenebre ricoprivano l'abisso» è anche perché la terra non era curata per mancanza di essere umani che potessero occuparsene. Effettivamente ci sarà bisogno di uomini per dissodare o sistemare delle zone paludose. Così la Borgogna , terra piena di rovi e di cespugli, invasa dagli insetti, non aveva risorse agricole. I grandi dissodamenti del Medio Evo incoraggiati, e a volte organizzati dai monaci cistercensi, resero questa terra piacevole e produttiva. Lungo alcune paludi o lungo delle coste umide, l'uomo inventerà, tempo dopo, la tecnica dei polders , rendendo accoglienti terre inospitali. Gli uomini hanno saputo lavorare anche non poche terre aride, sistemandole a terrazze, o come risaie.
Tra le altre grandi religioni dell'umanità, nessuna è esplicitamente antinatalista. Il Corano presenta la fecondità come una benedizione e come un dovere. Un hadith (detto del Profeta) precisa: «Sposatevi, crescete e moltiplicatevi, poiché mi inorgoglisca di voi presso le nazioni nel giorno del giudizio finale» (XXIV, 33). Ai nostri giorni va menzionata l'iniziativa della Chiesa cattolica di costituire il Pontificio Consiglio per la Famiglia (1994), con il compito, fra l'altro di affrontare i problemi demografici alla luce delle esigenze dell'etica umana e della morale evangelica. È dovere della Chiesa e dei cristiani quello di segnalare degli ostacoli, fissare dei paletti e, soprattutto, tracciare delle strade.
I credenti invitano, dunque, i demografi all'obiettività scientifica e nutrono la speranza che lo scienziato, credente o meno, sia impegnato nella direzione di ricerche demografiche che migliorino la nostra conoscenza.
Documenti della Chiesa Cattolica correlati:
Mater et magistra, EE 7, 405-413; Gaudium et spes, 47, 87; Populorum progressio, 37; Humanae vitae, 24; Paolo VI, Octogesima adveniens, 14.5.1971, EV 4, 738-740; Commissione Pontificia per la Famiglia, Dichiarazione sull'Anno e la Conferenza della popolazione mondiale, 19.8.1974, EV 5, 564-598; Sollicitudo rei socialis, 25, 34; Centesimus annus, 32; Giovanni Paolo II: Discorso alla Pontificia Accademia delle Scienze, 22.11.1991, Insegnamenti XIV,2 (1991), pp. 1214-1219; Lettera in occasione della Conferenza internazionale su popolazione e sviluppo del Cairo, 19.3.1994, EV 14, 597-609. Pontificio Consiglio per la Famiglia, Evoluzioni demografiche: dimensioni etiche e pastorali, 25.3.1994, EV 14, 650-749; Pontificio Consiglio per la Famiglia, Il crollo della fecondità nel mondo, 27.2.1998, EV 17, 463-479
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