Il rapporto tra la Chiesa Cattolica e l’astronomia è sempre stato complesso ed interessante. Se infatti, da una parte, si sono storicamente mosse accuse contro la Chiesa per la condanna a Galileo e ai sostenitori della teoria eliocentrica, dall’altra, non si può certo dire che la Chiesa non abbia rivolto grande interesse alla scienza del cielo. Un interesse mosso da diversi fattori, che vanno dalla pura e semplice curiosità scientifica, al desiderio di trovare conferme alle teorie filosofiche o teologiche, all’esigenza di riformare il calendario, e così via.
Va dunque detto che nella Chiesa, accanto ad una corrente che guardava con diffidenza le scienze — che ha prevalso in alcuni momenti storici — non è mai mancata una corrente che invece le coltivava e ne favoriva lo sviluppo, interessandosi pertanto anche ai progressi dell’astronomia, fiduciosa nella conciliabilità della scienza del cielo con le Scritture, desiderosa di conoscere i segreti della Creazione, per ammirare e contemplare l’opera del Creatore. “Guardare il cielo”, del resto, è un atteggiamento espresso dal salmista (cfr. Sal 8,4), per riconoscere la grandezza dell’uomo e di Dio.
In maniera diretta o indiretta, il contributo dato da alcuni personaggi della Chiesa Cattolica allo sviluppo dell’astronomia è innegabile.
In Italia, in particolare, dietro la fondazione di numerosi Osservatori — e quindi dietro l’istituzionalizzazione dell’astronomia, ovvero il passaggio da un’attività legata all’interesse personale a una ricerca organizzata e finanziata — ci sono l’azione e l’impegno di uomini appartenenti al clero religioso o secolare, che hanno fatto della scienza dei cieli uno degli interessi principali della loro attività. E laddove non c’è una personalità scientifica, spesso c’è un supporto finanziario da parte di autorità e/o istituzioni ecclesiastiche.
In generale, il tipo di contributo che la Chiesa ha dato allo sviluppo dell’astronomia si muove su due piani: quello delle risorse umane e quello delle risorse finanziarie.
Il primo Osservatorio bolognese
Per quest’ultimo aspetto, un caso particolarmente rappresentativo è quello di Bologna, dal 1507 territorio dello Stato Pontificio. Gli studi di astronomia avevano origini antiche nella città delle due Torri e avevano trovato espressione nei pregevoli lavori di Giandomenico Cassini, che gli avevano procurato tanta fama da essere chiamato a Parigi da Luigi XIV per istituirvi l’Observatoire Royal (1667). Non c’è da stupirsi, quindi, se il primo osservatorio italiano nasce nel solco dell’antica tradizione astronomica bolognese. Ai primi del XVIII secolo, il conte Luigi Ferdinando Marsili (1658-1730) aveva incaricato Eustachio Manfredi (1674-1739) di erigere a sue spese una specola astronomica nel suo palazzo, già sede di molteplici attività scientifiche, grazie alle collezioni di strumenti di cui Marsili era in possesso e che metteva a disposizione degli studiosi. La Specola di Palazzo Marsili fu in attività fino al 1709, anno in cui i familiari di Marsili si opposero alla cessione della parte del Palazzo dove erano ubicati i vari laboratori che egli intendeva donare alla città di Bologna.
Marsili smantellò i vari laboratori, nell’intento di trasferire gli strumenti in altra città, intento da cui le autorità bolognesi lo fecero recedere, offrendo garanzie per la loro adeguata conservazione e il loro regolare utilizzo attraverso l’allocazione di appropriate risorse umane e finanziarie. Bologna tuttavia era una città dello Stato Pontificio e, come tale, occorreva il consenso ed il supporto finanziario della Santa Sede, che non mancò. Marsili seppe perorare la causa presso Clemente XI, facendogli dono delle otto splendide tavole dipinte da Donato Creti (1671-1749) raffiguranti le osservazioni astronomiche dei vari corpi celesti, in cui erano riprodotti gli strumenti originali della specola marsiliana.
La nuova specola era parte di un più ampio progetto, che era la fondazione dell’Istituto delle Scienze di Bologna, in cui sarebbero confluiti i vari gabinetti scientifici marsiliani; per questo progetto, il Papa concedette un primo finanziamento di 2.400 scudi, cui seguirà nel 1720 un secondo contributo di 15.000 scudi per completare i lavori nella sede di Palazzo Poggi.
I successori di Clemente XI non furono da meno nel supportare il progetto: Innocenzo XIII diede ordine che l’Osservatorio fosse ultimato in tempo per essere visitato dai pellegrini dell’Anno Santo del 1725; in effetti, esso iniziò a funzionare nel 1727, sotto la sempre vigile guida di Manfredi, che ne aveva curato il trasferimento e la costruzione. Clemente XI elargì un nuovo finanziamento per l’Istituto delle Scienze nel 1738, grazie al quale Manfredi riuscì a rinnovare la strumentazione.
Non solo i Papi, ma anche diverse altre autorità religiose contribuirono con donazioni, in termini di denaro o di strumenti: tra questi, i cardinali Sebastiano Antonio Tanari e Giovanni Antonio Davia, che fecero dono, rispettivamente, di un pregevole cannocchiale dell’ottico Campani e di una serie di strumenti, tra cui un orologio astronomico, un quadrante, un cannocchiale ed un telescopio riflettore newtoniano.
Bologna, pertanto, è un tipico caso in cui la Chiesa — nelle sue varie personalità e/o autorità — ha contribuito con dei mezzi finanziari allo sviluppo e all’impianto di un osservatorio astronomico vero e proprio, dove svolgere ricerche in modo istituzionale.
La Compagnia di Gesù nella Fondazione dell’Osservatorio di Brera
Un importante contributo allo sviluppo dell’astronomia venne inoltre, come è ben noto, dagli Ordini religiosi costituzionalmente finalizzati all’istruzione – prima fra tutte, la Compagnia di Gesù, che poneva particolare attenzione all’insegnamento delle scienze esatte. A loro si deve la fondazione degli Osservatori di Brera e del Collegio Romano. In questi casi, dietro gli eventi che hanno portato alla nascita di questi osservatori, vi sono alcune personalità scientifiche di indiscussa fama.
Le prime notizie relative ad osservazioni astronomiche condotte dai gesuiti presso il Collegio di Brera (Milano) risalgono al 1760. Si tratta di osservazioni molto accurate di una cometa e denotano un’attività osservativa piuttosto consolidata. D’altronde, l’insegnamento dell’astronomia era un carattere distintivo delle scuole culturalmente più avanzate, quale voleva essere il Collegio di Milano. L’evento, di cui viene data pubblicamente notizia, induce il Rettore del Collegio a rilanciare l’attività astronomica, chiamando prima Luigi La Grange SJ (1711-1783), che determinò con più esattezza le coordinate geografiche del Collegio di Brera, poi il celebre Ruggiero Boscovich SJ (1711-1787), cui affida la progettazione di un nuovo osservatorio. Quest’ultimo venne ultimato nel 1765 con fondi del Collegio e contributi volontari di vari gesuiti — cosa non inusuale, dato che spesso appartenevano a famiglie facoltose. Boscovich aveva elaborato un ambizioso programma di ricerca per l’Osservatorio di Brera ma nel 1772 venne allontanato per motivi di ordine scientifico, personale, politico. L’anno successivo, in seguito alla soppressione della Compagnia di Gesù, l’Osservatorio venne incamerato dal Governo austriaco, che all’epoca reggeva il Lombardo-Veneto. Il Governo austriaco aveva già messo gli occhi sulla prestigiosa istituzione e forse non era stato del tutto estraneo all’allontanamento di Boscovich: dopo la confisca, infatti, la Corte di Vienna, mantenne intatto il corpo dei docenti del Collegio, pur imponendo loro la disciplina statale, e fece proprio il piano di attività proposto da Boscovich.
Malgrado l’Osservatorio di Brera fosse ormai divenuto un’istituzione statale, troviamo un altro religioso che dal 1775 al 1817 contribuì alla sua rinomanza scientifica: Barnaba Oriani (1752-1832). Appartenente all’ordine dei Barnabiti (o Chierici Regolari di S. Paolo), un altro degli ordini religiosi in prima linea nell’insegnamento delle scienze nei propri collegi, Oriani si distinse soprattutto per i suoi studi di meccanica celeste, che diedero fama internazionale all’Osservatorio di Brera. Con lui vanno menzionati l’abate Angelo De Cesaris (1749-1832), astronomo a Brera dal 1772 e p. Francesco Reggio (1743-1804), già assistente di La Grange.
L’Osservatorio di Palermo
Spostandoci da nord a sud, anche nella fondazione dell’Osservatorio di Palermo troviamo un altro religioso, il teatino Giuseppe Piazzi (1746-1826), cui si deve la compilazione di un celebre catalogo stellare in due edizioni (1803 e 1814) nonché la scoperta del primo asteroide, Cerere, avvenuta nel 1801. A lungo la Deputazione de’ Regj Studi istituita dal Principe di Caramanico, Viceré di Sicilia, aveva cercato astronomi di chiara fama che venissero a dirigere l’erigenda specola palermitana, senza successo: l’isolamento scientifico più ancora di quello geografico valeva a scoraggiare i candidati, che vedevano improbabile una carriera in Sicilia, date le condizioni di arretratezza culturale dell’Isola. In mancanza d’altro, la cattedra d’astronomia — e l’incarico di costruire un Osservatorio — venne quindi assegnata al valtellinese Piazzi, già più che quarantenne, all’epoca oscuro lettore di matematica presso l’Accademia de’ Regj Studi, poi divenuta Università di Palermo.
L’istituzione di un’Accademia per l’istruzione pubblica da parte del Governo borbonico era stata diretta conseguenza della soppressione dei Gesuiti e del loro allontanamento dalle scuole, che aveva determinato il crollo del sistema di istruzione nel Regno delle Due Sicilie. L’istituzione di una cattedra di Astronomia, in particolare, faceva parte di un piano di rilancio delle scienze — contestualmente all’Osservatorio, vennero creati l’Orto Botanico ed un Anfiteatro di Anatomia, oggi non più esistente — fortemente voluto dalla corrente illuminista dell’aristocrazia siciliana, guidata dal Viceré, Francesco D’Aquino, col quale Piazzi intrattenne amichevoli rapporti. Va detto che alcuni punti della vita e dell'attività di Piazzi sono controversi; per esempio, sono noti alcuni rapporti con la massoneria, a motivo del noto influsso che l'organizzazione aveva negli ambienti culturali e politici dell'epoca. Il suo viaggio in Francia ed in Inghilterra, la facilità con cui fu introdotto negli ambienti astronomici d’Oltralpe, i suoi rapporti con celebri astronomi dell’epoca, quali Lalande e Herschel, sembrerebbero indirettamente darne conferma. Così come la scelta di Piazzi di posizionare l’Osservatorio su una delle torri del Palazzo Reale, seppure dettata da esigenze di stabilità e di altezza, esprimerebbe in maniera simbolica questa sua vicinanza al potere. In realtà, della vicinanza al Palazzo Reale poco egli si giovò: ottenuto un primo consistente finanziamento per acquistare strumenti di prim’ordine in Francia ed in Inghilterra, tra cui il celebre Cerchio di Ramsden, Piazzi faticò a tenere elevato lo standard della strumentazione, all’epoca in rapida evoluzione. Inoltre, a conferma delle sue scarse risorse, conosciamo la sua richiesta che gli venisse convertito in denaro l’equivalente della medaglia d’oro assegnatagli dal Re per la scoperta di Cerere in modo da acquistare almeno un telescopio a montatura equatoriale per l’Osservatorio.
Dei suoi rapporti con le istituzioni ecclesiastiche, poco in realtà si conosce. Certamente, Piazzi doveva già essere noto ben prima del suo arrivo a Palermo a Filippo Lopez y Royo (1728-1811), teatino come lui, divenuto Arcivescovo di Palermo nel 1793; riuscì infatti facilmente a convincerlo a realizzare la splendida meridiana della cattedrale di Palermo, da lui tracciata nel 1801, che voleva essere uno strumento di pubblica utilità, con cui introdurre il sistema di misurazione del tempo all’europea.
… e quello di Napoli
Non vi è tuttavia dubbio alcuno che a Piazzi si deve la fama dell’Osservatorio di Palermo, per gli importanti risultati scientifici in esso conseguiti, tant’è che lo stesso Piazzi sarà chiamato a soprintendere alla costruzione di un altro osservatorio astronomico, quello di Napoli, a Capodimonte: la capitale borbonica non poteva essere priva di un osservatorio regio. L’intervento di Piazzi sarà determinante nel portare a compimento i lavori del monumentale edificio, primo osservatorio in Italia appositamente pianificato e costruito ex novo come tale.
L’Osservatorio di Capodimonte non fu tuttavia il primo progetto di osservatorio napoletano; in merito, come non citare i tentativi di Giuseppe Cassella (1755-1808), prete diocesano e insegnante di astronomia nautica presso la locale Accademia di Marina, che tanto aveva insistito presso il governo per ottenere la costruzione di un osservatorio. Ottenuto il permesso di utilizzare prima un’area del Real Museo e poi il belvedere del Monastero di San Gaudioso, non riuscì a portare a termine il progetto a causa della sua prematura scomparsa. Appena quattro anni dopo, Gioacchino Murat, divenuto Re di Napoli, decideva la costruzione del nuovo osservatorio: il terreno faticosamente preparato da Cassella dava finalmente i suoi frutti. Se non fece in tempo ad entrarne tra i più illustri protagonisti — di lui non si annoverano contributi scientifici di particolare importanza — certamente, con la sua determinazione, Cassella fu un formidabile apri-pista dell’astronomia napoletana.
Il ruolo del Seminario di Padova nella fondazione dell’Osservatorio Astronomico
Cassella, come tanti altri, si era specializzato in astronomia all’Osservatorio di Padova, vera fucina di formazione degli astronomi per diverse generazioni. Mai come nel caso dell’istituzione della specola patavina, il contributo di un ambiente ecclesiastico aperto e fecondo, quale era il Seminario di Padova, è evidente e decisivo.
Alle origini di questa istituzione, infatti, vi è tutto un nucleo di relazioni imperniate su un personaggio straordinario: Giuseppe Toaldo (1719-1797), che del Seminario fu prima allievo e poi insegnante di matematica e materie letterarie.
Va detto che il Seminario di Padova, sotto l’impulso del cardinale Gregorio Barbarigo (1625-1697) — proclamato santo nel 1960 da Giovanni XXIII — era diventato un importante centro culturale e scientifico, tanto da fornire larga parte dei quadri della locale celebre Università. Esso era caratterizzato da una grande apertura alle innovazioni scientifiche: non a caso, a Toaldo viene affidata nel 1744 la cura di un’edizione critica delle opere di Galileo — la prima a cura di autorità ecclesiastiche — nella cui prefazione si esprime apprezzamento per l’opera scientifica del pisano. Fu certamente un’operazione audace, se persino i censori della Serenissima intervennero più volte, timorosi di urtare la sensibilità della Santa Sede: il Dialogo sopra i Massimi Sistemi era pur sempre un’opera che era stata messa all’Indice ed era valsa la condanna di Galilei — un’edizione a cura del Seminario di Padova (sulla quale, peraltro, il giudizio storiografico moderno è largamente favorevole) era il chiaro riflesso di una corrente illuminista circolante nell’ambiente ecclesiale padovano, come del resto in tutti i principali ambienti culturali dell’epoca.
L’astronomia a Padova aveva una lunga e consolidata tradizione nell’ambito dell’insegnamento; esso rimaneva tuttavia più di carattere teorico che pratico: si avvertiva pertanto, all’epoca, l’esigenza di riformare l’insegnamento tradizionale esercitandosi nell’uso di una strumentazione moderna e adeguata, come già avveniva all’Università di Bologna. Preceduto dal benedettino Giovanni Alberto Colombo (1708-1777), che introdusse l’utilizzazione diretta degli strumenti nell’esame dei fenomeni celesti, nel 1762 Toaldo diventa professore di astronomia presso la locale Università e subito promuove la costruzione di una specola, progettando la conversione dell’antica Torlonga — risalente al XIII secolo — del Castello di Padova in osservatorio astronomico. Grazie alla collaborazione con un antico compagno di studi del Seminario di Padova, l’architetto Domenico Cerato (1715-1792) — al quale nel 1766 verrà affidato anche il progetto del Seminario maggiore — il progetto di costruzione della specola venne dunque preparato e portato a termine nel 1777. Toaldo inoltre è considerato uno dei fondatori della meteorologia moderna, fino allora non riconosciuta pienamente come scienza, perché considerata ancillare rispetto all’astronomia; di lui sono pure celebri i contributi sull’elettricità atmosferica. Negli studi meteorologici si distinse anche il nipote, Vincenzo Chiminello (1741-1815), anche lui prete formatosi al Seminario di Padova come lo zio Toaldo e suo successore alla cattedra di astronomia, e quindi alla direzione dell’Osservatorio astronomico. I primi anni di vita dell’Osservatorio di Padova sono pertanto profondamente segnati dall’influenza del Seminario nella vita culturale e scientifica della città; l’apporto di uomini di tale istituzione ecclesiastica fu determinante nello sviluppo di una sinergia tra istituzioni di diversa matrice (università, accademie, circoli culturali) e ne costituisce un interessante e valido esempio.
Le origini dell’astronomia a Torino e a Firenze
Le origini dell’astronomia a Torino vedono protagonista Giovanni Battista Beccaria (1716-1781), dell’ordine dei Chierici Regolari Poveri della Madre di Dio delle Scuole Pie — meglio conosciuti come Padri Scolopi — un altro ordine impegnato nel campo dell’istruzione. La sua abilità nell’insegnamento gli valse nel 1748 l’assegnazione della cattedra di Fisica presso l’Università di Torino. Similmente a Toaldo, Beccaria si distinse per i suoi studi sull’elettricità atmosferica, ai quali affiancò un forte interesse verso l’astronomia, tanto da ottenere l’incarico regio di misurare l’arco di meridiano da Andrate a Mondovì (Gradus Taurinensis), su consiglio di Boscovich. Carlo Emanuele III (1701-1773) fece allestire pertanto un piccolo Osservatorio universitario vicino all’alloggio di padre Beccaria, in modo che fungesse da stazione di osservazione e da deposito degli strumenti. Alla morte di Beccaria, il piccolo osservatorio fu affidato ai suoi successori alla cattedra di Fisica — entrambi ecclesiastici — ovvero Giuseppe Antonio Eandi (1735-1799) e il nipote di questi, Antonio Maria Vassalli Eandi (1761-1825), allievo di Beccaria ed illustre fisico e meteorologo. Nel 1789 Vittorio Amedeo III volle istituire un nuovo osservatorio presso l’Accademia delle Scienze; la specola, inaugurata nel 1790, fu affidata alla Classe di Scienze dell’Accademia ed ebbe come direttori l’oratoriano Tommaso Valperga di Caluso (1737-1815), matematico e orientalista, professore di astronomia e meccanica celeste, per la parte astronomica e Vassalli Eandi per la parte meteorologica.
Questo nucleo di personalità scientifiche di estrazione ecclesiastica diede quindi inizio alla ricerca astronomica a Torino e tenne viva l’attenzione verso questa scienza, aprendo la strada alla fondazione del nuovo osservatorio di palazzo Madama, ultimato nel 1822. A P. Giovanni Boccardi (1859-1936), religioso Lazzarista, si dovrà più tardi il successivo trasferimento dell’Osservatorio di Torino nella attuale sede di Pino Torinese, a partire dal 1910. Direttore dell’Osservatorio dal 1903, dopo essere stato astronomo a Roma e a Catania, Boccardi progettò il nuovo sito, pianificando i nuovi strumenti di astronomia di posizione da alloggiarvi, ed ottenne i necessari finanziamenti governativi.
Anche a Firenze, l’avvio dell’astronomia “istituzionale”, con l’istituzione del corso di astronomia presso il Real Museo di Fisica e Storia Naturale nel 1807 — e la conseguente creazione di una Specola ad esso annessa — ebbe come apri-pista alcune personalità ecclesiastiche, quali Domenico De Vecchi (1768-1852), che tenne la suddetta cattedra di astronomia e quindi la direzione della Specola, coadiuvato da Cosimo del Nacca, allievo dei Padri Scolopi. Dopo di lui, tuttavia, la direzione della Specola prende una direzione fortemente “laica” con Jean-Louis Pons (1761-1831) e Giovan Battista Amici (1786-1863), che sfocerà nella fondazione del nuovo osservatorio di Arcetri, nel 1872, ad opera di Giovan Battista Donati (1826-1873). È del resto comprensibile che il Risorgimento abbia fortemente influenzato la determinazione di dare un’impronta “laica” alle istituzioni governative, data l’ombra lunga della “questione romana” ed il suo influsso nella politica dell’epoca.
Le origini dell’astronomia a Roma e gli Osservatori promossi dalla Sede Pontificia
Questo ci introduce nelle complesse vicende dell’astronomia a Roma, che certamente costituisce un caso particolare nel panorama nazionale italiano, dal punto di vista del contributo dato da personaggi ed istituzioni della Chiesa allo sviluppo dell’astronomia italiana. Inevitabilmente, qui è la Chiesa che, nelle varie istituzioni, promuove la costruzione di diversi Osservatori astronomici. Nella Roma di fine Settecento è possibile individuare almeno due osservatori pontifici: quello della Torre dei Venti e quello del Collegio Romano. Ai primi dell’Ottocento se ne aggiungerà un terzo, quello del Campidoglio.
Il primo osservatorio romano è quello vero e proprio del Vaticano, presso la Torre dei Venti — già sede della meridiana costruita da P. Ignazio Danti (1536-1586) nel 1580, che servì da verifica per la riforma del calendario gregoriano. Qui, alla fine del XVIII secolo, vennero installati alcuni strumenti astronomici per interessamento del cardinale Francesco Saverio de Zelada (1717-1801), nell’intento di farne un osservatorio vero e proprio, destinato all’insegnamento dell’astronomia. Ma la collocazione non era ottimale, come fece notare P. Giuseppe Calandrelli (1749-1827): innanzi tutto, l’osservatorio era distante dal Collegio Romano, sede dei corsi di astronomia; inoltre, la vicina cupola di S. Pietro ostruiva una parte del cielo visibile, riducendo così l’orizzonte libero, necessario per le osservazioni. Dopo un periodo di abbandono, la Specola Vaticana fu rilanciata come sede di osservazioni soprattutto meteorologiche, ma anche astronomiche e di fisica terrestre, sotto la direzione di mons. Filippo Luigi Gilii (1756-1821). Dopo la morte di questi, tuttavia, la Specola conobbe un rapido declino e solo nel 1891, grazie all’impulso dato dal barnabita P. Francesco Denza (1834-1894), Leone XIII col Motu Proprio Ut mysticam ne stabilisce la rifondazione, con il preciso obiettivo di prendere parte ai lavori di fotografia celeste dell’impresa internazionale della Carte du Ciel, che porterà alla realizzazione di un esteso catalogo fotografico stellare. La Specola Vaticana , trasferitasi nel 1935 a Castelgandolfo è, come è noto, tuttora esistente e continua, con la sua attività scientifica, a dare un valido contributo alla ricerca astronomica di oggi, grazie anche al moderno telescopio VATT (Vatican Advanced Technology Telescope) installato a Tucson in Arizona.
Il secondo osservatorio è quello del Collegio Romano, istituito da Clemente XIV nel luglio 1774, un anno dopo la soppressione della Compagnia di Gesù. Fin dalla sua fondazione, risalente al XVI secolo e mirata a fornire un percorso di studi completo, con corsi di ogni ordine e grado, il Collegio Romano si era distinto come una delle più prestigiose istituzioni della Compagnia di Gesù. Anche se non possedeva un vero e proprio osservatorio, l’astronomia vi era sempre stata coltivata con risultati di altissimo livello; tanto per citarne alcuni, basti ricordare l’attività scientifica dei padri gesuiti Christoph Schlüsse - o Klau, meglio noto come Clavius (1538-1612), Christoph Scheiner (1573- 1650), Gilles François de Gottignies (1630-1689), il già citato Ruggero Boscovich, ecc. Quest’ultimo, in particolare, aveva segnalato in passato l’esigenza di erigere un osservatorio astronomico nel Collegio e aveva altresì proposto di costruirlo sul tetto dell’annessa chiesa di S. Ignazio, al posto della cupola mai realizzata. Il progetto, tuttavia, rimase incompiuto e Boscovich decise di collocare i suoi strumenti nella sala del Museo Kircheriano che pertanto, pur avendo una serie non indifferente di limitazioni, costituì una sorta di anticipazione dell’osservatorio vero e proprio.
Con la soppressione della Compagnia di Gesù, l’insegnamento al collegio venne affidato al clero secolare; fu allora nominato professore di astronomia — e direttore dell’erigendo osservatorio — il canonico Giuseppe Calandrelli. Questi ottenne dal cardinale Zelada la costruzione di una torre, dove collocò alcuni piccoli strumenti acquistati a sue spese, ben lungi dal costituire la dotazione necessaria per un osservatorio. Questa arrivò solo nel 1804, per interessamento di Pio VII, il quale ebbe modo di visitare la specola per osservare personalmente una grande macchia solare e si impegnò a migliorare la dotazione strumentale di cui essa disponeva. Il Papa fece acquistare in Francia ed in Germania strumenti di buona fattura, quali un rifrattore acromatico, uno strumento dei passaggi Reichenbach, un pendolo di Ponce e uno di Breguet; altri piccoli strumenti vennero inoltre donati da alcune autorità ecclesiastiche, ma la portata dell’intera dotazione, pur consentendo finalmente a Calandrelli e ai suoi compagni di fare astronomia, restava al di sotto degli standard scientifici dell’epoca. È tanto più sorprendente, quindi, la qualità dei risultati scientifici ottenuti da Calandrelli con i modesti mezzi di cui poteva disporre; insieme agli allievi Andrea Conti (1766-1840) e Giacomo Ricchenbach, che lo coadiuvarono nelle ricerche astronomiche, fu autore di ben otto volumi di Opuscoli astronomici (1803-1824) nei quali raccolse le osservazioni e gli studi relativi ai pianeti, alle comete, all’aberrazione della luce, alla parallasse lunare e stellare, contribuendo indirettamente alla fine della controversia sull’eliocentrismo: le sue misure di una presunta parallasse di Vega — risalenti al 1806 — furono infatti determinanti nell’indurre i Censori del sant’Uffizio a concedere finalmente nel 1821 l’imprimatur al manuale di astronomia di Giuseppe Settele (1810-1836) nel quale si insegnava la teoria eliocentrica, dando così occasione a Pio VII di emanare un decreto col quale si affermava che “da tempo non sussiste ostacolo alcuno a che si possa sostenere l’affermazione di Copernico circa il moto della Terra, nel modo in cui adesso la si suole sostenere anche da parte degli autori cattolici”.
Nel 1824 il Collegio Romano fu riconsegnato alla Compagnia di Gesù, dieci anni dopo la ricostituzione di quest’ultima ad opera di Pio VII. Era volontà del Pontefice che Calandrelli rimanesse alla direzione dell’Osservatorio, ma egli preferì trasferire la sua attività scientifica presso il Collegio di S. Apollinare, sede del Seminario Romano; morirà tuttavia improvvisamente, tre anni più tardi, senza riuscire ad avviare il potenziale progetto scientifico legato a questo trasferimento. Sotto la direzione dei Padri gesuiti Etienne Dumouchel (1773-1840) fino al 1838 e del suo collaboratore e successore Francesco De Vico (1805-1848) fino al 1848, l’Osservatorio del Collegio Romano fu dotato di nuovi e pregevoli strumenti astronomici, forniti loro dai PP. Generali Luigi Fortis (1748-1829) e Jan Philip Roothan (1785-1853): un telescopio azimutale di Cauchoix e un cerchio meridiano di Ertel. Questi costituirono il primo nucleo di una rinnovata dotazione strumentale, che tuttavia necessitava di un edificio nuovo e con adeguate caratteristiche di stabilità, per essere validamente usata. Ciò non scoraggiò comunque l’attività di ricerca che, soprattutto con De Vico, conobbe una fase di grande fama, dovuta al calcolo delle effemeridi della cometa di Halley nel 1835, dei satelliti di Saturno, Mimante ed Encelado, e di numerose comete — alcune portano tuttora il suo nome — che gli valsero il conferimento di premi e riconoscimenti internazionali.
La tempesta rivoluzionaria del 1848, tuttavia, coi suoi gravissimi risvolti politici, portò allo scioglimento e all’esilio volontario dei Gesuiti, che dovettero abbandonare il Collegio e riparare all’estero fino alla fine del 1849, quando l’occupazione francese pose fine alla breve esperienza della Repubblica Romana. De Vico non riuscirà a riprendere la direzione dell’Osservatorio: morirà infatti prematuramente nel novembre di quell’anno, non prima di aver designato il suo successore nel giovane allievo Angelo Secchi SJ (1818-1878), che lo aveva seguito nel suo esilio negli Stati Uniti e di cui aveva apprezzato le capacità e le doti.
Il ruolo di P. Angelo Secchi e le vicende legate a Roma
Sotto la direzione di Angelo Secchi, per l’Osservatorio del Collegio Romano si apre un nuovo corso. Innanzi tutto, viene finalmente realizzato un nuovo edificio sulla cupola, mai allestita, della chiesa di S. Ignazio, con locali consoni ai necessari criteri di stabilità; la dotazione strumentale venne poi ulteriormente arricchita con un importante strumento di eccellente qualità: il telescopio equatoriale Merz da 25 cm, acquistato coi fondi dell’eredità familiare dell’assistente di Secchi, P. Paolo Rosa SJ (1825-1874).
Dal punto di vista scientifico, inoltre, Secchi diede un vigoroso impulso alla ricerca, dirigendola verso le frontiere della nascente astrofisica, dove si aprivano nuovi campi di applicazione della fisica alla ricerca astronomica, tramite l’applicazione della spettroscopia e della fotografia.
Il nome di Angelo Secchi è oggi uno dei più conosciuti nella storia dell’astronomia e dell’astrofisica — e non potrebbe essere altrimenti, se si guarda l’immensa mole dei suoi contributi scientifici, per numero e valore, che spaziano dalla fisica solare alla classificazione spettrale delle stelle, dalla meteorologia al magnetismo terrestre. I suoi numerosi e celebri trattati si possono considerare dei capisaldi della fisica e dell’astronomia ottocentesca.
Secchi è inoltre, senza dubbio, una delle figure più interessanti della storia dell’intreccio tra ricerca scientifica e pensiero religioso, un personaggio che ha pagato di persona per gli estremismi opposti tra cui fu lacerato quel delicato periodo storico. Secchi si trovò infatti a vivere in un tempo che vide il consolidamento di una forte componente anticlericale di natura politica e ideologica nella società e, al tempo stesso, di una corrente di fanatismo oscurantista e strettamente apologetico nella Chiesa. Attaccato da entrambi i fronti, e pur nell’amarezza di doversi spesso discolpare, Secchi appare comunque un personaggio di forte carattere e di grande libertà di coscienza, animato da un sincero amore per la scienza e la verità, che mai mise in contrasto. Per la sua alta reputazione scientifica, dopo la risoluzione della questione romana, il Governo unitario gli offrì una cattedra di astrofisica alla Sapienza, cui egli dovette rinunciare in obbedienza ai superiori: involontariamente, era diventato una pedina politica nel grande gioco delle tensioni diplomatiche fra Santa Sede e Governo italiano, e questo danneggiò non poco la sua attività scientifica. Solo l’opposizione dell’opinione pubblica internazionale impedì la confisca dell’Osservatorio del Collegio Romano da parte del Governo italiano, che lo lasciò alla direzione dell’Osservatorio e rinviò l’operazione di esproprio per rispetto verso i suoi meriti scientifici. Certamente, non era una posizione facile dirigere un Osservatorio in transizione, che non era più pontificio e non era ancora governativo… Gli ultimi anni di lavoro di Secchi furono perciò fortemente amareggiati da comprensibili ristrettezze economiche. Quell’Osservatorio non era di nessuno — o meglio, era il “suo” osservatorio, l’osservatorio di Secchi. Egli fu quindi costretto a metter mano a fondi personali per curarne la manutenzione, rimettendoci di tasca propria, con i conseguenti limiti di una tale situazione, alla quale la cordiale amicizia col Papa, di cui egli godeva, poteva dare conforto ma non certo rimedio.
Secchi morirà neppure sessantenne, lasciando un’eredità scientifica senza pari e un Osservatorio che verrà immediatamente incamerato dal Governo italiano, più a titolo simbolico che per un effettivo interesse scientifico. Per impedirne la chiusura, infatti, fu annesso all’Ufficio Centrale di Meteorologia — un modo originale per non gravare ulteriormente sui fondi del Ministero della Istruzione Pubblica, che già doveva mantenere una decina di altri Osservatori astronomici sparsi sul territorio nazionale, visto l’esito inefficiente dei tentativi di riforma messi in atto nel triennio 1874-76.
La storia dell’Osservatorio dell’Archiginnasio al Campidoglio
Il Collegio Romano non fu il solo Osservatorio pontificio ad essere confiscato dal Governo italiano: prima ancora di questo, infatti, con la risoluzione militare e politica della questione romana nel 1870, era stato incamerato il terzo Osservatorio pontificio in ordine di fondazione, ovvero l’Osservatorio pontificio dell’Università di Roma (o Archiginnasio Romano) al Campidoglio. Fondato nel 1827 sotto Leone XII su una delle torri del palazzo Senatorio, l’Osservatorio del Campidoglio inizialmente era un locale privo di cupola, nel quale l’abate Feliciano Scarpellini (1762-1840) custodiva gli strumenti che poi utilizzava sul terrazzo. La specola conobbe quindi un periodo di abbandono, intercorso tra la morte di Scarpellini nel 1840 e l’effettiva assunzione della direzione dell’Osservatorio da parte del suo successore, il sacerdote Ignazio Calandrelli (1792-1866), nipote del già menzionato Giuseppe, nel 1848. Ignazio Calandrelli era già un astronomo esperto: nel 1838 gli era stata affidata la cattedra di astronomia e ottica presso l’Università di Roma e da tre anni era direttore dell’Osservatorio di Bologna. Trovando la specola in condizioni di grave declino, Calandrelli sollecitò Pio IX a provvedere alla costruzione di un osservatorio moderno e fornito di strumenti adeguati. Nel 1853 l’Osservatorio del Campidoglio venne così completamente rifondato e dotato di cupola mobile, per alloggiare dei pregevoli strumenti: un cerchio meridiano di Ertel — che Calandrelli acquistò a sue spese — e un telescopio equatoriale di Merz da 12 cm, donato dal marchese Giuseppe Ferrajoli.
Se a partire da quegli anni l’Osservatorio del Collegio Romano si sarebbe distinto per le sue moderne ricerche di astrofisica, quello del Campidoglio mantenne invece sempre una forte connotazione tradizionale, occupandosi principalmente di astrometria, calcolo di effemeridi, astronomia planetaria, moti propri, ecc. almeno fino all’arrivo di Lorenzo Respighi (1824-1889), già successore di Calandrelli a Bologna, che gli subentrerà nella cattedra universitaria e nella direzione dell’Osservatorio nel 1865. Respighi introdurrà infatti la ricerca astrofisica all’Osservatorio del Campidoglio, dando luogo ad un interessante confronto scientifico — a volte non privo di competizione — con gli astronomi del Collegio Romano.
Trattando di Respighi, parliamo finalmente di un laico alla direzione di un Osservatorio pontificio — fatto certamente unico, in quel preciso contesto storico-politico e culturale. Un laico che, tuttavia, era stato ritenuto aver dato prova di fedeltà alla Chiesa, essendosi rifiutato nel 1865, all’indomani dell’Unità d’Italia, di prestare giuramento al Governo sabaudo come Direttore dell’Osservatorio di Bologna — un ruolo che ricopriva già dal 1855. Una scelta che gli costò la destituzione dall’incarico e la conseguente offerta della direzione dell’Osservatorio capitolino, ancora in territorio pontificio. All’atto della confisca dell’Osservatorio del Campidoglio da parte del Governo italiano nel 1870, Respighi fu finalmente dispensato dall’obbligo del giuramento di fedeltà allo Stato italiano e potè quindi mantenere la direzione dell’Osservatorio fino alla sua morte, avvenuta nel 1889.
Osservazioni conclusive
Questo breve excursus si è posto come obiettivo quello di riassumere il contributo istituzionale e personale che la Chiesa Cattolica ha dato alla promozione a all’organizzazione della ricerca astronomica in Italia, attraverso la fondazione di numerosi osservatori astronomici. Rimane ancora molto da dire, sul contributo dato allo sviluppo del pensiero scientifico, alle conoscenze teoriche, alle tecniche applicate in vari e diversi campi della scienza, non solo dell’astronomia. Ma il rapporto tra astronomia e fede religiosa — nonché tra astronomia e Chiesa — è talmente significativo da essere quasi prioritario. Inoltre, esso è talmente intrecciato dal punto di vista storico e culturale, che provare a ripercorrerlo senza pregiudizi è un’operazione delicata e non facile.
Se tuttavia, come abbiamo visto, la creazione del primo osservatorio pubblico in Italia a Bologna si deve alla Chiesa, certamente essa riconobbe l’importanza ed utilità degli osservatori astronomici promuovendone la fondazione e il mantenimento, non già perché si trattasse di luoghi ove coltivare una scienza “nemica” della fede — sarebbe stato troppo rischioso — quanto piuttosto per approfondire la conoscenza della creazione, a lode del Creatore. In fondo, nell’istituire degli osservatori astronomici, la Chiesa ha fatto, per così dire, un profondo atto di fede verso la scienza — e verso la compatibilità dei suoi percorsi con i percorsi della fede.
Spunti bibliografici:
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