da: Juan Manuel González-Cremona, Verso la Beatificazione di Antoni Gaudì. Dal 1992, Associació pro Beatificació d’Antoni Gaudí, Barcellona 2012, pp. 22-25
Se abbiamo deciso di dare importanza a questa passione adolescenziale dell’architetto è perché in essa sono evidenti i tre amori di Gaudí: Dio, l’architettura e la natura.
Si è detto, e chi scrive può garantire personalmente, che una lunga malattia infantile segna tutta la vita.
Gaudí, a causa della febbre reumatica, passò lunghi periodi a Mas de la Calderera, tra molte ora a letto e molte ore facendo brevi passeggiate in sella ad un asinello, in quanto la sua malattia non gli permetteva di camminare.
Gli occhi e la mente però rimasero sempre aperti potendo così contemplare, ammirare e amare la natura che lo circondava.
Natura mediterranea, ulivi dai tronchi intricati, fragranti ginestre, fiori estivi e nebbie invernali. Forme ondulate, assenza di angoli retti. Sole di giustizia e temporali che arrivano senza preavviso. Così è la Campagna di Tarragona e così sono i suoi abitanti: caldi e precipitosi allo stesso tempo. “Gent del Camp, gent del llamp” (Gente del campo, gente del fulmine), dice la frase che fa riferimento al carattere degli abitanti del luogo, pronti a esplosioni intense ma brevi. Gaudí fece onore a questa frase anche se fu sempre più preoccupato per la brevità che per l’intensità.
I sintomi della malattia infantile non l’abbandonarono durante tutta la vita, senza impedirgli però di realizzarla pienamente, così come non l’abbandonarono mai quei panorami pomeridiani dell’infanzia.
Si spiega così il fatto che mentre studiava a Barcellona Gaudí si univa sempre a gruppi di escursionisti che a quei tempi, e tutt’oggi, proliferavano in Catalogna.
Il movimento di recupero della memoria storica catalana che prese il nome di Renaixença, di cui abbiamo parlato brevemente, fu un punto di svolta della vita barcellonese, specialmente tra i giovani universitari.
Smentendo una volta per tutte le voci secondo cui Gaudí non era fatto per le amicizie ed era addirittura chiuso nella sua timidezza, sappiamo che egli passò la sua gioventù tra gruppi di amici e molteplici attività culturali e ludiche. In età adulta la salute lo obbligò a dosare le uscite ma non rinunciò mai alle camminate e agli appuntamenti con gli amici.
In quei primi anni di vita barcellonese le sue attività furono molteplici e intense. Frequentatore assiduo dell’Ateneo, la cui sede era allora e anche oggi un palazzo Gotico, partecipò attivamente a incontri letterari, filosofici e addirittura scientifici, proprio perché la sua curiosità non aveva limiti. Non era un oratore e pertanto interveniva raramente ma quando lo faceva i suoi interventi erano sempre concreti e fondati e, nonostante i suoi vent’anni e poco più, le sue opinioni erano sempre ascoltate con attenzione e con rispetto da professori e cattedratici.
Gli intellettuali che si riunivano in quei luoghi erano divisi in due gruppi “amichevolmente irriconciliabili”: gli amici dello status quo e coloro che volevano un rinnovo immediato. Gaudí stava dalla parte di questi ultimi.
Come omaggio a quegli intellettuali dell’Ateneo non possiamo non dire, prendendo spunto da Joan Matamala, che fu proprio in quei saloni ove Marcelino Menéndez y Pelayo pronunciò la sua prima conferenza pubblica. Un fatto importante già di per sé ma che acquisisce maggior importanza se si tiene conto che il grande scrittore aveva solo 17 anni.
Già a quei tempi Gaudí amava la musica e questo amore non lo abbandonerà durante tutta la vita. In quegli anni l’Europa scopriva Wagner e a Barcellona questo avvenne grazie a José Anselmo Clavé, musicista e maestro. La grandezza impressionante e a volte travolgente della musica del genio tedesco doveva calare molto a fondo nel futuro costruttore di impressionanti e travolgenti opere, e così fu.
La Rinascenza catalana voleva essere –e in gran parte ci riuscì– un movimento totale. Perché un paese rinasca deve essere amato da coloro che lo abitano e ciò che non si conosce lo si può amare solo in parte. Fu così che assieme alla letteratura, dibattiti e musica, i rinascentisti vollero conoscere meglio e di più la loro Catalogna.
Nel 1876 venne istituita la Associació Catalanista d’Excursions Científiques (Associazione Catalanista d’Escursioni Scientifiche), e poco più tardi la Associació d’Excursions Catalana (Associazione Catalana di Escursioni), e Gaudí aderì con entusiasmo a entrambe.
Queste attività non gli risultavano strane in quanto, come abbiamo detto, fu sempre un grande contemplatore della natura e delle opere che l’uomo aveva realizzato nel suo seno.
A Reus passava lunghe ore nella chiesa gotica di San Pietro, così come in quelle di San Francesco e del Sangue Purissimo e nel Santuario della Vergine della Misericordia. Partecipò a moltissimi pellegrinaggi diretti a quest’ultimo Santuario. Conosceva bene la vita all’aria aperta così che poté dedicarsi con entusiasmo al nascente escursionismo catalano. Da quanto ci riferisce Bassegoda Nonell Gaudí si associò nel 1879 all’Associazione Catalanista d’Escursioni Scientifiche e poco più tardi partecipò ad un’escursione a Granollers, con l’obiettivo di studiare una restaurazione della chiesa parrocchiale di Santo Stefano.
Nel gennaio del 1880 visitarono la Mansione Torre Rodona, presso Les Corts de Sarrià, che era stata restaurata dal proprietario, il Sig. Eusebio Güell. In quello stesso anno l’istituzione festeggiava i suoi quattro anni di esistenza e a Gaudí venne chiesta la decorazione del salone dell’incontro. Gaudí subito pensò ai capitelli corinzi delle quattro colonne del tempio romano sulle cui rovine era stato costruito il palazzo (calle del Paradís, 10, Barcellona), e furono così fonte di ispirazione per il genio che stupì amici e sconosciuti con le ghirlande di fiori e rami d’edera che collocò attorno ai capitelli, e un baldacchino posizionato sulla parete frontale con scritto: "Passato, Patria e Futuro”. Una dichiarazione, insomma, di principi. E di fini.
Nel 1882 partecipò attivamente ad un’escursione molto ambiziosa.
L’obiettivo principale era Santa María del Poblet ma si prospettava un’escursione del tutto particolare. Si trattava di una visita notturna con un’illuminazione sui generis. Gaudí e il pittore valenciano Brel si incaricarono dell’escursione, sorprendendo e deliziando gli spettatori tra i quali appariva Monsignor Jacinto Verdaguer, immortale autore de L’Atlantide e Canigó. Improvvisamente cominciarono a cadere grossi petardi e bengala all’interno del tempio vuoto e in rovina, creando effetti di grande luminosità e bellezza. Più tardi furono organizzate delle fiaccolate lungo i corridoi spettrali. L’atto si concluse con il canto del Salve Regina, che, grazie ai muri in parte demoliti, dovette suonare con speciale grandiosità e con effetti di voci moltiplicate centinaia di volte.
Ci fu anche un’escursione al Rosellón –nel sud della Francia– e, nel 1889 ci fu l’ultima alla quale Gaudí partecipò, a Sant Feliu de Guíxols dove visitarono mona- steri e monumenti megalitici.
Monasteri e pietre. Dio e architettura. Le due costanti gaudiniane. Come abbiamo detto Gaudí arrivò a Barcellona nel 1868 per terminare i suoi studi superiori e cominciare l’università. A Barcellona visse inizialmente nel quartiere della Ribera, poi in quello di San Pedro con il fratello Francisco, di un anno più grande, con il quale era legato da un affetto speciale e che si trovava a Barcellona per studiare medicina.
Abbiamo già parlato delle difficoltà accademiche del futuro genio dell’architettura. Accenniamo ora ad un fatto terribile che alterò la sua giovinezza: nel 1872 Francisco, poco dopo aver ottenuto il titolo di medico, morì. E non fu l’unica morte: di lì a poco anche la madre lasciava questo mondo, di certo vinta da tanto dolore. A soli vent’anni Antoni aveva perso la madre e tre dei suoi fratelli. Pochi anni dopo, nel 1879, muore Rosa, la sorella maggiore, lasciando un marito e una figlia piccola, Rosita.
Così tante e ravvicinate morti non potevano non avere effetti su una personalità che si formava. Gaudí convisse con la morte sin dalla nascita, tuttavia il dolore fu sempre governato dall’assoluta certezza che la morte non era l’ultima parola, al contrario era l’inizio.
Non è dunque esagerato affermare che la sua opera fu il tentativo di unire il cielo e la terra. Non è neanche esagerato affermare che in buona parte ci riuscì.