Biologo, genetista, tra i padri fondatori della sintesi moderna in biologia evoluzionista, Theodosius Dobzhansky è ricordato principalmente per il prezioso contributo che le sue ricerche hanno apportato alla comprensione dei meccanismi dell’evoluzione biologica. Meno note, invece, restano le sue riflessioni sugli aspetti umanistici, sociali e religiosi.
La grande ricchezza e l’originalità della sua riflessione derivano anche dall’aver ampliato l’orizzonte dei suoi studi, ponendosi domande lontane dal suo primario campo di specializzazione. Oltre all’aspetto scientifico della vita, egli volle prendere in considerazione una dimensione capace di guardare ai fondamenti del conoscere, e che allo stesso tempo supera e trascende l’uomo, giungendo ad interrogarsi su ciò che pone in moto la vita e ne custodisce il senso ultimo.
Cristiano ortodosso, di origine ucraina ma naturalizzato statunitense, partendo dalle sue ricerche scientifiche non ha disatteso domande di ordine filosofico e religioso: «È sbagliato ritenere che creazione de evoluzione siano due alternative che si escludono a vicenda. Io sono un sostenitore della creazione ed un sostenitore dell'evoluzione. L'evoluzione è il metodo impiegato da Dio o dalla Natura per creare. La creazione non è un evento che accadde nel 4004 a.C.; è un processo che cominciò circa 10 miliardi di anni fa ed è tuttora in corso» (Nothing in biology makes sense except in the light of evolution, «American Biology Teacher» 35 [1973]).
Un pregevole esempio di produzione interdisciplinare ed un maturo tentativo di sintesi tra sapere scientifico, filosofia e religione è il suo volume The Biology of Ultimate Concern pubblicato nel 1967. A questo contributo Dobzhansky, nato nel 1900, giunge all’età di 67 anni, dopo lunghi decenni di studio in laboratorio, cominciati in Russia e terminati negli Stati Uniti, Paese nel quale ha svolto la maggior parte delle sue importanti ricerche.
Theodosius Dobzhansky si laurea in biologia all’Università di Kiev, dove rimane fino al 1924 per spostarsi poi a San Pietroburgo come assistente di genetica. In questo periodo lavora sugli effetti pleiotropici (il fatto che un singolo gene può influenzare più tratti fenotipici distinti tra loro) nello sviluppo delle parti del corpo nei mutanti di Drosophila (il moscerino della frutta). Pian piano, i suoi interessi cominciano a passare dalla sistematica zoologica alla genetica evoluzionista. Nel 1927, attraverso la Rockfeller Fundation, raggiunge gli Stati Uniti aggregandosi al gruppo di ricerca di T.H. Morgan, una delle scuole di genetica più importanti dell’epoca. Sono anni di grande studio e ricerca, in cui ottiene i suoi risultati sperimentali più rilevanti. Nel 1928 approda con Morgan al California Institute of Technology, l’anno successivo viene nominato assistente e nel 1936 professore di genetica. Nel 1940 torna alla Columbia University come professore di zoologia. Nel 1941 è eletto presidente dell’American Genetic Association e nel 1963 presidente dell’American Society of Zoologists. Dobzhansky continua a ricevere incarichi e riconoscimenti: tra il 1962 e il 1972 insegna presso il Rockfeller Institute di New York per poi trasferirsi presso l’università della California a Davis e, nel 1964, riceve la “National Medal of Science”. È stato, inoltre, membro della National Academy of Sciences, della Royal Society e, in Italia, dell’Accademia Nazionale dei Lincei.
Si contraddistingue ulteriormente per aver portato nelle ricerche di genetica la sua esperienza di naturalista sul campo e le sue competenze di biologo anatomista. Dal laboratorio di Morgan provengono i primi risultati, che lo accompagneranno per più di trenta anni di ricerca. Di questo periodo è la produzione della prima prova citologica della disposizione lineare dei geni sui cromosomi, con cui si mostra come le inversioni cromosomiche interferiscano negativamente con il crossing-over (ricombinazione di materiale genetico durante la produzione dei gameti). La combinazione delle osservazioni genetico-citologiche conduce Dobzhansky al tentativo di definire i meccanismi di isolamento geografico tra “specie sorelle”. In particolare, le inversioni cromosomiche, rinvenute in molte popolazioni naturali, vengono poi ultilizzate dallo stesso Dobzhansky per ricostruitre l’evoluzione dell’organizzazione cromosomica sia intra- che inter-specifica.
Scrittore estremamente fecondo, ci ha lasciato numerosi saggi e testi, alcuni dei quali sono ricordati ancora oggi come opere fondamentali del panorama scientifico. Capace di spaziare dalle tematiche di genetica tecnica alla divulgazione scientifica, ai saggi di natura umanistico-filosofica, i suoi testi si sono sempre distinti per l’originalità dell’idee e la ricchezza delle argomentazioni.
Nel 1937 pubblica la sua opera più famosa, considerata una pietra miliare della scienza del Novecento, Genetics and Origin of Species (New York: Columbia University Press, 1937). Questo testo è ricordato perché riassume trentacinque anni di studi genetici nei laboratori di tutto il mondo e per aver accolto il sistema di analisi teorico-statistica di R.A. Fisher e la teoria formulata da J.B.S. Haldane e S. Wright. Con quest’opera Dobzhansky presenta la forte connessione esistente tra la genetica di tipo mendeliano e la teoria evolutiva di Darwin, incrementando la comprensione teorico-sperimentale del meccanismo delle mutazioni genetiche. Buona parte delle argomentazioni presentate nel libro sono basate sugli esperimenti condotti dallo stesso Dobzhansky sulla Drosophila pseudoobscura, nei i quali affiancò studi controllati in condizioni di laboratorio a studi sul campo in varie regioni dell'America meridionale e centrale, e nelle foreste dell'Amazzonia.
Studi successivi sulle modificazioni stagionali della Drosophila pseudoobscura portarono Dobzhansky a sfatare l’idea che le mutazioni avvengano solo su scala plurisecolare o millenaria, concludendo che la singola specie è soggetta a continue variazioni sotto la pressione della selezione imposta dal mutamento delle condizioni ambientali e, in particolar modo negli organismi più elementari, le mutazioni possono essere visibili nell’arco di anni, mesi o persino giorni.
Le riflessioni sulla genetica e l’origine delle specie costituiscono un momento fondamentale per il pensiero dell’autore che, alla ricerca di una sintesi sentita sempre più come indispensabile in mezzo alla frantumazione del sapere scientifico, pone le fondamenta alle sue future analisi filosofiche sulla natura umana.
In quest’ottica si inseriscono The Biological Basis of Human Freedom (1956) e Mankind Evolving: The Evolution of Human Species (New Haven: Yale University Press, 1962), testi di natura filosofica sulle ricerche sperimentali di genetica umana. Questi saggi, il secondo principalmente, si caratterizzano per l’apertura a una riflessione interdisciplinare in cui convivono l’interconnessione tra genetica mendeliana ed evoluzionismo darwiniano con considerazioni sulla coscienza di sé e sull’etica. Questa interdisciplinarità permette l’attuazione di una vasta sintesi tra sociologia, genetica, evoluzionismo ed antropologia, che pone le basi filosofiche per la comprensione della natura umana come risultato delle interrelazioni tra aspetti biologici ed aspetti culturali. La riflessione sull’origine dell’uomo e sulla sua natura non si arresta e, mentre continua a portare avanti i suoi studi nei laboratori delle università americane, Dobzhansky si dimostra scienziato capace di alzare l’occhio dal microscopio per porsi ancora nuove domande sull’uomo, definito come «la più misteriosa delle esperienze» (Nothing in biology makes sense except in the light of evolution). A trent’anni dalla pubblicazione di Genetics and Origin of Species l’autore torna a proporre una riflessione sulla genetica e le origini, ma con un nuovo protagonista: l’umanità e la sua evoluzione che si attua in un universo antropocentrico in cui la scienza da sola non basta a offrire un credo (o una “visione del mondo”) coerente.
Nasce così The Biology of Ultimate Concern (New York: New American Library, 1967), il tentativo di esplorare l’intreccio fra evoluzione biologica e culturale, con particolare riferimento alla nascita della religione. In quest’opera il biologo si specchia ritrovando l’immagine di un uomo che molto sa della biologia umana ma che, parallelamente, fatica a conoscere la natura intima e misteriosa di sé stesso. Quindi, come sempre è stato nel suo stile di indagine, l’autore tenta una nuova sintesi chiamando in causa la scienza, la biologia, l’evoluzionismo e la religione. L’ingresso della teologia tra i campi del sapere esplorati viene spiegata a chiare lettere nel testo: «L'uomo moderno deve guardare al di là delle pure e semplici gioie biologiche della sopravvivenza e della procreazione. Egli necessita di una sintesi religiosa. Questa sintesi non può nascere semplicemente da una rivalutazione delle religioni esistenti, né deve essere necessariamente una religione nuova. La sintesi può essere fondata su una delle grandi religioni del mondo, o sulla totalità di esse. La mia educazione e la mia cultura mi hanno spinto a inquadrare la mia sintesi nel Cristianesimo» (p. 109).
Secondo l’Autore la grandezza dell’uomo sta nella sua capacità di porsi le “grandi domande”, capacità generata da un processo dinamico: la sapienza umana, frutto dell’autocoscienza, genera coscienza di sé, questo fa sì che l’uomo si riconosca in mezzo agli altri raggiungendo la condizione di persona, facendo quindi esperienza della libertà che lo porta alla conoscenza del bene e del male, conoscenza che, inevitabilmente, lo induce a porsi le “grandi domande”. Il significato dell’esistenza, del mondo o della vita necessitano spiegazioni che la scienza, così come la metafisica, da sole non possono dare. Per questo, in sisntonia con il teologo statunitense Paul Tillich, subentra la dimensione religiosa, quella indicata come la sola capace di incarnare «la dimensione della profondità nella totalità dello spirito umano» perché «la religione si interessa a ciò che vi è di assoluto, di infinito e incondizionato nella vita spirituale dell’uomo». In questo quadro, la natura umana non può essere vista come qualcosa di statico e definito, ma diviene un processo in evoluzione che, riprendendo ancora Tillich, deve puntare verso l’assoluto, ovvero l’essenza della religione. Si arriva così alla sintesi, complessa e originale, coraggiosa quanto “spericolata”, tra fede e biologia evoluzionista.
Dobzhansky professandosi credente e considerando la creazione un processo ancora in atto fa sue le tesi di Teilhard de Chardin, arrivando a leggere il processo evolutivo entro una sfera religiosa. Pensiero che può essere sintetizzato nella frase contenuta nell’ultimo capitolo del libro: «La creazione non è un evento appartenente ad un lontano passato ma un processo tuttora in corso». Tornando sul rapporto tra evoluzione e creazione Dobzhansky specifica ancora: «Fra le grandi religioni il Cristianesimo è quella più impostata storicisticamente e quindi può essere definita evoluzionistica. […] Il mondo ha avuto un inizio e avrà una fine. Ad un certo punto nella storia dell’uomo si manifestò un evento di enorme importanza: Dio assunse sembianze umane e visse tra gli uomini» (p. 37).
Nel 1970 pubblica una nuova opera scientifica, Genetics of the Evolutionary Process (New York: Columbia University Press, 1970), con cui ripercorre trentatré anni di lavori sulla sintesi moderna della teoria dell’evoluzione. Solo due anni prima, nel 1968 gli viene diagnosticata la leucemia ma, nonostante il progredire della malattia e la perdita della moglie, si ritira dall’insegnamento solo nel 1971, ricevendo la nomina di Professore Emerito presso l’Università della California a Davis. Due anni prima di morire, nel 1973, pubblica uno dei suoi saggi più citati, Nothing in biology makes sense except in the light of evolution, in cui consegna le ultime riflessioni sul rapporto fra creazione ed evoluzione. Muore il 18 dicembre 1975.
Bibliografia:
T. DOBZHANSKY, The Biology of Ultimate Concern The New American Library, New York 1967.
G. DRAGONI, S. BERGIA, G. GOTTARDI (a cura di), Dobzhansky, Theodosius, in Dizionario biografico degli scienziati e dei tecnici, Zanichelli, Bologna 1999, pp. 434-435.