Xavier Le Pichon è geologo di fama internazionale, membro del Collège de France e massimo esperto di Tettonica delle Placche. Volume davvero unico il suo, a motivo della capacità di coniugare un’attenta documentazione scientifica circa il cammino evolutivo della vita e dell’essere umano, con una riflessione di carattere filosofico ed esistenziale circa il senso e il significato di questo medesimo cammino evolutivo. Tale riflessione non è per nulla sovrapposta né didascalica, ma interpreta ad un livello di comprensione più profondo, tipico di una originale filosofia della natura, gli snodi principali dell’evoluzione: dal comparire della riproduzione sessuata al bipedismo, dagli eventi catastrofici che avvengono in natura al rapporto fra vita e morte, dalla crescente encefalizzazione al rapporto dei mammiferi con la prole. Al ripercorrere con grande maestria e capacità di sintesi l’evoluzione della vita e poi della specie umana, l’A. si sofferma in particolare sugli elementi che hanno caratterizzato la specificità dell’uomo rispetto al resto degli animali, e che in certo modo l’hanno preparata. Sono in particolare due i “poli” che l’A. segnala come snodi essenziali.
In primo luogo, lo sviluppo del “polo della piccolezza” che obbliga i mammiferi prima e gli esseri umani poi, a farsi carico della cura dei piccoli, innescando la comparsa di una originale serie di comportamenti e di funzioni. Qui l’A., ben conscio della problematicità della nozione di “finalismo” in biologia e paleontologia, tagliando corto sul problema teorico sostiene però – con certa “efficace delicatezza” – che l’essere umano si colloca evidentemente all’apice di quel trend evolutivo che vede i mammiferi investire moltissimo sulla cura della prole.
In secondo luogo, c’è poi lo sviluppo del “polo della sofferenza e della morte”, la cui consapevolezza avvia verso lo specificamente umano. La sofferenza, di cui non si teme di affondare le radici nella logica della generazione sessuata, della sensibilità fisica, della condivisione e della relazione, e infine dell’amore, viene riscattata dalla sua assimilazione al dolore e alla morte quali poli negativi della vita, per essere invece letta quale fattore di autentica umanizzazione. È stata proprio la domanda sulla sofferenza – domanda che l’A. si è posto a livello personale, decidendo di vivere dal 1976, insieme alla sua famiglia, in una delle comunità dell’Arca, fondata da Jean Vanier per assistere persone portatrici di handicap – a suscitare e a guidare l’originale lettura della storia cosmico-naturale proposta nel volume. «Non ho cercato – afferma l’A. nell’Introduzione – di rifare un’altra storia della terra e della vita; ne esistono di ottime. Ho tentato di situare la sofferenza e la morte nella cornice di un’evoluzione continua, in cui la vita nasce, si adatta e si organizza in ecosistemi in funzione dell’ambiente e, in particolare, mi sono interrogato sul ruolo della sofferenza e della morte nelle società umane. Negli animali il dolore è un segnale di allarme, un modo di sapere che c’è qualcosa che non va, per esempio che un membro è colpito. Nell’uomo si passa ad un secondo stadio: il dolore funge sempre da segnale d’allarme, ma vi si aggiunge una sofferenza di secondo grado […]. Questa sofferenza, definita psicologica, che è nel nostro spirito e che può non avere cause fisiologiche dirette, è il centro della mia riflessione. […] La tesi che io sostengo è che la sofferenza e la morte, vissute spesso come maledizioni, hanno svolto un ruolo superiore nel cambiamento misterioso che ha fatto dell’animale un uomo» (pp. 13-14, 18).
Interessante, infine, notare due passaggi che seguono – concettualmente oltre che cronologicamente – lo sviluppo dei due “poli” che incardinano il libro. Il primo è una assai lucida affermazione circa l’importanza, nella storia recente di Homo sapiens di quella che oggi sempre più è detta evoluzione culturale. L’A. sottolinea come il cammino degli ultimi diecimila anni di storia umana sia un cammino di progressivo ma rapido distacco dalle condizioni che avevano plasmato l’evoluzione umana nei milioni di anni precedenti, lasciando che la «vera natura» dell’uomo emergesse dalla sue radici (pp. 55-56). Il secondo è costituito dalla sottolineatura che questo cammino di distacco dalle condizioni precedenti è parallelamente un cammino di progressiva presa di coscienza di sé che ha un momento culminante, secondo l’A., nella Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo del 1948 (pp. 153-54). Non si può non notare il robusto filo rosso che parte dal polo della piccolezza, passa per quello della sofferenza e arriva al riconoscimento della inviolabile dignità della persona umana.
Il libro può essere letto con profitto da chiunque, ma è particolarmente consigliato a coloro i quali, proveniendo da un ambiente scientifico, si confrontano spesso con il problema del male fisico e a partire da questo si interrogano sul senso della vita e sul ruolo di un Creatore. È un libro che aiuta a riflettere ed è in grado di suscitare interrogativi esistenziali profondi, a partire dalle scienze della vita.