Questo breve saggio (titolo originale: Truth and Beauty. Aesthetics and Motivations in Science, 1987), nonostante il titolo italiano, è dedicato principalmente alle motivazioni che spingono uno scienziato a dedicarsi all’attività di ricerca, tra le quali determinante è appunto la ricerca della bellezza nella scienza e il suo significato. L’altro grande tema affrontato dall’A. è la differenza tra i modelli di creatività dell’artista e dello scienziato, nel contesto del quale egli difende l’esistenza di una creatività del ricercatore, necessaria al suo stesso fare ricerca. Il saggio si rivolge principalmente ad un pubblico composto da colleghi scienziati, ma dato l’argomento e il tono è più che accessibile ai filosofi e agli umanisti e, più in generale, ad un pubblico interessato ma non specialista. Il testo, in questa edizione non integrale preceduto dalla presentazione di Margherita Hack, è diviso in una Prefazione seguita da quattro capitoli, ciascuno dei quali era in origine una conferenza dell’autore, redatte però in tempi diversi (I: Lo scienziato, 1947; II: L’attività scientifica: le sue motivazioni, 1985; III: Shakespeare, Newton e Beethoven, ovvero modelli di creatività, 1975; IV: La bellezza e la ricerca della bellezza nella scienza, 1979).
L’autore, Subrahmnyan Chandrasekar (Lahore 1910 – Chicago 1995), astrofisico trasferitosi negli Stati Uniti e noto soprattutto per i suoi studi sull’evoluzione stellare, ha vinto il Nobel per la fisica (1983) con le sue ricerche sulla termodinamica delle stelle «nane bianche», la Medaglia Bruce (1952) e numerosi altri premi internazionali.
Giacché la prima conferenza è di molto antecedente alle altre, quando – nelle sue stesse parole – l’A. era un giovane scienziato che attribuiva ancora scarsa importanza alle motivazioni che spingevano alla ricerca scientifica, queste possono essere un’occasione di esaminare da vicino l’evoluzione del pensiero e degli atteggiamenti di uno scienziato. In questo primo testo, l’A. riteneva che il motivo principale alla base del lavoro dello scienziato fosse la «sistematizzazione»; solo in tal modo si potesse condurre una vita scientifica corretta e perseguire i valori scientifici. Allo stesso tempo, egli rifiutava l’idea che lo scienziato agisca per utile, cioè ad es. per accrescere le comodità della vita quotidiana (p. 37) e che debba sempre integrare i suoi sforzi con i bisogni e le urgenze sociali del suo tempo, questione che sembra acquisita anche nel suo pensiero successivo. Si noti che fu il coinvolgimento in alcuni aspetti matematici della teoria della relatività a rafforzare il suo interesse per gli aspetti estetici.
Nelle conferenze successive, l’A. ci fa intendere che esistono motivazioni estetiche nel perseguire la scienza e si chiede anche se oltre ai criteri estetici ce ne siano di personali. Negli scienziati maturi, ad esempio, emerge anche un senso di obbligo nei confronti della scienza stessa. È interessante notare che egli è convinto, sebbene non ne sappia i motivi, facendo riferimento ad una frase di Michelson, che il divertimento abbia una parte essenziale nell’attività scientifica.
Quanto alla discussione dei modelli di creatività, nella terza conferenza la sua riflessione, nella consapevolezza però che sarebbero necessarie ricerche molto più approfondite per ottenere delle conclusioni certe, prende le mosse da un breve esame dei modelli di creazione di Shakespeare, Newton e Beethoven, riconoscendo una forte somiglianza tra il primo e l’ultimo, ma un forte contrasto tra questi e quello newtoniano. Pur non entrando direttamente nei motivi della differenza, egli offre degli spunti attraverso le citazioni di letterati e scienziati di primo livello, auspicando un atteggiamento non oppositivo tra gli uni e gli altri.
Tuttavia, forse è il rapporto tra verità e bellezza la questione più viva e interessante del saggio. L’A. sostiene, ad esempio, che il profondo rapporto tra intelligibile e bello indicato da Pitagora è una delle grandi scoperte dell’umanità. «Quel che è intelligibile è anche bello» (p. 106). Soprattutto, la bellezza, nelle scienze fisico-matematiche, diviene riconoscibile ancor prima di essere intesa nei particolari e dimostrata razionalmente: talvolta una teoria bella ma non ancora pienamente accettabile, si rivela poi vera, una grande intuizione. Per spiegare tale bellezza, egli ricorre a due criteri, che rintraccia anche nella teoria della relatività: eccezionalità nelle proporzioni e appropriata conformità delle parti tra di loro e nei confronti del tutto. Si noti che qualsiasi nuova percezione o fatto a lui non parve mai una sua «scoperta», ma qualcosa che esisteva da sempre e in cui ebbe fortuna di imbattersi (cfr. p. 17).