La macchina vivente è un agile saggio divulgativo sulla storia delle visioni meccanicistiche dell'uomo scritto dal professor Giorgio Israel (1945-2015), che è stato ordinario presso il Dipartimento di Matematica dell’Università di Roma “La Sapienza” e direttore del Centro interdisciplinare di ricerca e di metodologia delle scienza (CIRMS) della stessa Università. L’autore nella premessa spiega l’intento dell’opera: “In questo libro intendiamo fare una passeggiata storica nella metafisica della macchina vivente e mettere in luce le latenze ideologiche che stanno dietro una visione che vuol presentarsi come scientifica e che ha prodotto risultati alquanto modesti sul piano teorico”(p.11). Questa passeggiata storica si sviluppa in 8 capitoli: Creatura e creatore, Il mito del Golem, Da Adamo a Prometeo, Il principio di oggettività e gli “errori” di Cartesio, Immagini della macchina vivente, Macchine e tempo, Il soggetto come oggetto della scienza, Il materialismo metodologico alla prova. Pur riconoscendo le grandi conquiste tecnologiche prodotte dall’idea della macchina vivente, l’autore dimostra con chiarezza e precisione i limiti che questa forma di riduzionismo presenta da un punto di vista conoscitivo. Il libro chiarisce la natura ideologica (non scientifica) della versione attuale del meccanicismo, sulla base della sua incapacità di spiegare da sola la natura e la dinamica dei diversi livelli di organizzazione della vita, e in particolare l'umanità individuale e collettiva degli appartenenti alla nostra specie. Scrive l’autore: "Un sistema sociale non si riduce mai soltanto a un insieme di individui, ma è anche un contesto, e questo è dato in modo almeno parzialmente indipendente dai singoli individui. Oltretutto, questo contesto non è dato una volta per tutte ma evolve nel tempo e in funzione di fattori che non sono tutti contenuti nella definizione del sistema. In altri termini si tratta di un sistema aperto". Attraverso un esame attento dello sviluppo storico della concezione dell’uomo come macchina e delle sue implicazioni, l’autore raggiunge la conclusione che "la migliore difesa della razionalità scientifica passa attraverso l'abbandono di mitologie e fedi riduzionistiche e il recupero di una visione autenticamente umanistica della conoscenza" (p.147).