Questo breve testo del matematico Federico Enriques fu scritto e letto in occasione dell’apertura del IV Congresso Internazionale di Filosofia tenutosi a Bologna nel 1911, che vide la partecipazione di numerosi scienziati, impegnati in varie discipline e filosofi di diverso orientamento. In questo discorso, che suscitò un’aspra polemica con Benedetto Croce, Enriques elogia lo spirito aperto e non dogmatico della scienza, caratterizzata da una ricerca continua di una teoria che possa dare un senso complessivo alla realtà. Sebbene sia legato all’osservazione empirica, lo scienziato non rinuncia allo scopo ideale di soddisfare le esigenze razionali, estetiche e morali innate nell’essere umano. In questo senso, la scienza non perde mai lo spirito di religiosità che anima ogni sforo conoscitivo intrapreso dall’uomo nella comprensione del mondo che lo circonda. Enriques coglie una nuova atmosfera culturale e interpreta lo spirito dell’epoca auspicando un impegno comune rivolto a prendere atto del «rinascimento filosofico nella scienza contemporanea». Invita dunque, tutti i suoi interlocutori a perseguire un obiettivo comune, a lavorare insieme a un programma di ricerca, a superare i «rigidi schemi di un particolarismo scientifico e filosofico».
Enriques infatti avverte più di altri nei primi anni del Novecento «il bisogno di dare una strategia teorica in grado di superare le divisioni fra le varie dimensioni dell'uomo, di comporre soprattutto il conflitto scientifico-religioso in quanto lo sviluppo del pensiero scientifico-filosofico nel suo complesso ci aiuta ad andare alal radice dei problemi e comprendere l'unità di fondo dello spirito umano» (p. 16).
La lettura del brano è preceduta da un’introduzione di Mario Castellana che aiuta a comprenderne il contenuto, commentandolo alla luce del sistema di pensiero di Federigo Enriques e inserendolo nel clima culturale in cui è stato pronunciato. Il discorso, inoltre, è suddiviso in paragrafi che ben sintetizzano i significati in cui il testo si snoda.