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Sulla religione

Charles Babbage
1864

Passaggi dalla vita di uno scienziato

L'autore, noto matematico e fisico britannico, è conosciuto principalmente per la progettazione delle prime macchine calcolatrici in grado di essere programmate. Mentre si trovava in viaggio in Italia, ebbe l'idea di scrivere la sua autobiografia, da cui è tratto questo brano. In queste pagine, tra i racconti dell'infanzia, gli studi e le descrizioni tecniche sulle sue macchine, trova spazio anche la riflessione sulla religione e sulle prove dell'esistenza di un Essere Supremo. Babbage riflette sulle categorie che queste prove gli offrono, analizzandole attentamente e offrendone un commento personale. Tra tutte: prove a priori, prove della Rivelazione e studio delle opere del Creatore, per il matematico, la più evidente è l'ultima.

Esistono tre vie per le quali si determina che un uomo può arrivare alla conoscenza dell'esistenza della divinità: 1) le prove a priori o metafisiche, come quella del dottor Samuel Clarke; 2) dalla rivelazione; 3) l'esaminare l'operato del Creatore.

(1) La prima di queste, le prove a priori, è di una tale natura che può essere compresa solo ad un alto livello di civilizzazione e solo dai più intellettuali. Anche in mezzo a tale classe davvero limitata non piò, come un argomento, guidare un consenso universale.

(2) L'argomento dedotto dalla rivelazione è stato esposto in diversi paesi e da varie differenti forme di fede. Quando viene adottato sinceramente è degno delle più rispettabili analisi. D'altro canto, comunque, può essere sottoposto alle indagini più approfondite. Purché chi crede in ogni forma di rivelazione sostenga ciò per mezzo dell'evidenza o dell'argomento, e soltanto per mezzo di tali mezzi che esso può essere messo in dubbio. Quando, dunque, credenti riconosciuti osano gettare dubbi sulle motivazioni di quegli argomenti che sono incapaci di confutare, e anche, quando, avvalendosi essi stessi delle imperfezioni del linguaggio, essi rivolgono ai loro oppositori epiteti che essi possono difendere in un certo significato ma sanno che sarà interpretato in un altro ­ quando essi parlano di un avversario come di un miscredente, perché, sebbene egli creda nella stessa generale rivelazione, egli dubita dell'accuratezza di certi testi, o crede in una differente interpretazione di altri - quando essi rivolgono il termine infedele, intendendo in questo modo una miscredenza nella loro stessa idea della rivelazione, ma sapendo che ciò sarà ritenuto come una miscredenza nella divinità - allora alla fine è ammesso ricordare loro che essi sono riccamente pagati per il sostegno delle loro stesse dottrine, mentre coloro che essi insultano non hanno simili motivi per influenzare o per ingannare il loro giudizio.

Prima di entrare in questa grande questione è necessario osservare che credere non è un'operazione volontaria. Credere è il risultato dell'influenza con cui una evidenza più o meno prevalente agisce sulla mente umana. Si potrebbe anche osservare da un lato che la parola «rivelazione»assume, come fatto, che esista un essere da cui essa deriva; mentre, d'altro lato, l'esistenza di una divinità è possibile anche senza una rivelazione. La prima questione che ne deriva è il significato della parola rivelazione. Nel suo significato ordinario è detta essere una comunicazione diretta dalla divinità a un singolo essere umano. Il dottor Johnson osserva: «L'ispirazione è quando una trasmissione molto potente di proposizioni è fatta alla mente da Dio stesso, che offre una convincente e indubitabile evidenza della verità e della divinità ». è così ma allora, in quanto tale, non è una rivelazione ad un altro essere umano. Tutti gli altri la ricevono dalle affermazioni della persona a cui la rivelazione fu concessa. Per tutti gli altri la verità dipende interamente dalla testimonianza umana. Ora in un certo senso, lo stesso fatto che tutte le nostre facoltà siano state direttamente date da un essere Supremo può essere detto che siano rivelazioni. Ma non è del tutto chiaro il significato religioso della parola. Nel secondo significato c'è una speciale comunicazione diretta della conoscenza a una o più persone che non è concessa al resto della razza.

Prima che una persona possa ammettere la verità di una rivelazione asserita da un altro, egli deve aver chiaramente stabilito nella propria mente quale evidenza egli richieda per credere in una speciale rivelazione a se stesso.

Ma quando egli comunica questa rivelazione alle creature sue compagne, ciò che può essere in realtà una rivelazione per lui, non è detto che lo sia per loro. Per loro è semplicemente una testimonianza umana, che sono costretti ad esaminare con più precisione per la sua natura eccezionale.

Lasciamo ora supporre che questo credente nella sua speciale rivelazione offra di fare un miracolo in prova della verità della sua dottrina, e anche, in seguito, che egli faccia effettivamente un miracolo.

Coloro che lo testimoniano mostrano di avere in sé assai più evidenza di ispirazione, che non quella della testimonianza del profeta. È per loro evidente, dai loro stessi sensi, che sia stato compiuto un atto contrario alle ordinarie leggi di natura. Ma anche qui il livello di convinzione sarà influenzato dallo stato di conoscenza che lo stesso spettatore di un miracolo possiede circa le leggi della natura a cui egli crede e che ha visto così violate [1]. Se gli si accorda, dunque, la più profonda conoscenza, l'evidenza che influenza la sua mente sarà inferiore a quella che agisce sulla mente dell'ispirato realizzatore del miracolo. Se ci sono diversi testimoni piuttosto che uno solo, pur così qualificato, ciò aumenta in un certo modo l'evidenza, sebbene un gran numero possa non offrire a questa un peso proporzionale.

Sarebbe profano comparare l'evidenza derivata direttamente dall'Onnipotente, che deve essere necessariamente irresistibile, con la testimonianza dell'uomo, che deve essere sempre pesata con cura tenendo in conto lo stato della sua conoscenza, i suoi pregiudizi, i suoi interessi e la sua sincerità. D'altro canto può portare a una confusione senza fine, ed essere distruttivo per tutti i ragionamenti sul tema, l'applicare la stessa parola «rivelazione» a cose differenti per loro natura come: l'immediato atto della divinità, l'impressione prodotta da questo atto nella mente di una persona ispirata, la descrizione di ciò data da lui nella lingua della popolazione a cui si rivolge, la registrazione fatta di questa descrizione da parte di coloro che la udirono, la trasmissione di ciò attraverso vari linguaggi e popoli sino ai giorni nostri.

Siamo ora giunti alla più alta evidenza esterna che un uomo può avere della dichiarazione di ispirazione da parte di un profeta, sostenuta da un riconosciuto miracolo fatto davanti a testimoni competenti, per provare la verità di quella ispirazione.

 Ma per tutti quelli che non erano presenti, l'evidenza di ciò dipende completamente dalla verità e anche dall'accuratezza della testimonianza umana.

Ad ogni passo successivo di questa trasmissione, quella subisce alcune variazioni nelle parole con le quali è raccontata; e senza la minima necessità della fede divina ad ogni passo, la semplice imperfezione del linguaggio necessariamente varierà i termini attraverso i quali e descritta. Anche quando il linguaggio parlato lo abbia trasferito sul foglio come manoscritto, ci potrebbero essere diversi differenti manoscritti di differenti persone. Anche nello straordinario caso di due manoscritti, concordanti perfettamente rimane un fonte perpetua di dubbio circa l'esatta interpretazione che sorge dal significato continuamente mutante delle parole stesse.

Poche persone che non hanno riflettuto profondamente, o hanno una grande esperienza, sono ben consce degli errori che derivano da queste fonti. Esiste un gioco occasionalmente giocato in società che molto illustra bene il valore delle testimonianze trasmesse con la più perfetta buona fede attraverso una successione di persone piene di fede. Questo viene chiamato «Scandalo Russo»[2] , e si gioca così: uno della compagnia scrive una breve e semplice storia, anche solo un aneddoto. L'originale compositore della storia, che chiamiamo A, si ritira in un'altra stanza con B, a cui egli la comunica. A poi rientra nella compagnia, e manda dentro l'altra stanza C, a cui viene ripetuta da B la storia che ha appena conosciuto. B poi ritorna tra i compagni e manda di là D, che è informato dell'aneddoto da C, e così sino a che la storia è stata trasmessa attraverso dodici testimoni istruiti e pieni di fede. Il 12° alla fine ripete all'intero gruppo la storia che ha appena ascoltato; dopa di che l'originale documento scritto viene letto. Lo spirito o il divertimento della storia trasmessa è invariabilmente passato, e in genere niente se non una insulsaggine senza significato resta. Un caso davvero interessante capitò pochi anni fa quando lo spirito della storia originale fu evidentemente perso, ma in seguito venne ritrovato in una differente forma nell'ultima parte della sua trasmissione. La storia all'inizio consisteva del seguente aneddoto: il duca di Rutland e Teodoro Hook avendo pranzato con lord Mayor, stavano cercando i loro cappelli prima di partire. Il duca, incapace di trovare il suo, disse ai suoi amici: «Hook, ho perso il mio cappello di castoro». Il lord barone, sir Frederick Pollock, stava in quel momento passando per le scale. Hook lo sentì, replicò subito «Non pensarci, prendo quello di Pollux».

La storia raccontata alla fine, dopa una dozzina di passaggi, diventò così: 

Teodoro Hook e il duca di Rutland stavano pranzando con il vescovo di Oxford. Dal momento che erano entrambi incapaci di trovare i loro rispettivi cappelli, il duca disse all'intellettuale, «Hook, tu hai rubato il mio cappello di castoro». «No», rispose il principe dei burloni, «non ho rubato il tuo castoro, ma non avrei obiezioni a prendere il tuo castoro»; alludendo al castello di Belvoir, la splendida residenza di Campagna del duca di Rutland, che nel linguaggio corrente è pronunciato precisamente nello stesso modo del nome di quell'animale che gli uomini derubano della sua pelliccia con lo scopo di farne una copertura per la loro testa.

Richiede un considerevole allenamento diventare un accurato testimone dei fatti. Nemmeno due persone, comunque ben allenate, esprimono sempre, nella stessa forma di parole, le successioni dei fatti che entrambe hanno osservato.

(3) Resta una terza sorgente dalla quale noi arriviamo alla conoscenza dell'esistenza di un Supremo Creatore, cioè, da un esame delle sue opere. Diversamente da una testimonianza trasmessa, che si indebolisce ad ogni passaggio, questa evidenza prende conferma dal progresso della conoscenza individuale così come dall'avanzamento della conoscenza della razza. Quasi tutti gli uomini pensanti che hanno studiato le leggi che governano il mondo animato e inanimato intorno a noi, concordano che la credenza nell'esistenza di un Essere Supremo, possiede un’infinita sapienza e forza, è aperta a meno difficoltà che la supposizione dell'assenza di ogni causa, o dell'esistenza di una pluralità di cause.

Nelle opere del Creatore, anche sottoposte al nostro esame, noi possediamo una salda base su cui innalzare la sovrastruttura di un credo illuminato. Quanto più un uomo indaga le leggi che regolano l'universo della materia, tanto più egli si convince che tutte le sue varie forme sorgono dall'azione di pochi semplici principi. Questi stessi principi convergono, con forza crescente, verso una più omni-comprensiva legge a cui tutta la materia sembra essere sottomessa. Per quanto semplice questa legge possa essere, si deve ricordare che è solo una tra un infinito numero di semplici leggi; che ciascuna di quelle leggi ha conseguenze infine così estensive come quella esistente, e quindi che il Creatore che ha scelto la presente legge deve aver previsto le conseguenze di tutte le altre leggi. Le opere del Creatore, anche in considerazione ai nostri sensi, offrono una vivente e perpetua testimonianza della sua potenza e della divina bontà che supera di molto ogni evidenza trasmessa attraverso la testimonianza umana. La testimonianza dell'uomo diventa più confusa ad ogni passaggio della trasmissione, mentre ciascuna nuova indagine sulle opere dell'Altissimo ci offre idee più elevate della sua sapienza, della sua bontà, del suo potere.

Quando avevo tra i 16 e i 17 anni, udii, o piuttosto assistetti, per la prima volta, alle parole del credo Atanasio. Provai sommo disgusto per la diretta contraddizione nei termini che queste parole implicavano; e durante le diverse settimane ricorsi, a intervalli, al libro delle preghiere per assicurarmi di ricordare in maniera giusta le sue singolari e contraddittorie asserzioni. Chiedendo ai miei genitori, fui rassicurato che era tutto vero, e che era parte della religione cristiana, e che era assai immorale dubitare di una sola sentenza. In conseguenza di ciò ero assai preoccupato, vedendo che lo trovavo assolutamente impossibile da credere, e di conseguenza, se quello era un dogma essenziale, io chiaramente non appartenevo alla fede cristiana. Nel corso delle mie indagini, venni a conoscenza del lavoro sulla Trinità del dottor Samuel Clarke [3].

Lo studiai con cura, e sebbene fossi assai lontano dall'essere soddisfatto, cessai ulteriori indagini.

Questo cambiamento probabilmente sorse dall'aver conosciuto il lavoro assai più valido dello stesso autore, sull'essenza e le caratteristiche di Dio. Così studiai, e realizzai che la sua dottrina era più comprensibile e soddisfacente che quella del precedente lavoro. Posso ora dichiarare, come risultato di una lunga vita spesa nello studiare le opere del Creatore, che sono soddisfatto che esse portino più soddisfazione e prove più convincenti dell'esistenza di un essere supremo che non ogni evidenza trasmessa dalla testimonianza umana.

Se dovessi esprimere la mia opinione sul culto di Atanasio semplicemente in base alla mia esperienza delle motivazioni e delle azioni del genere umano, dovrei dire che è stato scritto da una brillante, ma poco scrupolosa persona, che non credeva a una sola sillaba della dottrina, che egli di proposito asserì e ripetè proposizioni che si contraddicono l'una con l'altra nei termini, affinché in tempi successivi e più illuminati, non si dovesse supporre che egli avesse creduto nella religione che aveva adottato, per motivi sconosciuti.

Il credo di Atanasio è una diretta contraddizione in termini: se tre cose possono essere una sola, allora l'intera scienza dell'aritmetica è immediatamente annientata, e quelle stupende leggi, che gli astronomi hanno mostrato che governano il sistema solare, sono menzogne.

Se, d'altra parte, si è provato a dimostrare che esistono meri sensi mistici in cui il tre e l'uno sono la medesima cosa, allora tutti i linguaggi in cui un uomo da solo può esercitare le sue facoltà mentali diventano inutili, perché ciò contraddice se stesso e non è vero.

Il grande fondamento della virtù nell'uomo è la verità - che è la costante applicazione delle stesse parole alle stesse cose. Il primo elemento di una scienza accurata è il numero - la fondazione e la misura di tutto ciò che l'uomo conosce del mondo materiale. Ritengo che queste idee del credo di Atanasio non siano per niente singolari e che esse siano infatti in generale difese, sebbene davvero raramente sostenute. Se questo è il caso, sarebbe saggio cogliere l'occasione, tramite la nuova commissione per la revisione dell'attuale liturgia, di rimuovere liturgie così distruttive di tutte le vere religioni delle quali l’autore, con indubbia ironia, ci racconta in maniera così compiacente che chiunque non crede che «senza dubbio, perirà in eterno».

Il vero valore della religione cristiana si basa, non sulle idee speculative del Creatore, che devono essere necessariamente differenti in ogni individuo, in accordo con l'estensione della conoscenza di un essere finito, che impiega i suoi deboli poteri per contemplare l'infinito; ma si basa su quelle dottrine di gentilezza e benevolenza che questa religione rivendica e rafforza, non solo a favore dell'uomo stesso, ma di ogni creatura suscettibile di dolore o di gioia.

Una curiosa riflessione si presenta quando meditiamo sullo stato delle ricompense e delle punizioni in una vita futura. Noi possediamo la memoria di ciò che abbiamo fatto durante la nostra esistenza su questa terra con lo scopo di dare loro alcune caratteristiche. Infatti, la memoria sembra essere l'unica facoltà che deve di necessità essere preservata per rendere possibile uno stato fu turo. Se la memoria fosse distrutta del tutto, la nostra personale identità sarebbe perduta.

Un'ulteriore riflessione suggerisce che in uno stato futuro noi potremmo essere consapevoli del ricordo che, prima della nostra vita attuale, siamo esistiti in uno stato precedente, e probabilmente in molti altri, e che il nostro stato attuale di esistenza potrebbe essere una conseguenza del nostro comportamento negli stadi precedenti.

Sarebbe davvero interessante se i naturalisti potessero ideare strumenti per mostrare che la libellula, nei suoi tre stadi di larva sotto il suolo, di un animale che vive nell'acqua e di un insetto volante, conserva nell'ultimo stadio una memoria della sua esistenza nel primo.

Un'altra questione legata con questo soggetto offre ancora più grande difficoltà. L'uomo possiede sorgenti di conoscenza attraverso i suoi sensi. Egli personalmente pensa a se stesso come la più alta opera dell'Architetto Altissimo; ma è possibile che egli sia la più bassa. Se altri animali possiedono sensi di una natura differente dalla nostra, sarebbe possibile che noi fossimo appena coscienti del fatto. Già quegli animali, avendo altre fonti di informazione e di piacere potrebbero, sebbene sdegnati da noi, provar piacere di un'esistenza corporea e anche intellettuale, assai più elevata della nostra.


NOTE

[1] Ho adottato nel testo quella idea della natura dei miracoli che era diffusa molti anni fa, nel1838 ho pubblicato nel Nine Bridgewater Treatise le mie idee personali su tale tema, la natura dei miracoli e della profezia. Quelle opinioni sono state accolte e adottate da molti dei pili profondi pensatori di opinioni religiose assai diverse.

[2] Si tratta del nostro «Telegrafo senza fili»

[3] Samuel Clarke, An account of all considerable books and pamphlets ... wrote on either side, the controversy concerning the Trinity, since the year 1712 , Londra 1720; A demonstration  of the being and attributes of God more particularly in answer to Mr. Hobbs, Spinoza, and their followers. Wherein the notion of liberty is stated, and the possibility and certainty of it proved, in opposition to necessity and fate. Being the  substance of eight sermons  preach'd. in the  year 1704, James Knapton, Londra 1705.

 

C. BABBAGE, Passaggi dalla vita di uno scienziato. Autobiografia dell'inventore del computer, Utet, Torino 2007, pp. 329-336