L’errore di Cartesio. Emozione, ragione e cervello umano

Descartes' Error. Emotion, Reason and the Human Brain,
Harper Collins, New York 1994

 

L’autore

Antonio Rosa Damasio è una delle figure più rilevanti e influenti nel campo delle neuroscienze. Nato a Lisbona nel 1944, ha compiuto gli studi di medicina presso l’Università della sua città natale. Dopo la laurea ha lavorato negli Stati Uniti, dove è stato direttore del dipartimento di Neurologia dell’University of Iowa Hospitals and Clinics e del Brain and Creativity Institute della University of Southern California. Insegna neurologia e neuroscienze al Salk Institute for Biological Studies di La Jolla, in California. Le sue ricerche si sono incentrate sulla fisiologia e sui meccanismi neurali responsabili delle emozioni e dei sentimenti, oltre che sull’identificazione delle regioni cerebrali aventi un possibile ruolo nella malattia di Alzheimer.

Le sue opere, scritte con uno stile brillante e accattivante, cercano di avvicinare un lettore interessato e attento, ma non specialista, ai temi a volte complessi della neurobiologia e più in generale delle neuroscienze. Il volume L’errore di Cartesio. Emozione, ragione e cervello umano, uscito come prima edizione inglese nel 1994, edito in Italia da Adelphi nel 1995, rappresenta il primo tentativo di Damasio di esporre al grande pubblico le sue ipotesi relative al rapporto mente/corpo e al ruolo delle emozioni nella costruzione dell’esperienza razionale. In seguito alla pubblicazione di quest’opera, Damasio si dedicherà alla scrittura di altri testi, sempre attento ad una esatta e puntuale divulgazione. I volumi, tutti editi nella versione italiana dalla casa editrice Adelphi, riportano i seguenti titoli: Emozione e coscienza (Adelphi, Milano 2000); Alla ricerca di Spinoza. Emozioni, sentimenti e cervello (Adelphi, Milano 2003); Il sé viene alla mente. La costruzione del cervello cosciente (Adelphi, Milano 2012).

L’attenzione dell’Autore, come pure quella di molti neuroscienziati – si pensi a Gerald M. Edelman, Francis Crick, Oliver Saks, Giacomo Rizzolatti, solo per citarne alcuni - a partire dagli anni ottanta del Novecento, si è focalizzata su una divulgazione delle proprie ricerche e ipotesi che tenesse in debita considerazione non solo l’aspetto scientifico e tecnico dei propri studi ma soprattutto il loro legame con quelle che vengono definite in maniera più generale discipline umanistiche. Come afferma Damasio nella premessa al testo - «L’errore di Cartesio» rivisitato - scritta a dieci anni dalla prima edizione, «nel momento in cui, nel ventesimo secolo, cominciarono a fiorire […] le neuroscienze mostrarono una decisa ostilità nei confronti della ricerca sulle emozioni» (pp.3-4) ma anche sulla coscienza, sul libero arbitrio, sull’esperienza estetica ed etica. Negli ultimi decenni, si sono compiuti molti passi in avanti, per cui, come si legge nell’ultima opera di Gerald Edelman dal titolo Seconda natura. Scienza del cervello e conoscenza umana, «non è affatto necessaria una separazione tra la scienza e le discipline umanistiche»[1]. La «speranza» che animava Damasio nei sui primi anni di studi, sembra si sia risolta positivamente: la costruzione del ponte tra la neurobiologia e le discipline umanistiche ha compiuto effettivi progressi, «offrendo così una chiave per meglio interpretare il conflitto umano e descrivere in modo più completo la creatività» (p. 9). Gli studi attuali delle neuroscienze si stanno perciò indirizzando verso la comprensione dei meccanismi cerebrali associati al ragionamento morale e all’esperienza estetica. Emerge sempre di più un fitto dialogo tra scienza e filosofia nella convinzione che la comprensione degli stati cerebrali sottesi alla coscienza, alle emozioni e alla soggettività umana può attuarsi solo attraverso una ricerca interdisciplinare che coinvolga discipline scientifiche e umanistiche. Per Damasio dunque, «l’intento non è quello di ridurre l’etica o l’estetica a qualche circuito cerebrale; piuttosto si vuole esplorare quali siano le connessioni fra neurobiologia e cultura» (p. 10).

 

Emozioni, ragione e cervello. Come una neurobiologia della razionalità spiega il ruolo delle emozioni nei processi coscienti

Argomento principale dell’opera di Damasio è lo studio, a livello cerebrale, delle emozioni e del loro contributo ai processi di ragionamento e al comportamento sociale. Viene dunque esaminato il rapporto tra emozioni e ragione partendo da esemplari casi clinici. La tesi innovativa proposta dall’Autore è che il sistema di ragionamento si sia sviluppato «come un’estensione del sistema emozionale automatico» e che l’emozione abbia un ruolo attivo e preponderante nei processi razionali: sentimenti ed emozioni non sono affatto degli «intrusi entro le mura della ragione» (p. 18). L’ipotesi di Damasio presuppone una nuova visione del rapporto tra mente, corpo e cervello, che l’Autore chiarisce sapientemente e prevede una forte ma essenziale critica dell’impianto filosofico cartesiano che ha permeato fino a pochi decenni fa gran parte della ricerca scientifica e filosofica sulla teoria della mente.

Certo delle sue teorie e della portata rivoluzionaria delle sue scoperte ma preoccupato di una divulgazione precisa e scientifica, non troppo specialistica mai banale o superficiale, Damasio, nell’Introduzione, specifica i suoi intenti e delinea il percorso che intende seguire con il suo lettore, un amico immaginario in conversazione con l’Autore: «un amico curioso, intelligente e avveduto, poco edotto di neuroscienze ma molto della vita» (p. 25).

Nel tentativo di unificare mente, corpo e cervello, partendo da alcuni casi clinici e sulla base di dati rigorosamente scientifici, l’Autore cerca di dimostrare che l’idea di una razionalità pura, non influenzata dalle emozioni e dagli stati soggettivi di coscienza, non ha riscontro nella realtà. La nostra mente, lungi dall’essere organizzata come un software di un computer, agisce in maniera rapida, prendendo in considerazione il carico emotivo delle nostre precedenti esperienze, fornendo una risposta di tipo corporeo. La ragione dunque non può funzionare indipendentemente dalle emozioni che sono strettamente legate al corpo il quale offre il substrato attraverso il quale il cervello costruisce immagini e le elabora sotto forma di pensiero. La dimensione cognitiva delle emozioni è dunque il nucleo principale della teoria di Damasio; a tale assunto egli approda dopo una lunga serie di studi che nel testo documenta in modo eccellente e puntuale. Uno dei meriti dell’Autore è infatti quello di condurre il lettore lentamente verso la formulazione delle sue teorie, prima attraverso l’esame di numerosi casi clinici, poi per mezzo di rielaborazioni teoriche degli stessi per giungere ad isolare costanti ed elementi comuni che permettono di costruire un’ipotesi a partire dai dati empirici.

Tentiamo ora di ripercorrere il cammino di Damasio e di esaminare la metodologia con cui egli elabora il suo nuovo paradigma per lo studio della mente e del cervello.

Nell’Introduzione l’Autore enuncia quelli che a nostro avviso sono i tre principi cardine di tutta la sua teoria.

Il primo riguarda, come già accennato precedentemente, la relazione tra emozioni e ragione. «Indispensabili per la ragione», sentimenti ed emozioni «ci conducono al luogo appropriato di uno spazio decisionale nel quale possiamo fare bene operare gli strumenti della logica»(p. 19).

Il secondo principio concerne la nuova visione della relazione tra sentimenti e corpo e quindi tra cervello, emozioni e corpo. Damasio definisce il sentimento come «la percezione diretta del corpo» che attraverso segnali “viscerali” comunica direttamente con il cervello che crea immagini e le rielabora sotto forma di pensiero: «lo stato qualificante del corpo, positivo o negativo, è accompagnato e costruito da una corrispondente modalità di pensiero» (p. 22). I sentimenti, in definitiva, sono una finestra attraverso cui poter cogliere in diretta i meccanismi biologici e il corpo è il «riferimento base» per la costruzione interiore del mondo e della soggettività, oltre che elemento attivo di tutte le nostre esperienze. La mente è dunque prima di tutto per il corpo, dentro il corpo e con il corpo. Cervello umano e corpo sono dunque un «organismo non dissociabile, integrato grazie all’azione di circuiti regolatori neurali e biochimici interagenti» (p. 24). Tale organismo interagisce con l’ambiente come un insieme e la “mente” che risulta dai vari processi fisiologici dipende dall’interazione dell’intero organismo corpo-cervello con l’ambiente. «L’anima respira attraverso il corpo, e la sofferenza, che muova dalla pelle o da un’immagine mentale, avviene nella carne» (p. 25).

Il terzo principio interessa la fisiologia del sistema cerebrale. Secondo Damasio infatti, la ragione umana dipende dal funzionamento cooperante di vari sistemi cerebrali che operano in sinergia attraverso molti livelli di organizzazione neuronica; non esiste dunque un unico centro di elaborazione ma il lavoro combinato e contemporaneo dei vari stati cerebrali. Scrive Damasio che «nell’edificio neurale della ragione, i livelli più bassi sono gli stessi che regolano l’elaborazione delle emozioni e dei sentimenti, insieme con le funzioni somatiche necessarie per la sopravvivenza dell’organismo […] I livelli più modesti del nostro organismo fanno parte del ciclo della ragione superiore» (p. 20). L’ interdipendenza di livelli “alti” e “bassi”, non degrada i primi e non li destituisce dal loro ruolo precipuo: «il fatto che l’agire in accordo con un principio etico richieda la partecipazione di connessioni semplici nel nucleo encefalico non immiserisce il principio stesso» (p. 20). Damasio ribadisce con enfasi e a più riprese che associare un’emozione ad un particolare stato neurofisiologico, non diminuisce il valore della mente umana così come dei sistemi cerebrali più evoluti quali le cortecce prefrontali. «Dovrebbe essere proprio vero il contrario: il nostro senso di meraviglia dovrebbe aumentare, dinanzi agli intricati meccanismi che rendono possibile tale magia» (p. 23).

I tre principi appena enunciati possono essere ricapitolati come segue: 1) i sentimenti e le emozioni sono indispensabili guide per la ragione; 2) corpo e cervello sono un organismo unico indissociabile e come tale si comporta nella relazione con l’ambiente e nelle risposte che attua attraverso il pensiero; 3) nel sistema cerebrale livelli “alti” e “bassi” cooperano insieme e tale unità rafforza la meraviglia e la complessità cerebrale.

Damasio dunque procede con l’enunciazione dei casi clinici che hanno permesso di delineare questi tre assunti fondamentali della sua teoria. Qual è però, si potrebbe chiedere il lettore, l’errore di Cartesio? Quale principio della teoria del filosofo francese viene qui messo in discussione e indicato perfino come errore? Damasio svelerà le risposte a tali domande solo alla fine della discussione quando i casi clinici avranno aiutato a comporre delle ipotesi; solamente con l’individuazione dell’errore cartesiano quindi la formulazione teorica di Damasio potrà dirsi completa.

Ripercorriamo dunque il suo argomentare. Egli inizia la trattazione della casistica medica prendendo come esempio il caso storico di un paziente vissuto a metà del secolo XIX nel New England, Phineas P. Gage. La storia della sua esperienza di vita somiglia ad una leggenda. Damasio racconta la sua vicenda nei minimi dettagli e con uno stile vivace ed accattivante, romanzando alcune parti, come lui stesso afferma. Venticinquenne caposquadra di un’impresa di costruzioni con il compito di gettare i binari per una nuova linea ferroviaria che attraverserà il Vermont, Gage è descritto dai suoi compagni come una persona mite, scrupolosa e attenta nel lavoro oltre che capace e accorta. Sincero e cordiale nei rapporti umani, ha la stima e l’ammirazione di tutti. Proprio durante il suo lavoro, per una piccola distrazione subisce un terribile incidente: a causa di una violenta esplosione, una barra di ferro lunga 110 centimetri con un diametro di poco più di 3 millimetri, con una punta del diametro di 6 millimetri e dal peso di 6 kilogrammi, «penetra nella guancia sinistra di Gage, fora la base della scatola cranica, attraversa la parte frontale del cervello ed esce, velocissima dalla sommità della testa» (pp. 32-33).

Phineas Gage non rimane ucciso ma dopo alcuni minuti di incoscienza causati dallo stordimento e dall’esplosione tornò a parlare e muoversi normalmente. Secondo il resoconto del dottor Edward Williams che per primo soccorse il ferito, Gage aveva una ferita «dalla quale si potevano vedere chiaramente le pulsazioni del cervello» (p. 34). L’apertura attraverso il cranio aveva un diametro di quasi 4 centimetri. Dopo forti febbri e l’asportazione di vari ascessi Phineas Gage fu dichiarato guarito dopo circa due mesi. Dall’incidente però il suo carattere subirà profondi cambiamenti, tanto che «il corpo di Gage può essere ben vivo e vegeto, ma c’è un nuovo spirito che lo anima» (p. 36). Divenne un tipo bizzarro, maleducato, irrispettoso nei confronti dei compagni, incapace di mantenere stabilmente un lavoro; in definitiva, l’equilibrio tra la sua facoltà intellettiva e le sue disposizioni animali era stato distrutto. La sua personalità risultava opposta a come era prima dell’incidente. In Gage si nota una «discrepanza tra il carattere degenerato e l’apparente integrità di svariati strumenti della mente: l’attenzione, la percezione, la memoria, il linguaggio, l’intelligenza. […] Il carattere, alterato, era dissociato da comportamento e cognizione, ben preservati» (p. 42). Alla luce della frenologia, disciplina che imperava nei circoli intellettuali e scientifici ottocenteschi, tutti i dibattiti scientifici suscitati dal caso di Gage si concentrarono sulla localizzazione del linguaggio e del movimento nel cervello (in sintesi sulle facoltà che in Phineas erano rimaste inalterate), mentre non si indagò mai sulla relazione tra condotta sociale e danni ai lobi frontali. Dopo la morte, avvenuta tredici anni dopo l’incidente, il corpo di Gage fu riesumato per poterne studiare il cranio che oggi si trova, insieme alla barra metallica, a Boston, nel Warren Medical Museum della Harvard Medical School. Fu però negli anni Novanta del secolo scorso che, grazie alle moderne tecniche di risonanza magnetica per la ricostruzione di immagini tridimensionali del cervello, si iniziò a studiare in maniera scientifica e dettagliata il danno subito dall’encefalo di Gage, per ricostruire l’esatta localizzazione della lesione che risultò essere nella regione prefrontale ventromediana.

Prima di procedere all’esame di altri casi per attuare un confronto con quello di Phineas Gage, l’Autore inserisce nella discussione un excursus neuroanatomico per informare il lettore sulla fisiologia e l’anatomia di base del cervello, in modo tale da costruire con il lettore stesso un vocabolario minimo comune.

Il secondo caso clinico riportato da Damasio riguarda un paziente che, a causa di un meningioma subì l’asportazione chirurgica del tumore e del tessuto dei lobi frontali danneggiato dal tumore stesso. La lesione subita da Elliot, come lo chiama Damasio, è la stessa che fu riscontrata in Phineas Gage; la differenza consiste nel fatto che Elliot è vivo nel momento in cui viene studiato da Damasio e può pertanto essere sottoposto a test di vario tipo per comprendere meglio quali alterazioni funzionali ha subito. Elliot, proprio come Gage, manifesta un cambiamento di personalità e carattere dopo l’intervento, divenendo incapace di mantenersi stabilmente un lavoro e di avere relazioni sociali coerenti e normali. Damasio scrive che «sia in Gage sia in Elliot, le strutture lese erano quelle che sono necessarie perché il ragionamento culmini nella decisione» (p. 78). Elliot viene sottoposto a svariati test di intelligenza risultando un soggetto dotato di intelletto normale ma incapace di decidere in modo appropriato in situazioni riguardanti la sfera comportamentale e sociale. Forse ci si era preoccupati troppo della razionalità e dell’intelligenza di Elliot e poco delle sue emozioni. Elliot infatti riusciva a raccontare la sua vicenda in modo freddo e distaccato, incapace di provare qualsiasi emozione e di questo se ne rendeva conto. Elliot si trovava a «sapere ma non sentire. Cominciai allora a considerare, incuriosito, la possibilità che tale riduzione delle emozioni e dei sentimenti di Elliot potesse avere un ruolo nel venir meno della sua capacità decisionale» (pp. 89-90). La discrepanza tra i test di laboratorio e la vita reale era tale che «il tentativo di comprendere sia Elliot sia Gage prometteva un accesso alla neurobiologia della razionalità» (p. 93) e alla scoperta del legame profondo che esiste tra emozione e razionalità tanto che al venir meno delle prime si perde anche la seconda. Grazie ad un esperimento studiato ad hoc dall’equipe di Damasio, si è potuto constatare che Elliot, come tutti i pazienti affetti da danni alle regione prefrontali, sono guidati da prospettive immediate e sembrano non curarsi del futuro tanto che Damasio parla di «miopia del futuro» (p. 298).

Alla fine della descrizione di un ricco elenco di casi di pazienti aventi gli stessi danni di Gage e di Elliot, Damasio arriva alla conclusione che «se la lesione arriva a toccare il settore ventromediano, un danno bilaterale alle cortecce prefrontali è sempre associato a menomazioni del ragionamento/attività decisionale e insieme dell’emozione/sentimento» (p. 106). Dallo studio dei pazienti affetti da anosognosia (una sindrome neurologica caratterizzata dall’incapacità di riconoscere la malattia su di sé), Damasio deduce che essi assomigliano a quelli colpiti da lesioni prefrontali e risultano incapaci di provare emozioni oltre che prendere appropriate decisioni su questioni personali o sociali. Gli elementi fin qui discussi suggeriscono quindi un legame stretto tra aree cerebrali e processi di ragionamento, decisione ed emozione, tra corpo e mente.

Come avviene però l’interazione tra stati cerebrali e stati corporei nella formazione di processi razionali e decisionali? Come si collegano tra di loro emozione e ragione? Prima di ipotizzare come cervello, ragione ed emozione cooperino insieme per produrre comportamenti e azioni, Damasio chiarisce e puntualizza le sue interpretazioni riguardanti il significato di alcuni termini tra cui soggettività o sé, immagine mentale, emozione e sentimento. La loro accezione dipende per l’Autore sempre da uno degli assiomi di partenza che egli ha enunciato nell’Introduzione: corpo e cervello formano un organismo indissociabile che interagisce con l’ambiente, «la mente è incorporata, nel senso più pieno del termine, non soltanto intrisa nel cervello» (p. 176). Cervello e corpo sono integrati da circuiti neurali e biochimici. Ogni parte del corpo infatti, è collegata al cervello attraverso i nervi periferici che, a loro volta portano al cervello stesso i segnali che il corpo emette. Attraverso il flusso sanguigno poi, le molecole prodotte dall’attività del corpo, raggiungono il cervello e influiscono sul suo funzionamento.

In accordo con altri neuroscienziati, in particolare con le tesi di Gerald Edelman, Damasio definisce l’interazione con l’ambiente e quindi l’esperienza, una componente fondamentale per lo sviluppo dei circuiti cerebrali che, insieme a quelli innati sono i responsabili della produzione di immagini e coscienza (si veda a tal proposito la teoria della selezione dei gruppi neuronali o darwinismo neurale di Edelman, il quale assegna all’esperienza un ruolo chiave per la formazione del circuito secondario o rete neuronale che rappresenta un fattore dirimente per l’emergere della coscienza umana).

«Come si formano le immagini quando si percepisce qualcosa del mondo o del corpo?» (p. 152). Le immagini rappresentano «il contenuto principale dei nostri pensieri […] esse sono basate direttamente su quelle rappresentazioni neurali che sono organizzate topograficamente e che avvengono nelle cortecce sensitive di ordine inferiore»(p. 151). Damasio distingue tra immagini percettive e immagini richiamate. Le prime sono le immagini “di adesso” che si formano nel momento in cui si compie qualunque tipo di azione. Le seconde si presentano quando si evoca il ricordo di cose passate. La formazione di immagini avviene quando i segnali provenienti dal corpo vengono trasmessi lungo gli assoni dei neuroni fino alle cortecce sensitive di ordine inferiore attraverso sinapsi elettrochimiche. Come percepiamo dunque che le immagini sono nostre? Come avviene il passaggio dalla produzione dell’immagine alla sua coscienza soggettiva? Damasio afferma che «quelle rappresentazioni neurali devono essere correlate con le altre che, momento per momento, costituiscono la base neurale del sé. […] Qui voglio osservare che il sé non è il famigerato omuncolo, l’esserino racchiuso entro il nostro cervello che percepisce ed elabora pensieri sulle immagini formate dal cervello; è, piuttosto, uno stato neurobiologico continuamente ricreato» (p. 154).

Si è potuto fin qui constatare come le emozioni abbiano la funzione di «guida cognitiva». Queste, secondo Damasio «sono frutto del combinarsi di un processo valutativo mentale, semplice o complesso, con le risposte disposizionali a tale processo, per lo più dirette verso il corpo,  che hanno come risultato uno stato emotivo del corpo, ma anche verso il cervello stesso (i nuclei neurotrasmettitori del midollo allungato), che hanno come risultato altri cambiamenti mentali» (p. 202).

A tal riguardo l’Autore distingue tra emozioni primarie ed emozioni secondarie. Le prime dipendono dai circuiti del sistema limbico (amigdala e cingolo anteriore) e «di esse facciamo esperienza nella fase iniziale della vita». Le seconde, che proviamo da adulti, coinvolgono settori del cervello più evoluti. Posto il significato del termine “emozione”, cos’è dunque un sentimento? L’esperienza continua dello stato del corpo può essere definito sentimento: «se un’emozione è un insieme di cambiamenti dello stato corporeo connessi a particolari immagini mentali che hanno attivato uno specifico sistema cerebrale, l’essenza del sentire un’emozione è l’esperienza di tali cambiamenti in giustapposizione alle immagini mentali che hanno dato avvio al ciclo» (p. 210). I sentimenti in definitiva ci consentono di «porre mente al corpo», di avere la consapevolezza del nostro stato muscoloscheletrico e viscerale.

 

L'ipotesi del marcatore somatico e l'errore di Cartesio

Come può dunque il nostro cervello decidere in maniera adeguata in frazioni di secondo riguardo ad azioni personali o comportamenti sociali? Può la pura razionalità eseguire questo compito? La risposta dell’Autore alla seconda domanda è negativa, per la serie di ragioni esposte sopra.

L’ipotesi che Damasio suggerisce invece per la risposta al primo quesito è quella che lo stesso Autore definisce ipotesi del marcatore somatico. «Quando viene alla mente, sia pure a lampi, l’esito negativo connesso con una determinata opzione di risposta, si avverte una sensazione spiacevole alla bocca dello stomaco. Dato che ciò riguarda il corpo, ho definito il fenomeno con il termine tecnico di stato somatico; e dato che esso “contrassegna” un’immagine, l’ho chiamato marcatore» (p. 245). Tale ipotesi dunque tenta di spiegare come i fenomeni del corpo entrano in relazione con gli stati mentali per la produzione di immagini, comportamenti e pensieri. I marcatori somatici vengono acquisiti attraverso l’esperienza con un «processo di apprendimento continuo». Per la razionalità dunque, l’azione di pulsioni biologiche, stati corporei ed emozioni che operano insieme attraverso l’azione interdipendente dei vari stati cerebrali – quelli evolutivamente più recenti con quelli più antichi – risulta un fondamento essenziale.

In definitiva dunque, è impossibile discorporare il cervello senza alterarne le sue funzioni. A tal riguardo l’Autore critica l’esperimento sostenuto dal filosofo della mente Hilary Putnam e descritto come “cervello in una vasca”. Si dovrebbe immaginare, asserisce Putnam, che un cervello, rimosso dal corpo e mantenuto in vita da una soluzione nutritizia, venga stimolato da uno scienziato, attraverso i terminali nervosi, nello stesso modo in cui sarebbe stimolato se fosse ancora racchiuso nella scatola cranica umana. Si può credere che esso non si accorga di essere in una vasca e che le sue esperienze rimarrebbero inalterate. Ma, afferma Damasio, ricreare in modo identico le esperienze corporee, attraverso particolari sinapsi elettriche artificiali, altro non è che «creare un surrogato del corpo, così confermando in definitiva che per un cervello normalmente fornito di mente occorrono input “di tipo corporeo”» (p. 311). La critica a Putnam come pure a quella corrente della filosofia della mente che propone di considerare il cervello come un hardware e la mente come un software di un computer, a nostro avviso è ben documentata e disposta dall’Autore che, proprio attraverso tale critica corrobora e rafforza la sua ipotesi e la sua visione organicistica di corpo e cervello.

Arrivati a questo punto ci si può ben chiedere qual è l’errore di Cartesio. La maestria con cui Damasio ha condotto la discussione, porta il lettore a trovare da solo la risposta al quesito. L’errore consiste nella concezione dualistica cartesiana secondo la quale mente e cervello sarebbero due entità separate. L’enunciato cartesiano Penso dunque sono, esprime, secondo Damasio, il concetto opposto alla sua ipotesi «in quanto suggerisce che il pensare e la consapevolezza di pensare, siano i veri substrati dell’essere» (p. 337) e che il pensare o res cogitans e l’essere o res extensa siano due dimensioni inconfondibili. Ma, afferma Damasio, la coscienza è giunta in uno stadio evolutivo successivo a quello dell’essere: «all’alba dell’umanità gli esseri erano esseri» (p. 337). Prima è l’essere e poi il pensiero, noi siamo, in seguito pensiamo.

«Eccolo, l’errore di Cartesio: ecco l’abissale separazione tra corpo e mente – tra la materia del corpo, dotata di dimensioni, mossa meccanicamente, infinitamente divisibile, da un lato, e la “stoffa” della mente, non misurabile, priva di dimensioni, non attivabile con un comando meccanico, non divisibile; ecco il suggerimento che il giudizio morale e il ragionamento e la sofferenza che viene dal dolore fisico o da turbamento emotivo possano esistere separati dal corpo. In particolare: la separazione delle più elaborate attività della mente dalla struttura e dal funzionamento di un organismo biologico» (pp. 338-339).

Da tale errore, secondo Damasio, sono stati contaminati fino a non molti anni fa gran parte degli studi relativi alla mente, al cervello e alla coscienza umana. La liberazione da tale errore è stata l’impresa principale dell’Autore che, con umiltà e modestia ma con fermezza e convinzione, ha cercato di avvicinare scienza e filosofia in un dialogo sereno e proficuo in grado di inserirsi nel giusto cammino per la comprensione organica e completa della mente umana.

In ultima analisi, c’è però da sottolineare che la tesi di Damasio rappresenta una delle molteplici posizioni che vari studiosi hanno assunto sul rapporto mente-corpo all’interno del dibattito sulle neuroscienze. L’ipotesi dell’Autore - che può definirsi un monismo materialista data l’unificazione in un unico organismo di corpo, mente e cervello - è affiancata da altre ipotesi che possono essere classificate secondo alcuni criteri generali: si definiscono tesi riduzionistiche quelle che assimilano la mente a correlati neurali e che comprendono tutte le sue produzioni a partire dalla fisiologia cerebrale. Le ipotesi anti-riduzionistiche rigettano invece l’idea di una spiegazione su base cerebrale dei fenomeni mentali. Ci sono poi autori che sostengono teorie monistiche e altri che propongono ipotesi dualistiche, indipendentemente dalla interpretazione riduzionistica o anti-riduzionistica, affermando o negando l’idea della mente e della coscienza come epifenomeni dell’organo cerebrale.

Al di là di ogni possibile interpretazione, molti neuroscienziati tra cui David Chalmers, John Eccles o Gerald Edelman, concordano sul fatto che la forma particolare di coscienza che gli esseri umani possiedono non sarà mai riproducibile e continuerà ad essere il «nostro dono più grande». Come sostiene Edelman, la volta del cielo, il mondo intero, esistono in modo particolare in ognuno di noi perché fanno parte della nostra coscienza. Tutto questo è un enigma ammantato di mistero, un nodo cosmico, per prendere in prestito un’espressione di Arthur Schopenhauer. Il dibattito interdisciplinare tra scienza e filosofia sui temi delle neuroscienze si dovrebbe dunque dirigere sulla nozione di Sé, di un Io come soggetto unificatore. In definitiva la nostra unicità in quanto sola specie animale in grado di produrre pensiero simbolico, astrazione, autocoscienza, esperienza estetica ed etica, cultura in generale, dovrebbe consentire di spalancare le porte di tale dibattito alla dimensione teologica, perché il «nostro dono più grande» è in fondo la relazione privilegiata con Dio, con ciò che percepiamo il nostro fondamento e che costituisce la nostra principale domanda di senso.

 



[1] Gerald M. Edelman, Seconda natura. Scienza del cervello e conoscenza umana, Raffaello Cortina editore, Milano 2007, p. 151;

Anna Pelliccia
Dottore di ricerca in Scienza del libro e della scrittura, Università di Perugia