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Divulgazione scientifica: attrarre comunicando un’esperienza viva

Novembre 2003
Mario Gargantini
Ingegnere e giornalista scientifico, direttore di Emmeciquadro, Euresis, Milano

L’incontro tra l’esperienza scientifica e la dimensione religiosa non è il risultato di uno sforzo di riconciliazione tra due realtà considerate come alternative e contrapposte; il problema non è quello di trovare a tutti i costi dei link, per usare il gergo della rete, tra due mondi lontani e indipendenti. Si tratta piuttosto di andare alla radice dell’una e dell’altra, indagando le motivazioni profonde del fare scienza insieme a quegli elementi espressivi che rivelano una tensione religiosa presente e operante in ogni momento dell’agire umano.

Ciò vale a livello del dibattito filosofico e teologico, come si inizia a vedere ben documentato nella pagine web di questo Portale; ma lo si può constatare anche da un’angolatura particolare come è quella della divulgazione scientifica, che sta vivendo una nuova stagione di vitalità. La divulgazione, o meglio la comunicazione, scientifica si presenta oggi in una pluralità di forme e può far leva su nuovi e potenti strumenti che amplificano lo spettro informativo e lo arricchiscono di immagini, suoni e animazioni aumentandone notevolmente l’efficacia e la fruibilità. Cresce però anche il rischio che i tanti messaggi veicolati si impoveriscano di contenuto conoscitivo; che non corrispondano alle reali esigenze di chi vi accede: insomma, ci troviamo davanti a troppe risposte senza che siano ben chiare le domande e c’è il pericolo che tutto il sistema della comunicazione possa implodere sotto il peso schiacciante delle troppe informazioni non ben metabolizzate.

Tale situazione fa venire a galla un interrogativo elementare ma che si rivela come il più interessante: perché divulgare? È un interrogativo che tocca entrambi i poli della comunicazione: perché è così importante che il lavoro scientifico venga comunicato a tutti e perché è così importante che il pubblico sia attento a quanto accade nei laboratori e nei centri di ricerca? Che cosa c’è in gioco?

In effetti in gioco c’è molto di più della semplice esigenza di disseminare informazioni; e anche più di un generico innalzamento del patrimonio medio di conoscenze del cittadino, che gli consenta di valutare alcune scelte di politica economica.

Ciò che viene portato alla ribalta dalla divulgazione è un problema culturale più ampio: è la concezione del rapporto tra la persona e la realtà, è la possibilità di uscire dalle secche del nichilismo strisciante per affermare una effettiva, pur se impegnativa, possibilità di conoscenza del reale. Non siamo quindi su un’area di dominio esclusivo degli specialisti o degli appassionati, ma ci muoviamo su un terreno che interessa veramente tutti quanti.

Affinché una simile prospettiva possa essere percepita e consolidata, devono verificarsi alcune condizioni.

Bisogna anzitutto che si affermi una visione “amichevole” del rapporto tra l’uomo e il cosmo; che si vada incontro al reale con un’ipotesi positiva, convinti della possibilità che il disegno del mondo non resti totalmente velato, che il libro della natura sia aperto e leggibile. Senza per questo nascondersi le difficoltà dell’interpretazione e la fatica di adattare continuamente il linguaggio alla singolarità di pagine che si rinnovano indefinitamente ad ogni lettura.

Altre condizioni riguardano lo specifico della divulgazione, che troppo spesso è impostata come pura trasmissione di risultati, come trasferimento, più o meno intelligente e accattivante, di contenuti che qualcuno possiede in abbondanza e si impegna a travasare negli altri. Tale approccio in parte risponde ad una naturale esigenza di informazione e di partecipazione; ma si trasforma facilmente in una sorta di freddo automatismo che si limita a rincorrere i fenomeni per catturarne i soli aspetti superficiali. Così la preoccupazione dominante è da un lato quella dell’aggiornamento quantitativo; dall’altro la ricerca affannosa di accorgimenti volti a catturare l’attenzione del pubblico, senza peraltro suscitare una vera attrattiva.

La situazione si può capovolgere a patto di attenuare l’accento sui risultati e di spostare il focus sull’esperienza, sia di chi comunica che del destinatario della comunicazione.

Per il primo l’invito è a partire non tanto dal bagaglio delle conoscenze acquisite quanto dal vivo della propria esperienza (di ricercatore o comunque di studioso della materia). Si scoprirà in tal modo che il comunicare non è un semplice trasferimento di notizie, di idee, di risultati ma è una preziosa occasione di arricchimento e di crescita. “Comunicando si impara”: non è un facile slogan ma corrisponde a una dimensione essenziale della scienza, perché la realtà ha una profondità insondabile e ogni volta che la si rivisita rivela nuovi particolari e nuovi aspetti sorprendenti.

Da parte di chi riceve, al di là delle sensazioni e delle emozioni immediate – peraltro esasperatamente sollecitate dalle tendenze comunicative più recenti – si tratta di aver chiaro dove indirizzare l’attenzione. A noi sembra che l’attenzione debba essere polarizzata sul guadagno conoscitivo che si può ricavare dal momento comunicativo; e sul conseguente gusto che deriva dalla scoperta di nuovi aspetti della realtà. Affrontare un tema scientifico deve costituire un’esperienza analoga a quella che si fa quando si entra in un nuovo ambiente o si visita per la prima volta una città: lo sguardo è tutto proteso a cogliere gli elementi di novità e lo spirito è pronto a gioire nell’impatto con qualcosa di attraente.

Se è così l’incontro con la dimensione religiosa viene da sé e non è necessario che uno scienziato parli espressamente di Dio per risultare interessante da parte di chi ha una prospettiva di fede. Comunicare l’esperienza della ricerca scientifica significa mostrare il valore di una avventura di conoscenza che si traduce in una possibilità di crescita sul piano umano, in un arricchimento della persona che acquista sempre più consapevolezza delle cose che la circondano e del proprio posto nel cosmo. Nell’esperienza di molti scienziati si può vedere all’opera la dinamica fondamentale di ogni atto conoscitivo, che parte dall’atteggiamento genuino dell’uomo che accusa il contraccolpo del reale, si adopera con ogni risorsa per rispondere alla provocazione posta dai fenomeni e tenta di decifrare i molteplici segni che compaiono sulla scena del mondo; fino ad essere condotto alle soglie del mistero che affiora da ogni piega della natura, non tanto come incognita inafferrabile quanto come poderosa presenza che fa essere tutte le cose.

È perciò possibile rintracciare le fasi del dialogo con questa presenza tra i passaggi di un teorema o nel resoconto di un esperimento; e ci sono ricercatori che riescono a comunicare con efficacia tutta la tensione drammatica dell’indagine, come il premio Nobel per la fisica Richard Feynman che così si esprimeva: "La stessa emozione, la stessa meraviglia e lo stesso mistero, nascono continuamente ogni volta che guardiamo a un problema in modo sufficientemente profondo. A una maggiore conoscenza si accompagna un più insondabile e meraviglioso mistero, che spinge a penetrare ancora più in profondità. Mai preoccupati che la risposta ci possa deludere, con piacere e fiducia solleviamo ogni nuova pietra per trovare stranezze inimmaginabili che ci conducono verso domande e misteri ancora più meravigliosi – certamente una grande avventura!"

Un’avventura non estranea, anzi fortemente intrecciata alla costante ricerca di senso che accomuna tutti gli uomini e che anche nel più raffinato lavoro scientifico può trovare suggerimenti, spunti, richiami. Tanto da far dire ad un altro grande fisico del Novecento, Victor Weisskopf: "Non posso fare a meno di pensare che essi (gli scienziati) rappresentino una «felice razza di uomini» fra tanti altri che sono alle prese con i problemi del significato, del senso e dello scopo".