L’attuale ambiente di formazione nel quale si muovono coloro che si preparano a fare ricerca scientifica presenta luci ed ombre. Al di là dei numerosi aspetti positivi che costituiscono il punto di forza dell’attuale formazione alla ricerca, occorre ridurre alcuni importanti punti deboli.
Uno di questi ultimi riguarda, a mio avviso, il rapporto fra le nostre rappresentazioni del reale e la realtà dei fatti. I dati ed i modelli matematici sono strumenti utilizzati in tutte le aree scientifiche. Mentre i primi sono strettamente legati alla specificità delle singole aree, modelli matematici simili possono essere usati per sistemi fisicamente molto diversi. Contemporaneamente si è incrementata la disponibilità di strumenti di calcolo dalle enormi potenzialità con notevoli vantaggi. Parte di questi, però, rischiano di essere annullati a causa di due conseguenze negative. La prima. che si potrebbe chiamare la bulimia del calcolo, può essere sintetizzata nella frase: perché pensare? È sufficiente far girare un codice. La seconda si potrebbe chiamare la sterilizzazione del modello matematico, che potrebbe schematizzarsi con l’affermazione: non c’è bisogno di migliorare la descrizione fisica dei fenomeni, basta aumentare il numero dei punti di calcolo. Di fatto, si tende ad avere come riferimento non più la realtà naturale (ad es. il suolo e il sottosuolo in esame, per un ingegnere del territorio come il sottoscritto), ma una realtà sintetica,con ripercussioni negative sull’affidabilità della soluzione trovata.
Questi rischi possono ricondursi ad un’unica radice che è stata definita delega tecnologica. Questa è in grado di attribuire agli strumenti di calcolo una sufficiente autonomia capace di costruire una realtà che presenta caratteristiche virtuali rispetto a fatti concreti. Ad esempio, nei problemi che riguardano il suolo e il sottosuolo, si rischia di avere “due realtà” del sistema in esame: il suolo e il sottosuolo naturali, reale e concreta sede di fatti che effettivamente accadono e quella che si può definire «virtuale», costruita per mezzo degli attuali potenti mezzi di calcolo e l’uso indiscriminato di modelli sintetici con editing accattivante, che nasconde però l’entità dello scarto con la realtà vera. La delega tecnologica è piuttosto pericolosa perché può comportare nuove e più rischiose forme di parcellizzazione intellettuale, concentrando l’attenzione su aspetti secondari, e soprattutto dimentica che l’elaborazione matematica è in fondo autoreferenziale.
In sostanza i vari strumenti di calcolo matematico, nati come strumento per descrivere l’evoluzione di realtà vere anche se complesse, in assenza di una visone globale ed in presenza di uso non corretto dell’alta tecnologia disponibile, rischiano di creare equivoci. Per chiare questo fondamentale aspetto si propone un’analogia con la comunicazione.
La comunicazione nasce al servizio della realtà effettiva per descriverla e farne partecipe tutti coloro ad essa interessati. In origine perciò le due realtà — quella reale e quella comunicata — erano strettamente legate, una al servizio dell’altra; l’avvento in particolare delle alte tecnologie e lo sviluppo della comunicazione informatica, oggi sempre più autonoma, hanno reso indipendenti queste realtà. La realtà virtuale, in particolare, può assumere le sembianze di ammaliatrice fata morgana quando l’osservatore non può con assoluta certezza definirla come immaginaria e viene quindi indotto a pensarla come reale. Questa nuova realtà si basa sugli eccessi distorcenti della comunicazione, non più usata esclusivamente come strumento di conoscenza del reale, ma sempre più involuta in se stessa nella costruzione di mondi virtuali completamente autonomi e a sé stanti.
Per ridurre questi pericolosi rischi è opportuno proporre, a chi si accinge ad intraprendere la via della ricerca scientifica, una riflessione di fondo: esplorare la relazione tra cultura personale e sapere scientifico. Il sapere scientifico è la conoscenza delle leggi e dei fenomeni della natura e la loro applicazione nel libero spazio di azione dell’uomo. Tale conoscenza passa attraverso lo “strumento base” che condiziona la scelta del modello matematico: il dato da rilevare. Il sapere scientifico genera però una capacità scientifica personale dalla quale dipende il progresso civile, chiamato anche progresso sociale, in quanto migliora le condizioni di vita e le situazioni di ambiente. L’insieme di questi progressi civili costituisce la civiltà. La cultura personale coinvolge invece la Weltanschauung, il nostro modo personale di guardare ed interpretare il mondo e noi stessi. La cultura personale è su di un piano superiore, non direttamente misurabile, ma influisce sul nostro modo di contestualizzare i dati del sapere scientifico e di “pesare” il valore delle rappresentazioni della realtà che noi impieghiamo. La Divina Commedia non è uno strumento di progresso scientifico (non favorisce la costruzione di metropolitane), tuttavia resta un grandissimo elemento di cultura, importante per la nostra educazione. E la nostra formazione ha un effetto sulla maturità della persona, potendo quindi favorire lo sviluppo del sapere scientifico, ad esempio creandone le motivazioni. I due aspetti non sono indipendenti, ma complementari, e possono facilitare la messa a punto di metodologie capaci di evitare i rischi della delega tecnologica.