Il panorama dei rapporti fra fede e scienza si colora talvolta di toni insoliti, che certo non contribuiscono a fare chiarezza. Non è infrequente che tesi cosiddette pseudo-scientifiche o superstiziose vengano spesso difese con argomenti che hanno la parvenza di scientificità. Così come anche alcuni argomenti di ambito “religioso” pretendono di essere spiegati ricorrendo a ragionamenti ritenuti scientifici. Vediamo alcune delle logiche che si nascondono dietro questi processi.
Chiediamoci: cosa hanno in comune le “teorie” della memoria dell’acqua di Masaru Emoto, i seguaci del Tao della fisica, gli oroscopi e i tarocchi? Senza andare nel merito di queste “teorie” o “pratiche”, di cosa esse propongono, dei loro (contro)argomenti, ci viene in aiuto, in modo apparentemente slegato, il cristiano francese Dennis Gira che ci racconta la sue esperienze riguardo il dialogo con le altre religioni; egli ha affrontato questi argomenti da un punto di vista del tutto privilegiato essendo profondo studioso e divulgatore di buddhismo in occidente.
La reincarnazione, lo sappiamo, è centrale nel buddismo, dove tutto il problema della retribuzione si spiega con le nozioni di samsara e di karma. Per molti dei credenti buddisti tale nozione risulta verificabile e verificata dall’esperienza: molti di loro non la considerano solo una credenza, ma una verità quasi scientifica; prove alla mano vi sono molte persone che ad esempio si ricordano di vite precedenti o di altre esperienze, anche eccezionali. Ogni uomo intelligente e aperto, affermano, deve accettare la reincarnazione così come accetta altri dati scientifici; altrimenti bisogna mettere in dubbio la buona fede di così tanti testimoni. La realtà è che invece l’atto di fede non è tanto riposto in questi testimoni, ma nell’interpretazione che essi danno di quei fatti.
Secondo San Paolo, centinaia di persone hanno testimoniato Cristo Risorto (cfr. 1Cor 15,6), ma i seguaci di Gesù di Nazaret mai affermerebbero che questo evento fa della resurrezione una questione che debba essere riconosciuta da persone sufficientemente “intelligenti e aperte” in virtù di qualche supposta “prova”. Al contrario il cristiano, semplicemente, si fida della testimonianza di quelle persone attribuendo alla resurrezione di Cristo l'esperienza dell’apparizione che hanno riportato quei testimoni, sebbene nel contesto delle promesse ereditate da una tradizione religiosa. Mai però si affermerebbe che quell'evento vada considerato “dimostrabile” nel senso dato sopra, ossia come frutto di argomentazioni formalmente scientifiche.
Ora, se accettiamo che solo ciò che è scientificamente e formalmente dimostrabile è “vero”, allora non vi sarebbe modo di mostrare la ragionevolezza di una fede religiosa. Questa costituirebbe solo un dogma di fede. L’iniziazione cristiana – e ogni buona iniziazione in generale – propone invece che la “verità” possa essere raggiunta tanto nell’ambito del logico-formale quanto nell’ambito del sapere personale-esistenziale, nonostante la differenza degli strumenti e del metodo. Verità formali e verità esistenziali sono più “vere” proprio nel momento in cui si parlano: una sola verità, nella diversità, cosa che è sempre in qualche modo difficile da accogliere.
Lo scrittore francese Dennis Gira sottolinea come sia importante, per un vero dialogo fruttuoso tra fedi diverse, considerare questi elementi ed evitare confusioni pericolose, altrimenti, dice, si rischia un dialogo fra sordi. Infatti «tra persone che sanno di una certa visione e altre che invece possono solo credere in una certa altra» il dialogo diventa praticamente impossibile. Questo perché «una persona che “sa”, spesso tollera di lasciarsi interrogare da un interlocutore che “crede”, ma lo fa con riluttanza». Un falso dialogo insomma (cf. D. Gira, La scelta che non esclude, Paoline, Milano 2004, p. 113).
Il gioco si ripete nel momento in cui un qualche credente nostrano insinua di fronte a degli scettico-razionalisti certi fatti della fede come “provati”, per esempio riguardo certe apparizioni mariane o certi strani segni apparsi sulla sindone di Torino. Accade lo stesso anche quando questi ultimi pretendono di falsificare certe credenze utilizzando le proprie supposte “armi della ragione” quando invece stanno semplicemente presupponendo una certa visione filosofica del mondo, una sua pre-comprensione in chiave ad esempio materialista; essa è conseguenza di una propria “fede”, sovente non dichiarata, ma di fatto assunta e quindi creduta.
Dopo la fine dell’Illuminismo, la Chiesa cattolica aveva ben appreso che la pretesa di questo di “ridurre la religione nei limiti della pura ragione” era ormai fallita in quanto priva di sostegno vitale alle vere e profonde inquietudini umane; ma d’altra parte anche l’esperienza dolorosa del caso Galilei aveva insegnato definitivamente che non poteva esserci confusione tra soggettivo e oggettivo; proprio il Galilei nel celebre Saggiatore propone che “triangoli e cerchi sono i caratteri dell’universo”; e che la “Bibbia ci dice come andare in cielo piuttosto che come vada il cielo”; dopo questi eventi è accaduto che la religione – e con essa la fede – spesso ha cercato di giocare in difesa, rifugiandosi in spazi al riparo dell’attacco delle nuove conoscenze.
Nel frattempo il mondo segue le sue logiche: ormai lontano sempre più dalla Chiesa, l’Occidente si accorge – ma senza ammetterlo – che la separazione non dialogica di queste conoscenze sembra proprio produca prodotti acerbi.
Da un lato una scienza sempre più tecnocratica, autoreferenziale e soggetta sempre più ai capricci di un turbo capitalismo e della poteri globali dipendenti da poche persone fa sempre più paura piuttosto che dare fiducia in un futuro migliore: il suo volto disumanizzante e disumanizzato non sembra convincere del tutto, anche se se ne percepisce l’utilità indispensabile; e allora ecco che si cerca di «umanizzarla» attraverso procedimenti che la vogliono più umana, più alla portata dell’uomo della strada, più a buon mercato: di questo si nutrono i tentativi di falsificarla, di renderla appunto pseudo-scienza. Ed ecco sortire i molti casi “di Bella”, “Stamina” tanto per citare fatti di cronaca nostrani. Qui è io-egoico che semplifica, che vuole tutto e subito, che non è paziente, che rifiuta la straordinaria complessità del reale, ma anche un io ferito, in cerca di un approdo sicuro; siccome questo io è abituato fino alla saturazione a sentirsi dire che è la scienza quella che ci salverà, ma siccome i fatti sembrano proprio non dimostrarlo, allora ci si fa la scienza “a modo proprio”, quella che salva davvero! Sembra di vedere Mosè che scende dal monte Sinai trovando il popolo adorante il vitello d’oro: si cerca l’irrazionale, il superstizioso, il magico: la medesima tensione, con linguaggi diversi.
D’altra parte se certe pseudo-teorie fossero vere (per es. la memoria dell’acqua) aprirebbero la strada a infinite applicazioni tecnologiche, nuovi e interessanti mercati tanto che quei poteri tecnocratici di sui sopra ne approfitterebbero certamente: in questo i figli delle tenebre (qui i detentori del potere) sono più scaltri dei figli della luce (qui i semplici e gli indifesi); e infatti quei poteri non danno certo retta a ciarlatani di giornata, che al massimo riescono a imbonire qualche disperato disarmato, oppure sprovveduti, creando così la piccola nicchia di seguaci di cui svuotarne avidamente le tasche.
Sul piano della fede accade qualcosa di simile: la sentimentalizzazione, ha una duplice sintesi: la prima quella del fondamentalismo (non solo quello violento) che semplicemente rifiuta il dato di ragione, risolvendo il legittimo desiderio di unità con la confusione; è il caso ad esempio delle tortuose girandole argomentative dell’intelligent design. Ma anche delle atrofie delle religioni orientali, e con esse dell’islam, in difficoltà ad offrire sintesi con il moderno o con il tema dei diritti umani che urge integrare nelle rispettive tradizioni.
La fede in una vita eterna non è affatto come quella nella memoria dell’acqua: la prima funziona perché ci si crede; la seconda dovrebbe farlo perché sarebbe scientifica, e infatti vengono addotti fantomatici – quanto mai confermati – esperimenti a supporto.
Queste tensioni, che spaziano dal voler “scientizzare” la religione come descritto da Dennis Gira oppure al fondamentalismo, alle credenze superstiziose o pseudoscientifiche, che matrice hanno? Quale comun denominatore possiedono, alla radice?
Possiamo affermare che tutte anelano a un unico movimento: la voglia di rendere una la verità. Cosa santa e buona, ma nel fare questo l’ego distorto, intaccato dalla caducità del peccato, nel non accogliere i limiti dell’umano per quello che è veramente, nella propria fragilità, crea danni ed ecco che un io-ego-centrato che rimane piantato in se stesso senza purificarsi, tenderà purtroppo a pretendere una unità assoluta, distruggendo così i diversi. Volendo togliere la zizzania, ti tira via anche il grano.
Concepire i diversi nell’unità, vuol dire entrare in una logica nuova, la logica appunto relazionale, che conduce all’ io-vero. Per il credente (e praticante!) nell’ io-cristificato, liberato dal peccato e da quella caducità non ha più remore nel concepire l’unità nella diversità, perché vive esso stesso di diversità, presupposto della comunione. È questo il senso delle parole di Galileo.
La nuova umanità nascente vive ormai questi tempi come radicale trasformazione dell’umano, vivendone un apice inaudito proprio in questi giorni di pandemia globale che svela in modo apocalittico tante pieghe egoiche del presente e del passato; questa umanità dunque si trova per la prima volta nella sua storia a vedere prossima la propria unificazione al livello di specie in un'unica comunità planetaria, e non potrà quindi che concepire l’unità nella diversità come valore universale: non più per ragioni ideologiche, ma per pura esigenza di sopravvivenza; sarà qualcosa di intimamente vitale che emerge nel Regno misterioso annunciato dal Messia che lentamente si fa strada nella fatica dei corpi dolenti delle nostre vite.
Concludo citando J. Ratzinger: «Non c'è altra strada: ragione e religione devono di nuovo tornare a incontrarsi, senza risolversi l’una nell’altra. Non si tratta di tutelare gli interessi di antiche corporazioni religiose. Si tratta dell’uomo, del mondo. Ed entrambi non si possono salvare se Dio non viene presentato in modo convincente» (Fede, Verità Tolleranza, Cantagalli, Siena 2005, p. 151).
Si apre dunque la questione chiave per il cristiano del XXI secolo: come comunicare Dio in modo convincente? La nuova evangelizzazione è un tema imprescindibile: offrire nuovi linguaggi e nuove forme di dire «cose sempre nuove, e sempre antiche» (Mt 13,52) soprattutto integrando le conoscenze per una autentica liberazione dell’uomo: spiritualità, ossia pratiche spirituali serie e non vuoti contenuti, cultura, psicologia e autoconoscimento; sono esempi di discipline che non possono più essere presentate come slegate, ma proprio come “unità nella diversità” e così raccontare cose diverse di una unica realtà; all’uomo esigente di questo secolo si fornirà così quel nutrimento di cui ha bisogno: punti di vista differenti ma integrati per una unica realtà; strade diverse ma in una unica direzione; fiumi diversi verso un unico mare. Ma questa unità nella diversità non va solo professata, chiede di essere soprattutto vissuta e gustata: dove c’è verità c’è bellezza e gioia. C’è profumo di una vita sensata. Gli sterili moralismi, i cupi fanatismi, lasciamoli all’uomo vecchio.