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Fides et ratio e le tematiche della scienza

Gualberto Gismondi
1999

Introduzione

La prospettiva epistemologico-euristica relativa ad alcune tematiche della scienza, rilevabile in Fides et ratio, sembra particolarmente suggestiva e ricca di spunti attuali. L’argomento sembra pure riguardare alcuni aspetti della teologia fondamentale. Ad esempio: a) modalità per facilitare il dialogo fede-scienza, in generale e in prospettiva di una convivenza pacifica e fraterna cooperazione fra religioni, culture e società; b) basi di un più chiaro e rigoroso statuto epistemologico-euristico della teologia, se considerata  come scienza; c) fondamenti di un dialogo veramente trans-disciplinare, e non puramente interdisciplinare, fra teologia, filosofia e scienze; d) collaborazione fra teologia, filosofia e scienze in vista di una nuova cultura generale e di una cultura scientifica, in particolare.

Certamente vi saranno altri aspetti, ma questi sembrano suscettibili di significativi approfondimenti. Fides et ratio riguarda  rapporti fra fede e religione filosofica, tuttavia offe considerazioni rilevanti per le scienze, citate direttamente circa quindici volte e richiamate indirettamente circa quaranta volte. Direttamente vuol dire con riferimenti espliciti. Indirettamente vuol dire con idee e riflessioni che illuminano importanti problemi. Sono particolarmente interessanti gli accenni indiretti che riguardano problemi analoghi o affini per la filosofia, le scienze e ogni forma di conoscenza. Per essi, tuttavia, occorre un maggiore sforzo interpretativo che comporta un certo rischio ed incertezza. Ne vale la pena, ma dobbiamo riconoscerlo per assumercene la responsabilità.

Nell’Introduzione (n. 1), riguardo all’incessante cammino umano verso la verità, nell’orizzonte dell’autocoscienza personale, vi è il primo cenno indiretto, molto importante per la scienza: “più l’uomo conosce la realtà e il mondo, più conosce se stesso e la sua unicità, mentre gli diventa sempre più impellente la domanda sul senso delle cose e della sua stessa esistenza”. Sono qui espressi due punti interessanti: il primo è la conferma dell’elevato valore culturale ed euristico della scienza; il secondo è l’identificazione di tale valore nella sua illimitata capacità problematizzante. Entrambi sono decisivi per passare da una subcultura scientista  della modernità a una cultura scientifica, per la quale i tempi appaiono maturi. Abbondano, infatti, i materiali da costruzione (contenuti, principi, logiche, criteri ecc.) manca ancora, invece, il progetto architettonico. L’enciclica sembra indicarlo nell’approfondimento critico, a tutto campo, delle domande impellenti sul senso delle cose e dell’esistenza, sopra indicate.

Attualmente tale progetto appare favorito dal nuovo orizzonte culturale e problematico. Non è più quello ingenuo e limitato della scientificità pre-moderna, né quello preclusivo e ideologico dello scientismo moderno. Emerge, invece, un orizzonte d’interrogazione illimitato, complesso, critico e articolato. In esso, la attuali difficoltà per le scienze e la scientificità postmoderne non derivano più da rigidi dogmi razionalisti ma dall’indifferenziato pluralismo (n. 5) e pensiero debole, privi di risposte soddisfacenti alle rinascenti domande di senso e di valore. Esso chiama in causa la fede che, nel dialogo fra i saperi, riveste, riveste responsabilità specifiche e ruoli insostituibili. Fides et ratio sottolinea la dimensione esistenziale ed etica delle scienze, perché “quanto viene a porsi come oggetto della nostra conoscenza, diventa perciò stesso parte della nostra vita” (n. 1).

Un secondo cenno indiretto alle scienze è al n. 2: “ogni verità raggiunta è solo una tappa verso quella piena verità che si manifesterà nella rivelazione ultima di Dio”. Esso riguarda la parzialità (cfr. n. 5) cui aggiungerei la provvisorietà delle acquisizioni scientifiche. L’enciclica focalizza qui un problema decisivo, ignorato o negato dallo scientismo. Lo si vede meglio collegandoci al n. 27, che riconosce come “per sé, ogni verità anche parziale, se è realmente verità, si presenta come universale”. Il riconoscimento che la verità del sapere scientifico è parziale, ma che ciò non le impedisce di essere universale, pone le scienze nell’autentica condizione umana. Infatti questo riconoscimento è di grande importanza epistemologica, euristica e gnoseologica perché le ridimensiona e, insieme, le nobilita (cfr. n. 4). In questo modo, può collegare le loro conoscenze parziali a quelle che formano il patrimonio spirituale dell’umanità, trascurando le quali, “la ricerca della verità ultima appare spesso offuscata”. Le collega pure alla retta ragione (recta ratio).

Tale recupero motiva il successivo invito diretto alle scienze: non “indagare in maniera unilaterale” le verità che riguardano l’uomo (cfr. n. 5), che è: a) soggetto “chiamato a indirizzarsi a una verità che lo trascende”; b) persona che non può “essere valutata con criteri pragmatici basati essenzialmente sul dato sperimentale, nell’errata convinzione che tutto debba essere dominato dalla tecnica”. Qui emergono ancora nuove vie per valorizzare le verità parziali e provvisorie delle scienze, quali: l’apertura riflessiva e il collegamento alle domande radicali sul senso e sul fondamento ultimo della vita personale e sociale. Apertura e collegamento che, oltretutto, esaltano la “genuina fiducia nelle capacità conoscitive” dell’uomo, facendogli superare le chiusure nel frammento e nell’effimero, che impediscono ogni sapere, pensiero e cultura autentici (cfr. n. 6).

 

Autoconsapevolezza e verità di ciò che appare

Nel capitolo terzo, il n. 25 ricorda le “scienze che hanno portato negli ultimi secoli a così significativi risultati, favorendo un autentico progresso dell’umanità intera”. Sottolinea pure alcuni caratteri della ricerca, che esprimono il meglio dell’uomo, quali le capacità di: interessarsi “alla  verità reale di ciò che gli appare”; di giudicare “sulla realtà oggettiva delle cose”; di discernere con i propri mezzi il vero dal falso. Essi conseguono all’auto-consapevolezza (sapere di sapere) e valgono per la verità e i valori (verità dei valori). Il n. 27, come già visto, indica il corretto senso epistemologico ed euristico della “parzialità” delle scienze, “che non contraddice né impossibilita l’universalità”. Infatti, “ciò che è vero, deve essere vero per tutti e per sempre”. Con questo riconoscimento, Fides et ratio riequilibra l’eccessiva negatività di alcune epistemologie contemporanee.

Il paragrafo successivo sottolinea, tuttavia, che vi sono altre forme di conoscenza, che hanno la capacità di raccordare l’universalità all’assoluto, all’ultimità e al fondamento: “oltre a questa universalità, tuttavia, l’uomo cerca un assoluto che sia capace di dare risposta e senso a tutta la sua ricerca: qualcosa di ultimo, che si ponga come fondamento di ogni cosa”. Tale “desiderio di raggiungere la certezza della verità” al di là delle scienze e dei sistemi filosofici, permane vivo in queste forme di conoscenza: tradizioni familiari e culturali; itinerari esistenziali; autorità dei maestri. Infine ogni forma di ricerca della verità deve superare ostacoli quali: la limitatezza della ragione, l’incostanza e i diversi tipi d’interessi (cfr. n. 28).

Nonostante tali limiti, il n. 29 presenta pure la ricerca scientifica come esempio di: a) ricerca della verità; b) fiducia di poterla raggiungere; c) perseveranza di fronte agli insuccessi; d) consapevolezza che non ogni verità possiede lo stesso valore. Queste qualità ne evidenziano l’importanza per il dialogo col pensiero postmoderno. Fides et ratio ne illustra pure le analogie con “la ricerca della verità nell’ambito delle questioni ultime” e “la sete di verità”, “così profondamente radicata nella natura umana” da non poter mai “essere del tutto inutile e vana”. Al n. 30 indica altre affinità fra le diverse forme di verità, come quelle: a) del vissuto-quotidiano, che poggiano sulle evidenze immediate; b) delle scienze, che cercano conferma sperimentale; c) della filosofia, che si fondano sulla capacità speculativa dell’intelligenza umana; d) della religione, che nascono dalle risposte delle tradizioni religiose alla domanda sulle questioni ultime.

Il n. 31 rivendica, anche per le scienze, il valore insostituibile delle tradizioni: “Chi, infatti, sarebbe in grado di vagliare criticamente gli innumerevoli risultati delle scienze su cui al vita moderna si fonda?”, o”il flusso d’informazioni che giorno per giorno si ricevono da ogni parte del mondo?”, o ancora, di ripercorrere tutti i “cammini di esperienza e di pensiero per cui si sono accumulati i tesori di saggezza e di religiosità dell’umanità?”. L’uomo, non solo limitato, ma anche essenzialmente sociale, è accolto, fin dalla nascita, da tradizioni il cui valore formativo è insostituibile. Lo dimostrano le innumerevoli conoscenze in cui tutti credono, che superano di gran lunga, in ogni ambito, quelle che potrebbe acquisire personalmente. Le tradizioni, perciò, non vanno ridotte e mero ricordo del passato, ma considerate per quel che sono: un patrimonio culturale, personale e comunitario, vivo, valido per ogni singolo e per tutta l’umanità. Noi apparteniamo ad esse. In esse si radicano i nostri pensieri più originali, nuovi e i nostri progetti per il futuro (cfr. pure il n. 85).

In una sana antropologia, le credenze, come fiducia nelle conoscenze acquisite da altri, sono la radice di ogni rapporto interpersonale. Tale rapporto, per essere autentico, stabile ed intimo, deve fondarsi più sulla verità delle persone concrete, che sulla conoscenza astratta delle cose. Nel credere, l’uomo si affida (fiducia, fedeltà) alla verità che l’altro manifesta o testimonia (cfr. n. 32). quindi, per  sua natura, l’uomo cerca la verità, non solo scientifica (né solo in modo scientifico) parziale, provvisoria e fattuale ma, assai più, quella ulteriore, ultima, che spiega il senso della vita e sfocia nell’assoluto. Questo tipo di verità, essenziale per la vita umana, oltre alla razionalità, esige la fiducia negli altri, che garantiscono la certezza e autenticità della verità. Per ogni persona questo rapporto è uno dei più significativi ed espressivi. Infatti, al vertice della ragione stanno la profonda intelligibilità, la ragionevolezza (cfr. n. 34) e la consapevolezza critica di ciò in cui si crede (cfr. n. 36), che esigono e coinvolgono la partecipazione totale della persona: intelligenza, volontà, relazionalità, amicizia, fiducia e dialogo (cfr. n. 33).

 

Scienze: specificità e originalità, senza chiusure e opposizioni

Il capitolo sesto, il n. 66, rivolto alla filosofia, riguarda pure le scienze, richiamando l’esigenza che la ragione raggiunga una conoscenza naturale, vera e coerente delle cose create che sono oggetto della Rivelazione: il mondo e l’uomo. Il n. 69, dedicato al ruolo delle scienze, affronta il problema se, nella situazione attuale, il pensiero teologico più che alla filosofia debba “ricorrere all’aiuto di altre forme del sapere umano, quali la storia e soprattutto le scienze, di cui tutti ammirano i recenti straordinari sviluppi”. La risposta è che il riferimento alle scienze è utile, permettendo una conoscenza più completa dell’oggetto studiato, a condizione che non induca a fermarsi ai casi singoli e concreti, non dimentichi la necessità del discernimento critico, né di un’ampia riflessione critica (filosofica) tesa all’universale, e non si fermi infine alle opinioni umane, ma tenda alla verità oggettiva.

La mediazione delle scienze è utile anche per il dialogo fra fede e culture, al fine di comprenderne i diversi approcci alla verità, ai valori, al manifestarsi di Dio nella natura (cfr. n. 70), alle dinamiche espressive del tempo e della comunicazione, al superamento di limiti e preclusioni (cfr. n. 71). Occorre, però, che la specificità e originalità di ogni disciplina non si traduca in chiusura e opposizione alle altre (cfr. n. 72). Al riguardo, Fides et ratio nota pure l’esigenza di non separare scienze, filosofia e fede (cfr. n. 77), perché la Rivelazione non può mai umiliare la ragione nella sua legittima autonomia e nelle sue scoperte. Infine, invita la ragione a non perdere mai la sua capacità d’interrogarsi e a non ergersi mai a valore assoluto ed esclusivo (cfr. n. 79).

Fides et ratio elenca accuratamente le idee scientiste, che fuorviano la scienza, alterandone il significato e riemergendo in vari modi. Lo scientismo, come visione filosofica (meglio ancora, ideologica), tributaria del positivismo e neopositivismo, negava la validità di forme di conoscenza diverse da quelle delle scienze positive, riducendo i valori a semplici prodotti dell’emotività. Lo scientismo eliminava inoltre il concetto di essere, ammettendo soltanto la pura attualità, sottoponendo tutti gli aspetti dell’esistenza al progresso tecnico-scientifico. Equivocando il tecnicamente fattibile con il moralmente ammissibile, lo scientismo confinava le domande sul senso della vita all’irrazionale e all’immaginario, ignorava i grandi problemi della filosofia, liquidava i grandi interrogativi della vita con verdetti superficiali e analisi prive di fondamento razionale (cfr. n. 88). Esso professava dunque una visione di uomo priva di problemi etici e analisi esistenziali, negando il senso della sofferenza, del sacrificio e della morte (cfr. n. 89).

Il n. 91 dell’enciclica denuncia il permanere di una mentalità positivista-scientista, che tuttora fomenta nell’uomo l’illusione di dominare pienamente il proprio destino, mediante le sole conquiste tecnoscientifiche. L’epistemologia, invece, è vista come valore che arricchisce, criticamente, la grande eredità del sapere e della sapienza. Il n. 96 indica scienze e filosofia come esempi del valore cognitivo universale dei concetti di base, che consentono di comunicare-con ed essere recepiti-da tutte le culture. Il n. 98 ricorda la necessità di rispondere alle sfide etiche sollevate in campo scientifico, economico, sociale.

 

Conclusione – Interrogazione, ulteriorità, mistero

Nella conclusione, Fides et ratio invita esplicitamente gli scienziati a valorizzare le grandi virtualità della ricerca, che consente una crescente conoscenza dell’universo nel suo insieme e nell’immensa varietà-ricchezza delle sue componenti e strutture, offrendo così un contributo insostituibile allo sviluppo dell’umanità. Riguardo alle realtà più limitate dell’uomo e del mondo, la ricerca non cessa mai, rinviando sempre verso qualcosa di ulteriore e sollevando incessanti interrogativi che aprono l’accesso al Mistero. L’enciclica esorta perciò a compiere ogni sforzo per inserire tutte le acquisizioni tecnoscientifiche in un quadro di sapienza e di valori morali (cfr. n. 106).

Al termine di questa breve riflessione, sembra utile ricordare i temi proposti all’inizio: a) le modalità volte a facilitare il dialogo fra fede e scienza, nella prospettiva di una convivenza pacifica e fraterna cooperazione fra religioni, culture e società; b) le basi di un più chiaro e rigoroso statuto epistemologico-euristico della teologia, se considerata come scienza; c) i fondamenti di un dialogo veramente trans-disciplinare, e non puramente inter-disciplinare, fra teologia, filosofia e scienze; d) la collaborazione fra teologia, filosofia e scienze in vista di una nuova cultura generale e di un’autentica cultura scientifica.

Sembra che essi trovino significative indicazioni, in molte parti della Fides et ratio, per una ricerca e approfondimento critico. Vale quindi la pena svilupparne, in modo sistematico, le prospettive teoriche e pratiche.

 

Scritto basato sul contributo presentato alla riunione annuale di docenti di Teologia Fondamentale, Roma, 15 maggio 1999.