Dante e l’astrologia

Richard Kay

Dante è un uomo del suo tempo. In epoca medievale era consolidata l'idea che gli astri, la luna e il sole in particolare, influissero su quando accadeva nel mondo terrestre della vita. Al sole era legata la capacità generativa nel mondo degli animali e delle piante, sostanzialmente basata sul calore e l'energia di cui era fonte. Anche le stagioni, la posizione delle stelle e l'alternarsi del clima venivano considerati elementi di influenza sui caratteri, la vita e la salute degli esseri umani. Questo contesto di convinzioni era chiamato in modo generale "astrologia" ed è ad esso che l'autore del saggio, Richard Kay, fa riferimento parlando delle opere di Dante. Tale modo di intendere l'astrologia, che conviveva nella cultura cristiana e ha in fondo delle basi naturali in parte condivisibili, è ben diverso dal modo in cui la mitologia greco-pagana sosteneva l'influsso delle stelle e dei corpi celesti sula volontà e il destino degli uomini. Fin dai primi secoli dell'era cristiana, i Padri della Chiesa si opposero a quest'ultima concezione, volendo sottolineare il libero arbitrio e la piena consapevolezza dell'umano operare. È dunque nel primo senso, e non nel secondo, che si può parlare di una condivisone della cultura astrologica da parte di Dante.


 

Dante credeva nell'astrologia. Sebbene questo fatto sia raramente sottolineato dai suoi commentatori, ogni serio studioso della Divina Commedia ne è sicuramente a conoscenza. In effetti, Dante stesso espresse con rimarcabile vigore e chiarezza le sue convinzioni sull'argomento quando scrisse che «semplicemente è dell'umana intelligenza capire per il movimento del cielo il Motore e il suo volere» (Ep. V, VIII, 23). Inoltre, i tratti principali della dottrina astrologica di Dante sono esposti in due memorabili passaggi della Commedia. In Paradiso VIII 97-148 Carlo Martello spiega come l'influenza delle stelle possa sovrapporsi al fattore ereditario, cosicché i bambini spesso non assomigliano ai loro genitori; in Purgatorio XVI 67-81 Marco Lombardo ammette che gli uomini sono entro certi limiti influenzati dai cieli, ma insiste sul fatto che, ciò nonostante, essi hanno libero volere e sono quindi moralmente responsabili delle loro azioni. In aggiunta a questi due notevoli punti di riferimento, nelle opere di Dante ci sono più di altri trenta palesi riferimenti all'astrologia, due terzi dei quali nella Commedia. Qui sarebbe superfluo rivedere sistematicamente ogni passaggio, come ho fatto altrove, seguendo le orme di Moore e l'Enciclopedia dantesca, ma può esser utile riassumere ciò che può essere constatato dalle opere di Dante circa le sue concezioni sull'astrologia.

La sua premessa fondamentale e che i cieli sono gli «strumenti» di Dio per produrre bontà sulla terra. La bontà si origina sotto forma di idea nella mente divina, la quale usa il cielo come «organo dell'arte divina» per imporre forma alla materia. I cieli sono quindi sinonimo di Natura universale, la quale fornisce ogni singola cosa della sua specifica natura. I cieli rendono ogni cosa tanto perfetta quanto sia possibile in rapporto allo stato del materiale e quindi Dante dice che tutti i filosofi sono d'accordo che i cieli sono la causa della perfezione. Non c’è però accordo generale su come i cieli impartiscano le loro influenze al mondo sublunare. Dante adotta la concezione di Aristotele, secondo il quale i cieli, e più precisamente le stelle stesse, posseggono una «virtù celestiale» che irradiano sotto forma di luce.

Per lo più, comunque, Dante si interessa a che cosa i pianeti possono fare piuttosto che a come lo fanno e tra tutti i loro effetti si interessa soprattutto alla procreazione. Sebbene il concetto di procreazione di Dante includa cambiamenti concernenti cose inanimate, come l'emisfero terrestre, egli è principalmente interessato nella procreazione delle cose viventi, animate. La vita stessa, Dante afferma, è causata dai cieli ed essi dotano ogni seme di un fine che è designato dalle stelle. Dante è soprattutto interessato al ruolo che i cieli hanno nella formazione di un embrione umano, prima che questo riceva l'anima razionale direttamente da Dio. Sebbene i cieli, come strumenti di Dio, producano sempre bontà, il grado di bontà «si varia per le constellazioni, che continuamente si transmutano» (Conv. IV XXI 7).

Nella Commedia Dante fa ripetutamente riferimento al ruolo delle stelle nella formazione del carattere umano, ma un passaggio in particolare è la chiave di tutti gli altri. Nel cielo di Venere Carlo Martello spiega che, sebbene l'ereditarietà sia l'influenza basilare nella formazione del carattere umano, un secondo fattore ha spesso più influenza, dato che i cieli possono sovrapporsi all'ereditarietà (Par. VIII 133-135). Questi due fattori sono responsabili per le differenze nel carattere umano e la ragione di queste modificazioni dell'ereditarietà, spiega Carlo, è che attraverso esse Dio crea la diversità di talenti richiesti dalla società umana organizzata, che è basata sulla specializzazione e sullo scambio di servizi.

II talento che un uomo riceve dalle stelle può essere usato per buoni o cattivi scopi. La scelta è dell'uomo perché egli possiede ragione e libero volere. Nell'Inferno il punto è riconosciuto solo dal poeta che parla in retrospettiva (Inf XXVI 21-24); ma nel Purgatorio è sviluppato per esteso da Marco Lombardo in un importante discorso (Purg. XVI 67-81). «Lo cielo i vostri movimenti inizia», dichiara, ma «lume v'è dato a bene e a malizia, / e libero voler» (73, 75-76), così che ogni persona è moralmente responsabile delle proprie azioni.

I talenti conferiti agli uomini in utero non sono il solo modo in cui Dio, operando attraverso le stelle, comunica il suo volere. Certe combinazioni di stelle sono più favorevoli di altre, come per esempio all'inizio della Commedia quando il Pellegrino è confortato dal fatto che «'l sol montava 'n sù con quelle stelle / ch'eran con lui quando l'amor divino / mosse di prima quelle cose belle» (Inf I 38-40). Le stelle possono infatti sottilmente imporci il volere di Dio effettuando cambiamenti a lunga scadenza nelle preferenze irrazionali dell'umanità, o, come dice Adamo, «per lo piacere uman che rinovella / seguendo il cielo» (Par. XXVI 128-129). Alterazioni di questo tipo producono non solo cambiamenti nelle consuetudini, ma condizionano anche il corso della storia umana. Nella Monarchia Dante argomenta che le stelle producono sia nuove condizioni politiche che una guida ad esse adeguata, guida che gli elettori del Sacro Romano Impero possono identificare ricorrendo all'astrologia (Mon. III XV 12). Allo stesso modo, molte delle profezie a lunga scadenza di un grande riformatore nella Commedia sono apparentemente basate su proiezioni astrologiche (Inf I 101-111, Purg. XX 13, Par. XXVII 139- 148).

Per ricapitolare le idee di Dante sull'astrologia, allora, si può dire che egli era convinto che le stelle fossero gli strumenti usati da Dio per esprimere il proprio volere attraverso la Natura. Secondo Dante una scienza dell'astrologia è possibile perché attraverso lo studio di essa l'uomo può capire il volere di Dio così come si manifesta nel movimento dei cieli. Sebbene una tale scienza possa essere utile per spiegare la creazione di piante e minerali, il suo principale valore pratico sta nello scoprire le innate forze e debolezze del carattere umano che rendono idonei gli individui per particolari funzioni sociali. Poiché gli uomini hanno ragione e libero volere, comunque, l'astrologia non può prevedere come essi useranno i talenti di cui sono stati dotati dalle stelle. In conclusione, poiché qualsiasi cosa le stelle abbiano influenzato con il loro ascendente continua ad essere soggetta ad esse, ogni cosa sulla terra risponde costantemente al flusso e riflusso degli impulsi astrali, che Dio utilizza per regolare le vicende umane. La volontà di Dio concernente l'umanità come un tutto, così come la sua volontà in casi particolari, può quindi essere conosciuta attraverso le stelle. In breve, l'astrologia è per Dante il più alto e il più utile studio della Natura. […]  

Per stabilire l'uso degli astrologi da parte di Dante, bisogna necessariamente sottolineare i punti in comune. Ma, per controbilanciare l'iniziale impressione di somiglianza, o quasi persino di prestito meccanico, bisogna anche osservare che ci sono delle importanti differenze. Nei cieli più bassi queste ultime sono raramente evidenti, ma nel cielo del Sole si verifica un cambiamento significativo. Il materialismo degli astrologi comincia sottilmente ad essere spiritualizzato usando le proprietà dei pianeti in senso figurato. Così i nativi del Sole parlano a proposito, ma non letteralmente, di pastori e di pecore; si riferiscono invece a greggi cristiani, o congregazioni.

Nel cielo di Marte Dante ha continuato ad interpretare le proprietà materiali dei pianeti, proprietà che ha trovato nell'astrologia tradizionale, dando loro un senso figurato, spirituale. Ma Marte ha richiesto un più radicale distacco dalla tradizione astrologica perché, secondo la cosmologia di Dante, Marte, essendo più vicino a Dio, dovrebbe conferire un grado di bontà più alto dei pianeti che stanno sotto di esso, quando invece tradizionalmente esso era stato visto come sostanzialmente cattivo. Dante ha sviluppato di conseguenza la sua propria astrologia cristiana, basata sull'angelologia tomistica. Equiparando il quarto pianeta con il quarto ordine degli angeli, Dante è stato in grado di attribuire forza (fortitudo), loro distintiva virtù, al pianeta mosso da queste intelligenze angeliche. Poiché Tommaso d'Aquino include molte virtù minori sotto la virtù cardinale della forza, Dante ha potuto allo stesso modo associarle a Marte. Così la nobiltà e la magnanimità sono per Dante degli importanti temi di Marte. In questo modo il poeta è stato in grado di enfatizzare i doni positivi di Marte e nella stesso tempo mantenere, ma minimizzandole, le sue tradizionali proprietà negative, come guerra, spargimento di sangue, rabbia e orgoglio.

II caso di Giove è in un certo modo diverso. Sebbene Dante sia largamente d'accordo con gli astrologi su quali siano gli effetti di Giove, egli reinterpreta regolarmente questi dati. Alcune proprietà che gli astrologi consideravano desiderabili, come avere ricchezza, sono riguardate da Dante come funeste. In genere, egli continua a controbattere il materialismo degli astrologi sostituendo valori spirituali, e specificamente cristiani, a quelli terreni rilevanti per essi. Il processo di desecolarizzazione è più sorprendente in Giove perché, a differenza di Marte, le sue proprietà erano generalmente considerate benefiche, e quindi il lettore perspicace è continuamente sfidato ad espandere e a ridefinire i suoi preziosi valori positivi. Solo un astrologo sarebbe sconvolto nell'apprendere che Marte era in effetti un pianeta benefico, ma ognuno dovrebbe essere scioccato nell'apprendere che i benefici concessi da Giove non sono quei vantaggi materiali che si supponeva fossero. La desecolarizzazione è il principale modo di Dante per riconciliare le proprietà dei pianeti con la sua visione del mondo cristiano; essa gli permette di inserire tali proprietà nella sua opera a dozzine. Ma su Giove la sua critica dell'astrologia è più profonda, poiché il tema di questi canti è che gli astrologi, e i filosofi che questi hanno seguito, sono riusciti a scoprire solo una piccola parte di iustitia. Gli astrologi hanno percepito solo il senso politico-legale del termine; per scoprire il suo senso più lato di rettitudine come dovere verso Dio bisogna volgersi alla rivelazione. II risultato è una nuova scienza dell'astrologia che, sebbene ancora razionale, è guidata dalla rivelazione, in breve un'astrologia cristiana.

La cristianizzazione dell'astrologia culmina in Saturno. La sfida era quella di convertire il «più grande malefico» nel più benefico dei pianeti. Ancora una volta Dante si è appoggiato fortemente sulla desecolarizzazione, ma sotto una diversa prospettiva. Alcune condizioni che gli astrologi avevano considerato come sventure divengono virtù una volta viste sotto una prospettiva cristiana. La servitù conosciuta dal mondo è una disgrazia, ma il servizio a Dio comporta la forma più alta di felicità umana. Così il monaco, le cui pratiche, come digiuno e povertà, sono di gran lunga proprietà di Saturno, è il rappresentante di quest'ultimo. Questa tattica di inversione dei valori differisce dalla soluzione trovata dal poeta per la malvagità di Marte, che egli accetta fino ad un certo punto, ma controbilancia con benefici effetti suggeriti da Tommaso d'Aquino e Aristotele. II lettore è a questa punta abituato alla spiritualizzazione di particolari proprietà, ma il grado di questa modificazione di valori non ha precedenti. La manovra è ancor più efficace perché fermamente basata sulle fondamentali idee cristiane che erano, inoltre, ben conosciute perché ampiamente praticate nelle comunità monastiche. Come per Giove, Dante accetta i dati degli astrologi mentre precisa gran parte della loro interpretazione. La densità delle allusioni astrologiche nei due canti di Saturno è maggiore che in qualsiasi altro cielo planetario, così il suo impegno verso l'astrologia è affermato, e reso più evidente, anche quando egli rigetta i valori astrologici tradizionali e li rimpiazza con dei valori cristiani.

 


R. Kay, L'astrologia di Dante, in P. Boyde, V. Russo, Dante e la scienza, Longo Editore, Ravenna 1995, pp. 119-132, qui pp. 119-121, 130-132