Era fiero di essere nato nel 1920, l'anno del «miracolo sulla Vistola», come venne chiamata la battaglia del 15 agosto che diede alla Polonia, da poco tornata indipendente, la vittoria sulle truppe bolsceviche. Suo padre, sottufficiale dell'esercito austroungarico ai tempi della prima guerra mondiale, aveva preso parte a quel combattimento contro l'Armata Rossa come tenente dell'esercito polacco, guidato dal maresciallo Pilsudski. In seguito narrò più volte con orgoglio al figlio Karol che l'esito positivo dello scontro - ottenuto, secondo la tradizione, anche grazie all'intervento della Madonna - aveva impedito alle truppe di Lenin e di Trotzkij di invadere la Polonia e, da lì, tutta l'Europa, come prevedevano i piani dei rivoluzionari sovietici.
La figura paterna, sostanziata dalla serietà e dal senso di responsabilità tipiche di un militare della vecchia guardia, fu essenziale per il piccolo Karol, soprattutto dopo la prematura morte della madre Emilia, nel 1929, e del fratello maggiore Edmund, nel 1932. Spesso raccontava agli amici come gli si fosse impressa profondamente nell'animo l'immagine del padre che, in piedi accanto alla bara di Edmund (morto per curare un'epidemia di scarlattina), ripeteva le parole: «Sia fatta la tua volontà!». Era stato con il fratello che Karol aveva scoperto, all'età di undici anni, quello che sarebbe diventato in seguito uno dei pochissimi svaghi: arrampicarsi sui monti Tatra. Dopo la morte di Edmund, fu il padre, nei momenti liberi, a condurlo sulle montagne per compiere lunghe passeggiate.
La sua famiglia era profondamente legata alla tradizione polacca e radicata nella fede cattolica. L'impronta più forte nella sua formazione spirituale gli venne indubbiamente dal padre, ma anche mamma Emilia incise sulla sua maturazione umana, lasciandogli nell'animo una sensibilità che trovò poi compimento nella dimensione mariana del suo misticismo. Un percorso, quello dell'amore nei riguardi della Madonna, successivamente caratterizzato dalla straordinaria personalità del sarto Jan Tyranowski, che lo introdusse gradualmente in una profonda atmosfera di preghiera e devozione.
In un certo senso, la camera da letto di Giovanni Paolo II - sia in Vaticano, sia a Castel Gandolfo – era il sacrario delle memorie giovanili. Insieme con le immagini dei genitori e del fratello, su un tavolino erano esposte la fotografia di Tyranowski e quella del cappellano di Wadowice don Kazimierz Figlewicz, che era stato il suo catechista e confessore negli anni dell'infanzia.
Rimasto privo degli affetti familiari dopo la morte del padre nel 1941, Karol sperimentò come un allargamento del cuore: la sua nuova famiglia divennero gli amici di gioventù e poi, via via, i compagni di Seminario, i parrocchiani, gli altri sacerdoti, i suoi collaboratori nell'episcopato, i fedeli della diocesi di Cracovia e del mondo intero. […]
Il sacerdote nato dalle ceneri dell'attore
Il ricordo più antico dell'infanzia di Karol è stato tramandato dalla sua maestra d'asilo, suor Filotea: il piccolo aveva soltanto quattro anni e frequentava la scuola materna delle Nazaretane di Wadowice, in via Lwowska. Era un bambino allegro e vivace e le religiose lo chiamavano con il familiare diminutivo «Lolek». Una volta si era arrampicato su un alberello, ma un cane si era avvicinato e aveva cominciato ad abbaiare. Le suore ebbero paura che potesse morderlo e così accorsero trafelate in suo aiuto. n piccino, però, non appariva affatto spaventato.
Al primo anno di ginnasio, quando Karol aveva undici anni, risale invece un episodio che mostra la sua precoce sensibilità religiosa. Nella scuola c'era un bidello che era un forte bevitore di vodka. Un giorno, mentre si trovava sulla strada di fronte all'edificio, per l'ubriachezza non si accorse che stava sopraggiungendo una macchina: fu investito e cadde a terra gravemente ferito. Gli studenti si assieparono intorno all'uomo esitanti sul da farsi, finché, qualche minuto dopo, giunse il sacerdote della vicina parrocchia in compagnia di Karol, che era andato a chiamarlo per offrire assistenza spirituale al bidello.
I successivi anni del liceo furono quelli della scoperta del teatro, che per Wojtyła rappresentò la prima autentica passione. Già ai tempi di Wadowice aveva mostrato la propria capacità interpretativa recitando il Prometidion di Cyprian Kamil Norwid, in un concorso nel quale aveva vinto il secondo premio. Aveva diciott'anni quando, il 15 ottobre 1938, organizzò una serata di poesia insieme agli amici con i quali studiava filologia polacca all'Università Jagellonica. Dopo aver declamato alcuni versi propri, rivelò pubblicamente che desiderava diventare attore.
Dopo qualche mese iniziò a frequentare il Teatro della parola viva, guidato da Mieczyslaw Kotlarczyk, che gli affinò la dizione, precisò il ritmo della sua tempistica, ne migliorò il senso del rapporto con il pubblico. Nel giugno 1939 sostenne il ruolo del Toro, uno dei segni dello Zodiaco, nello spettacolo Il cavaliere della luna, allestito nel cortile del collegio Nowodworski. In seguito recitò nel ruolo di Gucio nei Voti delle fanciulle. L'eccezionale memoria, che supportava il suo spiccato talento, gli consentì, in occasione della messa in scena di Balladyna, di ricoprire oltre al proprio anche il ruolo di un compagno ammalato.
Durante l'occupazione nazista le rappresentazioni proseguirono clandestinamente e un giorno, con uno straordinario sangue freddo, Wojtyła continuò a recitare nel Pan Tadeusz mentre in strada era in corso un rastrellamento delle SS.
Tanto amore per le scene conviveva in Karol con un'intensa ricerca spirituale: due strade impegnative che però, prima o poi, lo avrebbero posto di fronte a una scelta difficile. Quella scelta, probabilmente, maturò proprio in coincidenza di uno spettacolo, nel quale Karol declamava un monologo del re Boleslaw l'Ardito in cui si rievocava la resurrezione di Piotrowin a opera di san Stanislaw, e alcuni frammenti del Re Spirito di Juliusz Slowacki. Come ha raccontato una testimone oculare, in occasione della prima rappresentazione Karol recitò con voce forte e convinta, mentre nella replica, quindici giorni più tardi, a malapena sussurrava le parole. Gli fu chiesto il motivo di questa inaspettata svolta interpretativa e lui rispose che aveva riflettuto ed era giunto alla conclusione che quel monologo fosse una confessione.
Gli amici si fecero l'idea che in quelle settimane dalle ceneri dell'attore fosse nato il sacerdote. Uno di loro, quando Wojtyła era già Papa, glielo scrisse in una lettera, alla quale aveva allegato la registrazione di quella recita. Ed ebbe come risposta: «Hai scritto bene. È accaduto proprio questo. Accetto di tutto cuore». La sua ultima apparizione sulle scene avvenne nel marzo 1943, come protagonista del Samuel Zborowski di Slowacki.
La forte spiritualità che animava quel giovane studente appassionato di teatro non passava certo inosservata ai suoi compagni di università. Uno di quelli che poi gli divenne amico ha testimoniato che la sua discrezione era tale che per molto tempo non avevano saputo nemmeno quale fosse il suo cognome. E così gli avevano dato il soprannome di «Sadok», dato che in quegli anni erano molto popolari i libri di Wladyslaw Grabski intitolati All'ombra della collegiata e Il confessionale, il cui protagonista era un certo padre Sadok.
In quei mesi Wojtyła compì un gesto che avrebbe potuto costargli caro. Dal 1936 c'era la tradizione di un grande pellegrinaggio annuale della gioventù universitaria al santuario della Madonna Nera di Jasna Góra. Durante l'occupazione nazista l'iniziativa era stata proibita ma, per mantenere ininterrotta la tradizione, Karol riuscì a giungere clandestinamente nel santuario con altri due delegati, nonostante Czȩstochowa fosse circondata dalle truppe di Hitler. […]
Pochi giorni dopo aver discusso la tesi di laurea, Wojtyła rientrò in diocesi, dove gli fu affidato il primo incarico, la cosiddetta aplikata, come viceparroco a Niegowić, una trentina di chilometri a est di Cracovia. Era una comunità di cinquemila anime sparpagliate in tredici villaggi e frazioni tagliati completamente fuori dai percorsi dei mezzi del trasporto pubblico. L'8 luglio 1948 don Karol partì con un autobus da Cracovia e a un certo punto dovette scendere e incamminarsi a piedi. Poi un contadino gli diede un passaggio su un carro. Giunto al confine del territorio parrocchiale, volle smontare: si mise in ginocchio e pregò per tutti i suoi nuovi parrocchiani, seguendo l'esempio di san Giovanni Maria Vianney, il famoso curato d'Ars.
Per un anno collaborò con il parroco Kazimierz Buzala e con altri tre vicari. Contemporaneamente insegnava religione in cinque scuole elementari sparse nelle campagne, per una trentina di ore settimanali, e guidava l'Associazione cattolica della gioventù femminile. Parlare in modo semplice, lavorare molto e spesso a contatto con difficili condizioni economiche e sociali, e vivere in un ambiente contadino ben diverso da quello accademico costituirono una autentica sfida pastorale per un intellettuale come don Karol.
I parrocchiani rimasero profondamente colpiti dalla sua straordinaria devozione eucaristica, manifestata in lunghe adorazioni del Santissimo Sacramento. Non di rado Wojtyła trascorreva parte della notte in preghiera davanti all'altare, steso a terra con le braccia allargate a croce. Come è stato sottolineato da un testimone, «la presenza di Cristo nel tabernacolo gli permetteva di avere un rapporto molto personale con lui: non solo di parlare a Cristo, ma proprio di conversare con lui». Dopo un po', osservando il comportamento del giovane cappellano, la perpetua gli profetizzò: «Lei diventerà vescovo».
Nell'ottobre del 1948 morì il cardinale primate August Hlond e la Chiesa polacca trovò il nuovo primate in un giovane arcivescovo, il quarantasettenne Stefan Wyszyńiski. L'episcopato intendeva infatti impegnare le forze più valide nello scontro con il comunismo, per contrastare la diffusione delle tesi marxiste. In conformità a questa linea, il 17 agosto 1949 il cardinale Sapieha decise di trasferire don Karol presso la parrocchia di San Floriano a Cracovia, situata a poca distanza dall'Università Jagellonica.
Il parroco, monsignor Tadeusz Kurowski, gli affidò la catechesi nelle classi superiori del liceo e la cura pastorale degli studenti universitari. A questi ultimi Wojtyła proponeva ogni giovedì una conferenza su questioni cardine relative all'esistenza di Dio e alla spiritualità, temi di forte impatto in quel contesto soffocato dalla propaganda comunista a favore dell'ateismo militante. Per rendere più chiare le sue riflessioni - che toccavano spesso sottili questioni teologiche - preparava schemi che venivano stampati con il ciclostile su carta da giornale. Fu in questo ambito universitario che si costituì quel gruppo di amici affiatati che trascorreva le vacanze insieme e dal quale scaturirono numerose coppie di sposi. E fu proprio sulla scorta delle conversazioni di quel tempo che prese forma e si definì la sua teologia del corpo e del matrimonio. Il noto saggio Amore e responsabilità, pubblicato nel 1960, era in origine il testo degli esercizi spirituali da lui proposti ai fidanzati.
La loro prima gita ebbe quale meta Kozy e il gruppo dormì nella parrocchia di don Franciszek Macharski, che avrebbe poi sostituito Papa Wojtyła sulla cattedra di Cracovia. Fu l'inizio di una lunga serie di escursioni, che prevedevano spesso tragitti in kayak. Tutte le mattine veniva celebrata la Messa e, dopo il Vangelo, c'era una breve omelia con la proposta di una frase su cui riflettere durante la giornata. A don Karol piaceva molto stare in mezzo alla gente, ma amava quelle gite in kayak perché, navigando da solo o al massimo con un compagno, poteva pensare e contemplare nella massima libertà. Fu per lui una grande gioia quando, nel 2000, un gruppo composto da tre generazioni di quegli antichi amici giunse a Castel Gandolfo per fare quello che venne definito «il kayak all'asciutto». Depositarono una canoa sul prato davanti a Giovanni Paolo II, cantarono in onore dello «zio» e alla fine ben centoventi persone lo salutarono una a una.
Per coinvolgere i giovani della parrocchia, don Karol ebbe anche l'idea di costituire un coro, che si avviò con cinque ragazze e altrettanti ragazzi. Venne in un primo tempo messo insieme un repertorio di Kolȩdy (gli inni natalizi di cui la Polonia ha una ricchissima tradizione). Poi, il giovane viceparroco si fece dare una mano dall'amico attore Adamski e riuscì ad allestire un Mistero quaresimale, proposto in chiesa nel periodo pasquale del 1951.
Totus tuus
L'attivismo e la preparazione culturale di don Karol fecero colpo sull'arcivescovo Eugeniusz Baziak, che aveva preso il posto del cardinale Sapieha, morto il 23 luglio 1951, sulla cattedra di Cracovia. Baziak volle indirizzarlo verso l'insegnamento universitario e così, nel settembre 1951, Wojtyła cominciò a prepararsi per l'abilitazione alla libera docenza in etica e in teologia morale. L'ottenne nel dicembre del 1953, con la tesi Valutazioni della possibilità di costruire l'etica cristiana sulla base del sistema di Max Scheler, e il caso volle che la sua fosse l'ultima abilitazione conseguita presso la Facoltà di teologia dell'Università Jagellonica, che dopo qualche mese venne soppressa dalle autorità comuniste.
Don Karol cominciò subito a insegnare nel Seminario di Cracovia e all'Università cattolica di Lublino, fino a ottenere, il 15 novembre 1957, la nomina formale a libero docente. Per comprendere l'importanza da lui attribuita a questo ministero, basterà dire che dal 1967 - quando da cardinale non ebbe più la possibilità di recarsi fisicamente a Lublino - tenne le lezioni in arcivescovado, pagando con il suo stipendio da professore il viaggio degli studenti fino a Cracovia.
Nonostante la docenza, continuava comunque a occuparsi dei suoi ragazzi, consapevole che l'impegno diretto nella pastorale non rappresentava un «di più», ma incarnava la vera essenza del suo essere sacerdote. Non fu perciò un caso che la notizia ufficiale della nomina a vescovo ausiliare di Cracovia gli giungesse nel corso di una delle consuete escursioni estive, nel luglio del 1958. La convocazione per l'incontro con il cardinale primate Stefan Wyszyńiski gli era stata preannunciata qualche giorno prima. Così don Karol aveva lasciato presso un conoscente di Varsavia l'abito talare e si era tranquillamente messo, in calzoncini e camicia, ai remi di una canoa per la traversata del fiume Łyna.
Il 3 luglio 1958 lasciò il gruppo e, accompagnato dall'amico Zdzisław Heydel, approdò a poca distanza dal paese di Olsztynek. Grazie a un passaggio su un camion carico di sacchi di farina, giunse alla stazione ferroviaria, da dove a tarda notte sarebbe partito il treno per Varsavia. Aveva con sé il sacco a pelo ma, come egli stesso raccontò più tardi, «non ce ne fu bisogno, perché non dormii affatto». Il 4 luglio si presentò puntuale nell'episcopio di via Miodowa e il cardinale Wyszyńiski gli comunicò la decisione della Santa Sede.
Wojtyła aveva già pronta l'obiezione: «Eminenza, sono troppo giovane, ho appena trentotto anni». Il primate replicò con fine ironia: «È una debolezza di cui si libererà presto. La prego di non opporsi alla volontà del Santo Padre». A Wojtyła non restò che accettare.
Il giorno seguente si recò a Cracovia per informare monsignor Baziak e chiedergli l'autorizzazione a tornare dagli amici in campeggio sul fiume Łyna. L'arcivescovo dapprima fece resistenza, spiegandogli che non gli sembrava una cosa opportuna, ma don Karol obiettò: «C'è però la domenica. Chi celebrerà la Messa per loro? Ne saranno privati». A quel punto Baziak cedette, e lo congedò sorridendo: «Vada pure. La prego però di tornare in tempo per la consacrazione! ».
da: Perché è santo. Il vero Giovanni Paolo II raccontato dal postulatore della causa di beatificazione, di Sławomir Oder con Saverio Gaeta, Rizzoli, Milano 2010, pp. 17-19; 24-30; 40-45.