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La pandemia informativa

Michele Crudele
Direttore Collegio Universitario di Merito IPE Poggiolevante
2020

Poche settimane prima dell'inizio del blocco totale delle attività per la pandemia di COVID-19, il tema del terzo seminario della SISRI, Scuola Internazionale Superiore per la Ricerca Interdisciplinare, nel ciclo dedicato a "Dove abita la verità? Riflessioni sul vero e sul falso nell'epoca contemporanea", è stato "Big Data: orientarsi tra informazione, correlazione e opinioni". Molti dei concetti espressi in quell'occasione (è disponibile la registrazione) sono di attualità in questi giorni di isolamento forzato a casa. Pensiamo soprattutto alla diffusione di fake news che ha raggiunto un livello pandemico proprio sfruttando l'interesse per tutti i temi connessi al coronavirus.

Nel panorama positivo della disponibilità di mezzi di comunicazione così avanzati che attenuano l'isolamento e consentono dialoghi a distanza, anche di grandi gruppi, in un modo che pochi anni fa non era possibile, rattrista vedere come si possa degradare uno strumento nato per la diffusione della ricerca, della scienza e della cultura: il World Wide Web secondo il suo inventore Tim Berners-Lee. Non possiamo però dare la colpa solamente ai delinquenti informatici: abbiamo tutti una responsabilità personale nel modo in cui gestiamo l'informazione ricevuta.

Non parliamo esclusivamente dei negazionisti o dei complottisti che spesso sono facilmente individuabili per il loro atteggiamento "estremo". C'è anche chi sfrutta informazioni parzialmente vere per creare illazioni o sospetti credibili. Alterano una notizia estraendola dal contesto, riportano citazioni parziali, elencano fatti veri che non hanno connessione tra loro e concludono con quello che in logica si chiama "sillogismo di falsa causa". In sostanza, "siccome è possibile che sia successo, allora è accaduto proprio così". Niente prove, niente dimostrazioni, ma affermazioni apodittiche che di evidente non hanno nulla. Ci caschiamo spesso, purtroppo.

Altro fenomeno diffusissimo è la proliferazione di documenti o messaggi condivisi inviati tramite posta elettronica, WhatsApp, Facebook e tutti gli altri strumenti di social networking. Annunciano eventi, decreti, delibere, proclami attribuiti a istituzioni pubbliche, a eminenti scienziati, al Papa. Quasi nessuno fa riferimento alla fonte originale anche perché, in molti casi, non ne esiste una autentica: sono falsi, artefatti, inventati. Scrisse Papa Francesco nel 2018: "L’efficacia delle fake news è dovuta in primo luogo alla loro natura mimetica, cioè alla capacità di apparire plausibili. In secondo luogo, queste notizie, false ma verosimili, sono capziose, nel senso che sono abili a catturare l’attenzione dei destinatari, facendo leva su stereotipi e pregiudizi diffusi all’interno di un tessuto sociale, sfruttando emozioni facili e immediate da suscitare, quali l’ansia, il disprezzo, la rabbia e la frustrazione. La loro diffusione può contare su un uso manipolatorio dei social network e delle logiche che ne garantiscono il funzionamento: in questo modo i contenuti, pur privi di fondamento, guadagnano una tale visibilità che persino le smentite autorevoli difficilmente riescono ad arginarne i danni"1. Ci caschiamo spesso, purtroppo.

Di sicuro effetto sono poi gli avvisi di presunte fatture non pagate, multe, sanzioni, possibili ripercussioni della propria navigazione in siti "discutibili". Alcuni sono evidentemente falsi perché contengono plateali errori di italiano, altri sono praticamente perfetti e imitano in tutti i dettagli gli originali. Guardando con attenzione, il link che ci chiedono di attivare ha sempre un nome strano, diverso da quello dell'istituzione di riferimento, sia essa il nostro fornitore di posta elettronica o la Polizia. Ma non prestiamo attenzione a questi dettagli e, facendo clic regaliamo la nostra password ai malviventi compilando un finto modulo. Ci caschiamo spesso, purtroppo.

Questi comportamenti sono effetto dell'eccesso di informazioni ricevute: information overload2 che provoca una bulimia informativa e un'anoressia decisionale. Senza pensare inoltriamo tutto, come in una "catena di Sant'Antonio" che esisteva già nel secolo scorso anche se era meno dilagante per la difficoltà di diffusione e il costo (tipicamente la spedizione postale).

Gli effetti di queste trappole sono diversi ma, alla fine, convergono verso il guadagno dei delinquenti che le attivano. Gli inganni puramente informativi sembrano innocui ma, a parte il tempo perso e fatto perdere ad altri, costituiscono un'ottima base di allenamento per gli imbroglioni che si preparano a lanciare l'attacco vincente. Abituando la gente a leggere tutto, scaricare tutto, diffondere tutto, la predispongono ad accettare anche la trappola suprema che, in questi ultimi anni, è il ransomware, una tipologia di virus informatici che crittografa tutti i dati della vittima e chiede un riscatto per recuperarli. Può essere utile leggere la breve guida su come evitarli, perché spesso non sono eliminabili.

Purtroppo le nostre istituzioni pubbliche non aiutano la prevenzione. Nell'utilizzare siti ufficiali per questioni importanti, come è la pandemia attuale, distribuiscono le stesse informazioni tra vari portali, duplicando i documenti (ad esempio il "Vademecum in caso di dubbi") oppure non gestendone le versioni obsolete o gli errori. Capita così che per molti giorni nel portale governo.it si trovi la scritta "Modulo di autodichiarazione per gli spostamenti" ma il risultato sia La pagina richiesta "/it/sites/default/files/allegati/nuovo_modello_autodichiarazione_26.03.2020.pdf" non è stata trovata. Stiamo parlando del documento più utilizzato in Italia in questi giorni! Al Ministero dell'Interno avrebbero dovuto gestire questo documento chiamandolo sempre modello-autodichiarazione-in-vigore.pdf e sostituendolo ogni volta che era necessario aggiornarlo. In questo modo tutti i riferimenti a quell'originale sarebbero stati sempre validi senza necessità di doverli rinnovare a ogni modifica. Con questo comportamento poco coerente, incitano i cittadini a scambiarsi allegati invece di far riferimento alla fonte e, come è capitato, girano anche finti documenti ministeriali o bozze senza data o decreti "firmati digitalmente" senza la firma digitale, contribuendo a confondere le idee.

Inoltre le istituzioni dovrebbero distinguere chiaramente le notizie dalle direttive, dando rilievo a queste ultime facilitandone la lettura e il riferimento, limitando all'essenziale la quantità di altre informazioni, soprattutto se non pertinenti alla situazione di emergenza.

Un'analogia al problema della mancanza della fonte unica informativa è l'ormai cronica resistenza dell'Italia a far utilizzare il numero telefonico unico europeo (NUE 112) per le emergenze, ostinandosi a mantenere la pluralità di numeri per le diverse necessità. Per questo è stata anche sanzionata dall'UE. A tutt'oggi il NUE è attivo solamente in alcune città e province.

Quali sono quindi le buone pratiche personali che derivano da quanto descritto finora? Se siamo, giustamente, molto attenti alla prevenzione del virus biologico, perché non adottiamo misure di sicurezza anche per il virus informativo e per quello informatico?

Innanzi tutto non rilanciare mai una notizia o un documento se non c'è il riferimento alla sua origine, cioè il link a un sito attendibile. Ad esempio, se il documento ha come estensione .pdf.pdf.pdf, c'è da sospettare una manipolazione: chissà che non contenga un virus. Forse, come è capitato, è semplicemente stato compresso più volte, ma non è prudente fidarsi.

Secondo, abituarsi a verificare le notizie ricevute andando a cercarle nei siti ufficiali o istituzionali. Un modo molto efficace è, con Google o Bing, aggiungere alle parole da cercare (per esempio, parte di una frase presa dalla notizia) la dicitura site:nomesitoistituzionale.it (o quel che sia). In questo modo si potrà cercarle esclusivamente in quel sito: se non appaiono, è quasi certo che si tratta di un falso. Con le frasi del Papa il fenomeno è molto frequente: a ogni Natale torna ad essere diffusa la presunta omelia che dice "Ricorda che essere felici non è avere un cielo senza tempesta". Ebbene, scrivendo quelle parole su Google e aggiungendo site:vatican.va si ottiene: nulla! Ormai è così famosa che, cercando le sole parole, appaiono ai primi posti le dimostrazioni che è una "bufala". Ma i burloni (o malandrini?) ci riprovano con altre nuove.

Per chi vuole divertirsi o approfondire, le "bufale" più diffuse sono quasi immediatamente recensite da bufale.net o da Butac, che non sono infallibili, ma fanno un ottimo lavoro di valutazione della veridicità. Per gli anglofoni c'è il più famoso e completo Snopes.

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1Messaggio del Santo Padre Francesco per la 52ma Giornata mondiale delle comunicazioni sociali, 24 gennaio 2018

Why smart people believe coronavirus myths, BBC Future, 7 aprile 2020