Si affrontano in questo brano, in modo fugace ma ugualmente coraggioso, i problemi teologici posti dal necessario confronto fra storia del cosmo e storia della salvezza. Insistendo sulla novità della Risurrezione di Gesù Cristo e sul suo valore normativo per l’intero cosmo, Rahner sottolinea che l’auto-comunicazione di Dio all’uomo si è compiuta “nella carne”, vedendo in ciò la garanzia che anche il futuro del cosmo materiale sarà adatto ad esprimere la comunicazione definitiva di Dio all’uomo nella gloria.
Infine dobbiamo ancora precisare se e in che modo la storia della salvezza dell’uomo, così com’essa è concepita dalla fede e dalla teologia, può esser inserita nell’evoluzione e nella storia naturale di tutto il cosmo. Qualcosa abbiamo già detto prima al riguardo; molti elementi non potranno esser qui esplicitati; tuttavia dobbiamo cercare di aggiungere qualche spiegazione. Il fatto che all’interno dell’evoluzione e della storia universale esista una storia della libertà di esseri corporei, spirituali e personali (gli uomini) — per i quali il cosmo costituisce il presupposto, lo spazio esistentivo e (in maniera graduata) addirittura il momento intrinseco (mediante la corporeità e la sensibilità) — non crea alcuna difficoltà, qualora non si veda nella materia e nello spirito due entità semplicemente disparate e contrastanti, ma si pensi la materia come in fondo «spirituale» e orientata allo spirito (coscienza) e addirittura (per quanto in maniera essenzialmente graduata) come momento costitutivo intrinseco della spiritualità creaturale - le quali affermazioni la fede cristiana lungi dal proibire impone di fare.
Oggi è difficile vedere nella storia cristiana della salvezza dell’umanità un momento normale, per quanto specificamente proprio e sublime, della storia del cosmo per il fatto che il «risultato» di tale storia della salvezza oggi non può più, a quanto pare, essere propriamente insediato nel cosmo (delle odierne scienze naturali); d’altro lato però, la fede cristiana, alla luce del dogma della «risurrezione della carne», sembra vietare una collocazione pura e semplice di tale risultato della storia della salvezza al di fuori di questo cosmo materiale.
La vecchia teologia non trovava qui difficoltà: nel cosmo accessibile in linea di principio all’empiria essa conosceva un luogo per il Cristo risorto, per gli angeli, per gli uomini divenuti beati, per i demoni e per l’inferno. Tali luoghi non sono più immaginabili nel cosmo odierno, a motivo dell’attuale concezione evolutiva del mondo. Naturalmente a questo punto è possibile appellarsi subito al principio già spesso toccato, secondo il quale, data la pluralità originaria delle conoscenze umane, non possiamo o non dobbiamo attenderci in partenza di giungere in ogni caso a una sintesi positiva delle nostre affermazioni inizialmente disparate — con la conseguenza che l’assenza di una simile sintesi non è ancora un motivo per negare una parte del materiale non sintetizzato e che quindi non ci è lecito rigettare affermazioni legittime di un’escatologia esistentiva per il fatto che non sappiamo come sintetizzarle positivamente con le nostre idee circa la storia del cosmo.
Al riguardo notiamo ancora che il cristiano non può in partenza dire che tali affermazioni escatologiche sulla vita eterna personale, sulla trasfigurazione del corpo ecc. non avrebbero a priori alcuna relazione col cosmo materiale; noi infatti affermiamo un’identità tra l’uomo dell’aldiqua e il salvato giunto alla beatitudine, crediamo in una risurrezione della carne, speriamo una «nuova terra», e non ci è lecito «demitizzare» tali affermazioni sino al punto di trasporre nel loro contrario quanto esse intendono in fondo affermare. Infine ricordiamo che tali difficoltà risultano aggravate dal fatto che la teologia cattolica non può rendersi accettabili realtà escatologiche affermate dalla fede assegnando loro un’esistenza meramente futura al termine della storia del cosmo o dell’umanità.
Bisogna già assegnare fin d’ora una realtà mondana perlomeno al Cristo risorto (e a Maria). Ma possiamo e ci è lecito concepirla come semplicemente separata dal cosmo attuale e dalla sua materialità? L’odierna concezione della materia, che parla in termini di unità di campo, pone sicuramente nuovi problemi al teologo, ch’egli deve in qualche modo affrontare, anche se non potrà rispondere in maniera propriamente positiva — ciò che dovrà ammettere tranquillamente.
D’altro lato bisogna però affermare anche questo: la storia della libertà nell’esistenza spirituale del soggetto della libertà e, in essa, il pervenimento a sé del mondo sono un dato di fatto empirico. Chi afferma un’evoluzione universale come schema fondamentale della realtà e della sua comprensione, deve poi inserire tale dato di fatto in questa concezione del mondo; deve dire che tutta la realtà si è sviluppata nel corso di un’evoluzione (in fondo orientata, nonostante il « caso ») nella direzione di questa storia della libertà e che quest’ultima (non più superabile perlomeno sotto molti aspetti) è ciò verso cui le fasi precedenti dell’evoluzione del mondo si sono sviluppate attraverso l’autotrascendenza. Ciò posto, la possibilità di sviluppi errati, di vicoli ciechi e di cadute, così come essi vengono concepiti nella storia teologica della salvezza, non stupiscono più.
Inoltre può rimanere aperta la questione sul dove e quando tale autotrascendenza dell’evoluzione del mondo verso la storia della libertà è riuscita. In ogni caso essa è riuscita nel campo della nostra esperienza. Quando poi, da queste premesse e in questa cornice, la rivelazione cristiana (di cui non dobbiamo qui esaminare l’essenza formale più precisa, essenza che comunque non equivale a un intervento aggiuntivo miracoloso di Dio, ma si verifica di fatto liberamente nel campo della nostra esperienza ovunque esiste una trascendentalità illimitata dello spirito creato) afferma che tale evoluzione del mondo culminante nello spirito si supera di fatto ancora una volta (con la grazia e la gloria) fino a raggiungere la vicinanza immediata al Dio assoluto, ciò — pur essendo un dato della rivelazione soltanto — può senz’altro esser visto come un prolungamento dell’evoluzione del mondo, che sotto la dinamica di Dio stesso si muove verso lo Spirito, che ha un rapporto diretto con Dio stesso.
Che in una simile evoluzione del mondo la materia non vada concepita come una semplice rampa di lancio o il primo gradino di un movimento, che poi viene semplicemente lasciato indietro o gettato via, è cosa che il pensatore cristiano si vede imposto dal dogma della risurrezione della carne.
Anche se non riusciamo a immaginarci positivamente quale funzione e ruolo il materiale debba ancora svolgere in una simile fase finale dello spirito nell’unità immediata con lo Spirito assoluto, questo dogma, secondo il quale la materia viene inserita nella definitività del compimento insuperabile della creatura spirituale, è un’apoteosi della materia quale il materialismo meschino non osa neppure pensare. (Per inciso: se non concepiamo — in maniera abiblica e platonica — gli angeli come privi di relazioni con la materia, neppure la loro gloria è un argomento contro quanto abbiamo detto). In questa luce bisognerebbe ovviamente ricordare al cultore di scienze naturali ch’egli non ha il diritto di far scomparire alla fine il mondo materiale nel buco nero del nulla, ad esempio attraverso un collasso gravitazionale.
Com’egli non ha il diritto e il dovere di «indagare» al di là dell’esplosione originaria, così non è compito suo speculare su una fine pura e semplice di tutta la realtà materiale.
A proposito di un simile inserimento, perlomeno pensabile, della storia della salvezza nell’evoluzione universale del cosmo, la fede cristiana ha ancora una cosa da aggiungere: dato che in una simile evoluzione, se rettamente intesa, bisogna di per sé attendersi sorprese, sviluppi errati, vicoli ciechi e arresti, essa dichiara aggiuntivamente e con un ottimismo derivante dalla grazia di Dio e superante ogni possibile pessimismo che tale evoluzione del mondo nella fase della sua storia spirituale non solo può giungere in linea di principio alla vicinanza immediata a Dio, ma che essa è già entrata in una fase nella quale questo traguardo sarà in effetti e senza possibilità di ritorno raggiunto dalla storia della libertà nella sua totalità (senza fare un’affermazione teoretica sul singolo), e che la caduta di per sé possibile e l’arresto non si verificheranno. Tale impossibilità di tornare indietro e tale pervenimento al traguardo dell’evoluzione del mondo e della storia della sua libertà sono garantiti dal dogma cristiano che vede in Gesù di Nazaret il «Logos incarnato in Dio», la promessa salvifica irrevocabile di Dio.
Nel nostro contesto è particolarmente significativo che il punto in cui Dio afferra irrevocabilmente e definitivamente l’altro della sua creazione in un’ultima auto-comunicazione, non viene caratterizzato come spirito ma come carne. In questa luce l’inserimento della storia della salvezza nella storia del cosmo è in linea generale sanzionato per il cristiano, anche se poi possono rimanere aperte mille questioni circa il modo in cui ciò può avvenire. Per quanto teologia e scienze naturali vadano chiaramente e accuratamente distinte tra di loro, esse hanno tuttavia a che fare l’una con l’altra, perché tutto l’uomo — che è natura, patisce la natura e coltiva le scienze naturali — è chiamato alla salvezza che è il Dio incomprensibile in persona.
Karl Rahner, Scienze naturali e fede razionale, in "Scienza e fede cristiana" (Nuovi Saggi, vol. IX), Paoline, Roma 1984, vol. IX, pp. 79-84.