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Romano Guardini: uno sguardo al futuro

Francisco Fernández Labastida


L’anno 1968 è stato senza dubbio un momento di svolta nella storia del Novecento. L’offensiva di Tet, lanciata dall’esercito del nord alla fine di gennaio, cambierà la percezione del popolo statunitense e dell’opinione pubblica mondiale sull’andamento della guerra del Vietnam, annunciando la prima grande sconfitta dell’interventismo americano durante la Guerra Fredda. La “Primavera di Praga” — la stagione di liberalizzazione politica nella Cecoslovacchia comunista, inaugurata agli inizi del sessantotto — viene soffocata nel sangue dai carri armati sovietici alla fine di agosto. Il 4 aprile è ucciso a Memphis (Tennessee, USA) il pastore battista Martin Luther King Jr., paladino della lotta per il riconoscimento dei diritti civili degli afroamericani, e il 4 giugno a Los Angeles, California, toccherà la stessa sorte a Robert F. Kennedy, candidato democratico alla presidenza degli Stati Uniti e fratello di John F. Kennedy, presidente americano assassinato cinque anni prima. Nel mese di maggio, lo scontento che da tempo si covava tra i giovani, sfocia in rivolte studentesche e operaie soprattutto in Italia, Francia e Germania, che si riverberano in tutto l’ambito culturale occidentale. Il Papa Paolo VI pubblica il 25 luglio la sua enciclica Humanae Vitae sulla regolazione della natalità, che verrà aspramente contestata da molti, dentro e fuori della Chiesa Cattolica. In fine, il 2 ottobre, dieci giorni prima dell’inizio delle Olimpiadi che ebbero luogo a Città del Messico, una manifestazione studentesca in quella sede verrà violentemente repressa dall’esercito, con un saldo finale di centinaia tra morti e “desaparecidos”.

In mezzo a così grandi sconvolgimenti, non sorprende che la morte di Romano Guardini il primo ottobre di quell’anno sia passata pressoché inosservata dal grande pubblico. Tuttavia, i cambiamenti epocali nella società europea tra il XIX e XX secolo — la rivoluzione industriale e tecnologica, la crescita esponenziale del sapere scientifico, il consolidamento dei movimenti operai e socialisti, della secolarizzazione e della spinta verso la scristianizzazione, ecc. —, che sono stati all’origine degli accadimenti del sessantotto, sono stati al centro delle riflessioni di questo sacerdote cattolico, fine teologo e filosofo, prestigioso professore alle università di Berlino e di Monaco di Baviera, promotore tra le due guerre mondiali della presa di coscienza cristiana fra i giovani tedeschi, e precursore del rinnovamento liturgico che si cristallizzò nelle riforme del Concilio Vaticano II.

Romano Guardini è stato un uomo di frontiera. In lui si incontravano e interloquivano mondi diversi. Nato a Verona ma trasferitosi con i genitori a Magonza in Germania in tenerissima età, in lui si integravano lo spirito riflessivo del popolo tedesco e la sensibilità del mondo mediterraneo. Nato alla fine del XIX secolo, questo intellettuale italo-tedesco visse in prima persona i mutamenti culturali che a cavallo dei due secoli stavano per cambiare la faccia dell’Europa. Lo spirito universitario di apertura, pensiero critico ed interdisciplinarità gli era connaturale: prima di scoprire la sua vocazione sacerdotale e dedicarsi intellettualmente alla teologia, frequentò corsi di Chimica ed Economia Politica presso le università di Tubinga, Monaco di Baviera e Berlino. Non contemplò mai freddamente gli eventi del suo tempo, ma vi riflettè con coinvolgimento esistenziale. Non gli erano estranee né le paure e le angosce dei suoi contemporanei, né le loro gioie e speranze. Tutto ciò che succedeva in torno a lui gli apparteneva oppure sollecitava da lui una risposta. Non fece mai teologia o filosofia della religione prescindendo — o alle spalle — della cultura e della scienza del suo tempo, ma in un dialogo a volte aperto a volte sottinteso con le altre istanze che modellavano la società. Non per caso egli è stato chiamato ad inaugurare la cattedra di “Filosofia della religione e visione cattolica del mondo” (Religionsphilosophie und katholische Weltanschauung) nella protestante università di Berlino.

In questa breve presentazione vorrei abbozzare due aspetti dell’attività docente e pubblicistica di Guardini che mi sembrano specialmente rilevanti nel contesto del rapporto fra fede e ragione, nonché fra teologia e scienze.

Il primo riguarda una caratteristica saliente del suo modo di fare teologia. Di fronte ai problemi teologici che la crescente secolarizzazione e scristianizzazione della società e cultura europee ponevano all’esistenza umana e cristiana, egli evita soluzioni intellettualistiche, astratte, fatte a tavolino. La sua indole naturale, concreta e vitale, preferisce cercare risposte concrete, incarnate nelle luci e nelle ombre del pensiero e nell’esistenza di coloro che hanno affrontato sfide simili. «Come accade che un uomo creda? Che non soltanto sia religioso o impegnato a cercare, ma creda nel chiaro e pieno significato che il termine ha nell’uso della Scrittura e della Chiesa? Come si presenta la struttura della coscienza cristiana che riposa su siffatta fede? Come si compie una vita che da tale fede è determinata?». Per trovare una risposta a questi interrogativi che colpiscono nel vivo dell’esistenza cristiana dei nostri contemporanei, egli domanda a Blaise Pascal, scienziato e uomo di fede, che affrontò di petto queste domande e ne offrì, oltre che una risposta teoretica con i suoi scritti, una risposta esistenziale con la sua vita. Come segnala Guardini nel brano antologico sul Memoriale di Pascal che mettiamo in evidenza in questo speciale, costui visse intensamente il rapporto personale con il Dio vivente senza cessare «di essere matematico, fisico, ingegnere, psicologo e filosofo». In effetti,

«La realtà alla quale si indirizzano queste discipline egli l’ha veduta dopo come prima e di quelle discipline era deciso, dopo come prima, a soddisfare le legittime esigenze. Ma una nuova realtà, quella del Dio vivente, gli si era dischiusa oltre l’antica; realtà che non poteva lasciare e nemmeno isolare e chiudere in una speciale sfera, secondo, per esempio, il metodo idealistico della doppia verità. Essa esigeva infatti un ripensamento di tutto il reale, dalla prospettiva che veniva ponendo. Se a un fisico che aveva visto dapprima nel corpo umano soltanto la statica e la dinamica di determinate strutture e forze, un giorno si disvelasse finalmente che cos’è la vita, egli non potrebbe allora fare due scompartimenti, uno per la struttura fisica dell’uomo e l’altro per la sua vitalità. Egli si sentirebbe sollecitato piuttosto a porsi il problema della ‘fisica della vita’, e così i fenomeni fisici finirebbero necessariamente col ricevere, alla luce di quelli più alti della vitalità, una nuova sistemazione. Qualcosa di analogo ancora gli accadrebbe se si dischiudesse la realtà dello spirituale e del personale. Così accade qui su un piano di nuovo più alto — però non semplicemente più alto, ma propriamente e definitivamente alto — di fronte a quell’avvenimento che viene dal cielo, dall’alto: per Pascal il mondo resta il mondo; la filosofia resta la filosofia; ma tutto viene assorbito in un nuovo complesso e al pensiero viene richiesto un nuovo sforzo per la consapevolezza che quel Dio, che il filosofo intende come l’‘Assoluto’, è in realtà il Dio vivo che entra nella storia nella persona di Gesù Cristo; e il rapporto dell’uomo verso Dio, che la dottrina filosofica dell’esistenza concepisce come ‘rapporto con l’Assoluto’, è in realtà la vita del chiamato da Dio tesa verso il Dio vivo».

Allo stesso modo di Pascal, il cristiano di oggi è chiamato a incarnare in unità di vita la sua attività scientifico-culturale e professionale, assieme al rapporto personale con Dio. Sono piani diversi che non si oppongo. Essi sono sì distinti, ma si compenetrano nell’esistenza concreta del cristiano. Noi possiamo scoprire nella vita di Guardini uno sforzo analogo di unità di vita intellettuale, in cui la riflessione teologica non è uno scompartimento stagno, ma comunica con la riflessione filosofica e scientifica sulla realtà. Però, proprio perché si tratta di vita intellettuale, e non di pensiero astratto, la sua riflessione teologico-filosofica era alimentata tanto da una intensa vita personale di relazione con Dio come dal rapporto fraterno con le persone che gli stavano attorno.

Il secondo aspetto riguarda la sua visione positiva dell’evoluzione della civiltà occidentale e lo sguardo speranzoso rivolto verso il futuro dell’umanità. Chi leggesse soltanto le prime otto lettere del volumetto Lettere dal lago di Como, pubblicato da Guardini a metà del periodo fra le due guerre mondiali, potrebbe scorgere le riflessioni di uno spettatore attento delle profonde trasformazioni che la cultura scientifico -tecnologica operava sulla natura e sulla società europee. Esse lasciano tuttavia al lettore un’impressione piuttosto fatalista e scoraggiante, di chi rigetta il nuovo e rimpiange un’epoca dorata dell’umanità che non tornerà più. Da questo punto di vista, egli incarnerebbe il pessimismo dello Zeitgeist. Tuttavia, la chiave di lettura di Guardini sui cambiamenti in atto e sul futuro che ci aspetta si trova nella nona e ultima lettera, in cui egli ribalta quella prima impressione del lettore. Basti a modo di esempio qualche riga del testo “La tecnica e l’uomo”, che presentiamo nell’antologia e che è stato preso da quella lettera:

«Il nostro posto è nel divenire. Noi dobbiamo inserirvici, ciascuno al proprio posto. Non dobbiamo irrigidirci contro il 'nuovo', tentando di conservare un bel mondo condannato a sparire. E neppure cercare di costruire in disparte, mediante una fantasiosa forza creatrice, un mondo nuovo che si vorrebbe porre al riparo dai danni dell'evoluzione. A noi è imposto il compito di dare una forma a questa evoluzione e possiamo assolvere tale compito soltanto aderendovi onestamente; ma rimanendo tuttavia sensibili, con cuore incorruttibile, a tutto ciò che di distruttivo e di non umano è in esso. Il nostro tempo è dato a ciascuno di noi come terreno sul quale dobbiamo stare e ci è proposto come compito che dobbiamo eseguire.

E, in fondo, noi non vogliamo che sia altrimenti. Il nostro tempo non è una via sulla quale dover procedere, esteriore a noi stessi. Noi stessi siamo il nostro tempo! Nostro sangue e nostra anima, questo è il nostro tempo. Siamo in rapporto col tempo come lo siamo con noi stessi, lo amiamo e lo lodiamo in un medesimo sentimento. E ciascuno sta in rapporto al tempo secondo la propria attitudine: irriflessivo se è irriflessivo verso se stesso, risoluto, se tale è verso se stesso.

Noi amiamo la forza intensa di questo tempo e la sua volontà di assumere le proprie responsabilità. Amiamo la risolutezza con cui affronta i rischi delle soluzioni estreme. La nostra anima non rimane insensibile davanti allo spettacolo di valori che cercano di farsi strada e di affermarsi. Noi proviamo commozione per tutto ciò pur avvertendone il lato discutibile, pur restando ancora sensibili alla deliziosa attrattiva del passato. Bisogna aver lucidamente considerato ciò che si sta per intraprendere, se si vuol trovar la forza di sacrificare con cuore saldo l'indicibile nobiltà del passato.

E neppure si deve pensare che questa evoluzione sia anticristiana. Tale può essere, talvolta, la mentalità che le presiede, ma non l'evoluzione in se stessa. Anzi, la scienza, la tecnica e tutto ciò che da esse deriva sono state rese possibili soltanto per mezzo del Cristianesimo».

L’atteggiamento di Guardini non è quello di chi si abbandona alla forza dei cambiamenti, ma quello di chi non ha paura del nuovo e lo assume criticamente, per guidarlo e trasformarlo in senso umano e cristiano. Egli ci ricorda che il cristiano non è un alieno nella società contemporanea ma un uomo del suo tempo, che è chiamato a viverlo da cristiano in prima persona, senza ingenuità ma anche senza chiusure a priori, senza spiritualismi né scetticismi. La testimonianza di vita di Romano Guardini è anche in questo senso una chiamata a incarnare il divino e il trascendente nell’oggi della propria esistenza sulle orme di Gesucristo, il Figlio di Dio fattosi uomo.