Nel 1661, dopo un lungo periodo di gestazione, vide la luce lo Sceptical Chymist di Robert Boyle,opera giustamente considerata una pietra miliare nella storia della chimica.L'anno precedente (1660), Boyle aveva pubblicato i New Experiments, in cui confluivano i risultati delle ricerche sperimentali sull'aria, condotte per mezzo della famosa air-pump. Boyle cominciò a scrivere sui temi dello Sceptical Chymist, ovvero sugli elementi che costituiscono i corpi composti, tra il 1650 e il 1654 1. A metà degli anni Cinquanta del XVII secolo egli compose un primo abbozzo di quel che poi sarebbe divenuto il Chimico Scettico. Si tratta di un breve saggio dal titolo Reflexions on the Experiments vulgarly alledged to evince the 4 Peripatetique Elements, or ye 3 Chymicall Principles of Mixt Bodies conservato presso gli Archivi della Royal Society di Londra e pubblicato da M. Boas Hall nel 19542. Boyle si dedicò alla stesura del Chimico Scettico mentre era a Oxford, dove si era stabilito nell'inverno 1655-56. In quegli anni, Oxford costituiva uno dei centri più avanzati della ricerca scientifica e Boyle svolse un ruolo di primo piano nella comunità oxoniense, in particolare con l'organizzazione di un vero e proprio corso di chimica3. La chimica era stato uno dei primi interessi coltivati dal giovane Boyle, che già in una lettera del febbraio 1647 aveva fatto riferimento alle sue ricerche in questo campo4. La partecipazione alle attività del circolo di Samuel Hartlib e in particolare la collaborazione con l'alchimista George Starkey contribuirono a perfezionare le competenze boyleane in fatto di chimica pratica5. Uno degli autori che Boyle studiò con maggior attenzione fu il medico belga Jean Baptiste van Helmont (1577-1644), che aveva assimilato, e sotto molti aspetti criticato, la chimica paracelsiana6. La cosiddetta prima versione ("Reflexions") del Chimico Scettico testimonia la persistente influenza di alcuni aspetti dell'opera helmontiana nella chimica boyleana, in particolare la confutazione della teoria dei principi chimici. L’obiettivo delle "Reflexions", così come del Chimico Scettico, è la confutazione della dottrina paracelsiana dei principi chimici. Secondo i paracelsiani, tutti i corpi sarebbero composti di tre distinte sostanze, ovvero, sale, zolfo e mercurio. Questa teoria sostituiva quella peripatetica dei quattro elementi (terra, acqua, aria, fuoco) quali costituenti ultimi dei corpi7. Il medico francese Joseph Duchesne (1546-1609), noto come Quercetano, aggiunse ai tre principi paracelsiani acqua e terra, portando a cinque il numero delle sostanze ritenute semplici e presenti in tutti i corpi composti. Da ogni composto sarebbero ottenibili, per mezzo dell’azione del fuoco, i cinque principi, detti anche principi spagirici. Le proprietà dei corpi erano fatte derivare dalla presenza dei cosiddetti principi: al mercurio (da alcuni chiamato anche spirito) era attribuita l'origine della volatilità; al sale della solidità e la durezza; allo zolfo (chiamato anche olio) della combustibilità. Acqua e terra erano considerati principi passivi, ottenuti per mezzo del fuoco, ma privi di capacità di agire nelle reazioni chimiche.
Gli argomenti boyleani contro i principi chimici erano in parte tratti dall’Ortus Medicinae di van Helmont, che aveva ritenuto che tali sostanze, lungi dall'essere semplici, erano in realtà composte e che l'analisi per mezzo del fuoco non era in grado di estrarre i componenti ultimi. Sostanza semplice e principio di tutti i corpi era a suo avviso l'acqua. Seguendo van Helmont, il giovane Boyle ipotizzò (nelle "Reflexions") che l’acqua, e un agente immateriale che chiamò semina rerum, fossero i principi da cui sono formati i corpi composti.
Il Chimico Scettico, opera in forma di dialogo, è stato erroneamente considerato il primo trattato in cui appare la definizione di elemento chimico. In realtà Boyle si limitò ad affermare che elemento o principio dovrebbe essere una sostanza perfettamente semplice e omogenea e che quindi nessuno dei principi chimici lo era. L'intento dell'autore non era di stabilire quali fossero i principi ultimi dei corpi, ma confutare sperimentalmente che le sostanze ritenute semplici e omogenee fossero tali. Nello Sceptical Chymist Boyle prese in esame le teorie chimiche dell’epoca e si impegnò in un’articolata confutazione sperimentale della concezione aristotelica dei quattro elementi e di quella paracelsiana dei cinque principi. Mentre van Helmont aveva affermato che la sostanza ultima di cui sono composti i corpi naturali è l’acqua, Boyle negò che l'acqua fosse una sostanza semplice e non si pronunciò sul numero dei costituenti ultimi8. Egli volle confutare la concezione dei chimici paracelsiani per la quale da tutti i corpi è estraibile per mezzo del fuoco lo stesso numero di sostanze semplici – sostanze da cui sarebbero formati tutti i composti. Boyle dimostrò sulla base di dati sperimentali che vi sono sostanze, come l’oro e l’argento, da cui non è possibile estrarre i cosiddetti principi chimici. Dimostrò inoltre che le sostanze che i paracelsiani credevano essere semplici e incomposte potevano essere ulteriormente analizzate. Infine, Boyle rifiutò il metodo tradizionalmente impiegato per analizzare i composti, ossia l’analisi per mezzo del fuoco; dimostrò infatti per via sperimentale che il fuoco in molti casi ricombina gli ingredienti dei corpi invece di separarli. Boyle espresse riserve sulle classificazioni e la terminologia di cui faceva uso la chimica: essa era a suo avviso oscura e basata su generalizzazioni arbitrarie. Ad esempio, con il termine sale si indicavano sostanze tra loro diversissime, mentre occorreva – secondo Boyle – distinguere sali acidi, sali alcalini e volatili. Analogamente per gli spiriti, i chimici erano soliti indicare con questo termine tutte le sostanze liquide e volatili prodotte per distillazione. Secondo Boyle, occorreva distinguere tre tipi di spiriti: acidi (come lo spirito di nitro), alcalini (come lo spirito presente nell’urina) e infiammabili, ottenuti per distillazione. Al fine di giungere ad una più accurata classificazione delle sostanze chimiche e, in particolare, per identificare acidi e alcali, Boyle perfezionò gli indicatori chimici in uso e ne introdusse di nuovi. Tra le sostanze maggiormente utilizzate da Boyle vi era lo sciroppo di viole, estratto dai petali di viola, e il cosiddetto lignum nephriticum, l’Eysenhardtia polystacha, una pianta di origine messicana. Gli indicatori consentivano a Boyle non solo di determinare con precisione se una determinata sostanza fosse acida o alcalina, ma gli permettevano di aggiungere una terza classe di sostanze, neutre, che non producono alcun mutamento di colore nell’indicatore. Di qui Boyle concluse che la teoria chimica che divideva tutte le sostanze in acidi e alkali era imprecisa e fallace, per il fatto che non considerava le sostanze neutre. Sulla base degli esperimenti condotti con gli indicatori, Boyle maturò la convinzione che gli acidi, al pari degli alcali, fossero composti di due parti – si trattava cioè di corpuscoli composti – una delle quali modificava il colore dell’indicatore chimico, l’altra distingueva un acido dall’altro e un alcali dall’altro.
1 Cfr. A. Clericuzio. “Carneades and the Chemists. A Study of The Sceptical Chymist and its impact on Seventeenth-Century chemistry”, in M. Hunter (ed.), Robert Boyle Reconsidered (Cambridge, 1994), pp. 79-90: 79; The Works of Robert Boyle, edited by M. Hunter and E.B. Davis, 14 vols (London, 1999-2000), vol. 2, p. xix. La traduzione italiana dello Sceptical Chymist è stata realizzata da Clelia Pighetti, v. Robert Boyle, Opere, Utet, Torino 1977, pp. 491-729.
2 Cfr. M. Boas Hall, “An Early Version of Boyle’s Sceptical Chymist”, Isis 45 (1954), pp. 153‑168
3 Cfr. R.J. F rank, Harvey e i fisiologi di Oxford. Idee scientifiche e relazioni sociali, tr. it. Bologna, Il Mulino, 1983.
4 Cfr. Boyle a Worsley fine February 1647, Boyle, Correspondence, I, p. 48.
5 Sul circolo di Hartlib, cfr. Charles Webster, La grande Instaurazione. Scienza e Riforma sociale nella Rivoluzione Puritana, tr. it. Milano, Feltrinelli, 1980. Su Starkey, cfr. W.R. Newman, Gehennical Fire. The Lives of George Starkey, an American Alchemist in the Scientific Revolution, Harvard University Press, Cambridge (MA) 1994; W. R. Newman and L. M. Principe, Alchemy Tried in the Fire: Starkey, Boyle, and the Fate of Helmontian Chymistry, University of Chicago Press, Chicago-London 2002.
6 Su Jean Baptiste van Helmont, cfr. W. Pagel, Joan Baptista van Helmont. Reformer of Science and Medicine, Cambridge University Press, Cambridge 1982; G.G. Giglioni, Immaginazione e malattia. Saggio su Jan Baptiste van Helmont, Franco Angeli, Milano 2000.
7 Cfr. A.G. Debus, The chemical philosophy: Paracelsian science and medicine in the Sixteenth and Seventeenth centuries (1977), 2nd ed., Dover, New York 2002.
8 Cfr. A. Clericuzio, Elements, Principles and Corpuscles. A Study of Atomism and Chemistry in the Seventeenth Century, Kluwer, Dordrecht 2000.