La scienza del Novecento ha messo in discussione le nozioni di causalità e verità?

Alberto Strumia
CERN di Ginevra (Svizzera), acceleratore di particelle, rivelatore ATLAS.

No: ritenere che scoperte scientifiche recenti abbiano messo in questione il principio di causalità oppure negato che la conoscenza scientifica si proponga di conoscere la verità è frutto di equivoci. Quando parole di uso comune come “causa”, “causalità”, “relativo”, “assoluto”, “complesso”, etc., vengono impiegate in ambiti diversi, con significati differenti, ciò comporta equivoci che conducono a conclusioni fuorvianti. Ad esempio ritenendo che la teoria della relatività rappresenti una legittimazione scientifica del relativismo filosofico, per cui dopo Einstein non si potrebbe parlare più di “verità” perché tutto sarebbe “relativo”. Oppure pensando che la meccanica quantistica abbia negato ogni forma di causalità sostituendola con la “probabilità” e l’“incertezza”, grazie al principio di indeterminazione di Heisenberg.

“Relatività” in fisica è uguale a “relativismo” in filosofia?

Nella “teoria della relatività” elaborata da Albert Einstein (1879-1955), che si è sviluppata in due momenti come “relatività ristretta” o “speciale” (1905) e “relatività generale” (1916) a essere “relativo” è il moto, che è una relazione tra i corpi. Se mi muovo rispetto a qualcuno o costui si muove rispetto a me, non ha senso dire che io sono fermo e l’altro si muove o viceversa, ma si può solo dire che ci muoviamo reciprocamente. Non esiste un osservatore “assoluto”, mentre sono le leggi fisiche a essere indipendenti dall’osservatore (proprietà che si chiama “covarianza”) e come tali a essere “assolute”. Non avrebbe senso un universo governato da un relativismo in cui non ci fossero leggi fisiche oggettive, uguali per tutti. La stessa scienza non esisterebbe più e ognuno si farebbe arbitrariamente una sua fisica soggettiva che non avrebbe nulla a che fare con il mondo reale: come tale sarebbe inutilizzabile per fare previsioni e applicazioni di tipo scientifico. Nella relatività ristretta le leggi della fisica sono invarianti rispetto a osservatori in moto relativo rettilineo uniforme, come lo sono i sistemi inerziali, e questo si dice “principio di relatività”; la relatività generale estende questa invarianza a tutti gli osservatori, anche quelli in moto relativo comunque accelerato, grazie al “principio di equivalenza” locale tra i campi gravitazionali e i sistemi accelerati. Non deve trarre, dunque in inganno il nome “relatività” che si riferisce al moto e non alla conoscenza delle leggi fisiche che, al contrario, in relatività, sono “assolute”.

La meccanica quantistica ha abolito la “causalità” sostituendola con l’“indeterminismo” dovuto al “principio di indeterminazione”?

La meccanica quantistica non ha abolito il principio di causalità. L’equivoco nasce dall’errore che identifica la causalità con il determinismo, concludendo che l’indeterminismo introdotto dalla meccanica quantistica con il principio di indeterminazione (o di “incertezza”: traslitterazione dell’inglese uncertainty principle), equivalga a una “assenza di cause”, per cui tutto sarebbe affidato al caso. Al contrario, per la fisica le cause possono essere: i) “deterministiche”, quando producono un effetto univoco, come le forze nella meccanica newtoniana: data una causa (forza) agente su un corpo (massa) segue sempre uno e un solo effetto (accelerazione) e, viceversa, dall’effetto si può risalire sempre e solo a una stessa causa; ii) “probabili”, il cui effetto non è univoco, ma è predicibile solo con una data probabilità: è il caso della meccanica quantistica che, più che negare la causalità come tale, mostra di aver scoperto con il suo linguaggio matematico e i suoi metodi di misura un tipo di causalità sconosciuto alla fisica classica, sebbene noto alla filosofia aristotelica e medievale che lo descriveva in termini qualitativi non disponendo della matematica propria della meccanica quantistica.

In ambito filosofico e teologico per “relazione di causalità” si intende la dipendenza che una “cosa” ha da un’altra “cosa” quanto alla sua esistenza e al suo mutamento (essere e divenire). Per cui se non esistesse la prima “cosa” (causa) non potrebbe darsi, nemmeno l’esistenza o il mutamento della seconda “cosa”. Questa relazione di dipendenza è una “relazione d’ordine” in senso logico e ontologico, e non comporta una successione temporale, come se la causa dovesse essere sempre presente temporalmente prima dell’effetto. In logica e in matematica la consequenzialità di un enunciato da un altro, in una dimostrazione (teorema), non dipende dal tempo, ma solo dalle regole del ragionamento. Da cosa dipende il fatto che qualcosa esista, sia conservata nella propria esistenza ed evolva in un certo modo? Le risposte date sul piano scientifico possono solo individuare una catena di cause subordinate, le une alle altre, avendo come ultima aspirazione quella di giungere a una teoria unificata dei campi. Il filosofo va oltre, interrogandosi sulla “causa di tutte le cause”, comunemente chiamata Dio, concetto che la logica può concepire come un ente che, per definizione, non può essere a sua volta causato. Impiegando la sua fonte di conoscenza, la Rivelazione ebraico-cristiana, il teologo interpreta la causalità prima, quella che causa tutte le cause, come creazione dal nulla.

L’impredicibilità del comportamento di alcuni sistemi complessi ha legittimato la non esistenza di leggi oggettive e quindi della verità?

Anche in questo caso, la risposta è negativa. I sistemi complessi, in fisica, sono sistemi governati da equazioni matematiche non lineari. Per tali sistemi la somma di più soluzioni non è generalmente una soluzione: ciò si esprime comunemente dicendo che il “tutto” non è ottenibile come somma delle “parti”. In questi sistemi compare frequentemente il fenomeno dell’impredicibilità, per cui il loro comportamento futuro può risultare del tutto imprevedibile (soluzioni fortemente sensibili alle condizioni iniziali). Questo dipende dall’impossibilità, sia teorica che pratica, di assegnare con infinita precisione (infinite cifre decimali) le condizioni iniziali del moto, anche quando, come nella meccanica classica, le leggi che governano il sistema sono completamente deterministiche. Se la soluzione che descrive il moto è fortemente sensibile alle condizioni iniziali (soluzione instabile), una piccola variazione di queste ultime può comportare, dopo un certo tempo, una divaricazione molto grande tra le traiettorie di fase corrispondenti e quindi un’impredicibilità di quella che sarà effettivamente l’evoluzione del sistema.

Tutto questo non rappresenta una negazione della causalità, dal momento che le leggi del moto possono essere anche perfettamente note ma non bastano, da sole, a identificare univocamente il moto, se non entro un relativamente breve intervallo di tempo successivo al suo inizio. Alla sensibilità alle condizioni iniziali si deve aggiungere anche il fenomeno delle biforcazioni che modificano il comportamento delle soluzioni al variare dei parametri che caratterizzano il sistema. Nei sistemi complessi può esservi anche una sorta di “causalità finale” quando compaiono i cosiddetti “attrattori”, ovvero delle soluzioni verso le quali tendono tutte le traiettorie che descrivono un sistema, quando queste partono da condizioni iniziali che si trovano in una determinata regione dello spazio delle fasi detta “bacino di attrazione”.

Nei sistemi complessi e, in particolare in quelli biologici, la comparsa di strutture organizzate, come quelle viventi, sembra essere legata anche a questo tipo di causalità. L’organizzazione e la vita sembrano emergere da condizioni iniziali, che pur potendo essere assegnate “a caso”, entro un bacino di attrazione, seguono traiettorie che convergono verso degli attrattori (strutture ordinate, cellule, organi, esseri viventi) grazie all’azione di un’informazione che guida come una legge l’evoluzione del sistema.

La scoperta dei fenomeni complessi vuol dire che le parti che compongono l’universo sono inseparabili e non posseggono una loro identità?

Per “sistema complesso” si intende un sistema fisico, biologico, o di altra natura, tale da non poter essere realizzato e/o spiegato interamente a partire solamente dalle sue parti componenti, separatamente le une dalle altre. In fisica ciò avviene per quei sistemi che sono governati da equazioni differenziali non lineari. Esempi di sistemi complessi sono i sistemi biologici viventi per i quali la separazione del tutto in parti componenti (gli organi, le cellule, le molecole, etc.) equivale alla distruzione del sistema con l’impossibilità di ricostruirlo come vivente. Per giungere a costituire un “tutto”, le parti necessitano di essere guidate da un’informazione che le organizza in un sistema strutturato, un attrattore verso il quale tendere. Già Aristotele era giunto, qualitativamente, a una conclusione simile introducendo il concetto di forma, al quale il nostro concetto di informazione sempre più si avvicina.

Questa inseparabilità delle “parti” dal “tutto”, caratteristica di un sistema dotato di una propria individualità inseparabile, ha indotto alcuni a ritenere, mediante un’estrapolazione che va oltre la scientificità, che l’universo fisico come tale sia un tutto le cui parti sono radicalmente inseparabili e che l’identità individuale dei singoli sottosistemi che lo compongono (dalle singole galassie, ai singoli pianeti, ai singoli esseri umani, etc.) non possa essere distinta dal tutto. Una simile concezione dell’universo fisico, detta spesso “olistica”, giunge a negare l’individualità di ogni essere e in particolare quella di ogni essere umano. L’universo coinciderebbe con un Essere unico indifferenziato e statico, come nell’antica visione di Parmenide. In altri termini l’universo e Dio coinciderebbero non essendoci altri esseri distinti da esso: questo è il “panteismo”. La logica sostiene che tale concezione sia contraddittoria, come mostra il paradosso dell’insieme universale scoperto da Georg Cantor (1845-1918). In filosofia, il panteismo lascia irrisolto il “problema della contingenza”, in quanto un sistema in trasformazione, contingente e non necessario in sé non potrebbe essere il fondamento necessario della propria esistenza.

   

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Glossario: 

Nelle equazioni (differenziali o algebriche) che descrivono la dinamica di un sistema complesso compaiono spesso dei parametri (grandezze che si mantengono costanti durante un’intera fase di un processo) i cui valori determinano la stabilità dinamica delle soluzioni che descrivono il comportamento del sistema. Quando accade che, a causa di qualche agente, esterno (ambiente), o interno, il valore dei parametri cambi bruscamente, una soluzione può divenire da stabile, instabile (o viceversa). Si dice, allora, che si è verificata una “biforcazione”.

Indica la contraddizione che insorge quando si tenta di definire l’“insieme di tutti gli insiemi” U, a partire dalle definizione di insieme come “ente che può appartenere a un ente” (x,y: xy, => x è un insieme). Ma l’unione dell’insieme U e dell’insieme di tutti i suoi sottoinsiemi propri P(U) (insieme potenza), cioè ⋃ P(U) sarebbe “più universale” di U, comprendendo più elementi, contraddicendo l’ipotesi che U sia l’insieme universale.

In meccanica quantistica è il principio per cui due grandezze fisiche non possono essere misurate contemporaneamente con la precisione voluta. Viene originariamente enunciato da Heisenberg nel 1927 per la posizione e l’impulso di una particella, con la formula ΔxΔp ≥  ½ ℏ . Se misuriamo contemporaneamente la posizione x e la quantità di moto p di una particella, il prodotto delle rispettive incertezze di misura Δ non potrà mai essere più piccolo del valore h / 4π, dove h è la costante di Planck.

Posizione filosofica in base alla quale la nostra conoscenza non può raggiungere delle verità certe, riconoscibili come tali da tutti (verità oggettive), ma solamente verità condizionate alla validità dei principi ipotetici dalle quali sono dedotte. Il relativismo, dunque, nega ogni pretesa di assolutezza sia alle verità parziali di settori specifici, sia a una verità unica e assoluta. Le verità sono relative a (un contesto, un linguaggio, un tempo storico, un gruppo umano, una classe sociale, un genere sessuale, un interesse economico…), non esistono dunque principi assoluti universalmente condivisi. Parliamo di un relativismo: ontologico (relatività del reale); semantico (relatività del significato); epistemologico (relatività di percezione, credenza e razionalità), secondo il quale tutta la conoscenza è convenzionale ed è ridotta a opinione soggettiva; morale (relatività di costumi, valori, ordinamenti legali, politica); religioso (relatività su divinità e verità ultime).

Descrizione matematica dell’insieme degli “stati” di un sistema fisico che evolve nel tempo, dove per “stato” si intende l’insieme ordinato delle variabili necessarie e sufficienti a descrivere il sistema in ogni istante. La denominazione di “spazio” deriva dall’analogia con lo spazio ordinario, anche se le dimensioni dello spazio delle fasi possono essere più di tre. Per lo stato di una particella puntiforme occorrono sei dimensioni: tre per le sue coordinate (x,y,z) e tre per i momenti coniugati (px,py,pz).