L’idea di creazione si oppone a quella di evoluzione?

Giuseppe Tanzella-Nitti
Ivan Colagè
Sguardi sull'evoluzione: Alfred R. Wallace (1823-1913), Charles R. Darwin (1809-1882), Gregor Mendel (1822-1884), Pierre Teilhard de Chardin (1881-1955). Al centro, fossile di Seymouria baylorensis.

Non vi è opposizione fra loro, trattandosi di due concetti diversi: la creazione è un concetto teologico, l'evoluzione è un concetto biologico. La nozione di creazione indica il modo con cui il Creatore dà l’esistenza a ogni cosa, traendola dal nulla. Evoluzione, in biologia, è un termine scientifico che indica la trasformazione, morfologica e genetica, dei viventi, dalle forme più semplici fino alle più complesse. L’evoluzione presuppone la creazione. Il Creatore, per essere tale, non appartiene al mondo, ma lo trascende. Egli causa e mantiene nell’essere ogni creatura mediante una relazione continua e trascendente: per questo l’evoluzione è anche il modo con cui Egli crea.

Chi afferma l’evoluzione biologica sostiene necessariamente un approccio filosofico materialistico in cui non c’è posto per la fede in un Dio Creatore?

L’evoluzione biologica è un fatto, non è una filosofia. Dunque chi desidera sostenere un approccio filosofico materialista che neghi l’esistenza di Dio dovrà poggiarlo su altre cose o su altre idee, non sull’evoluzione biologica. Da quando, a metà dell’Ottocento, Charles Darwin e Alfred Wallace suggerirono che la vita sulla Terra fosse il risultato di evoluzione biologica per selezione naturale, molti autori che credevano in un Dio creatore hanno condiviso questa prospettiva scientifica. Così lo stesso Darwin, che non si dichiarò mai ateo, bensì a volte agnostico e a volte deista. Wallace era di fede cristiana, come lo furono nei decenni successivi vari biologi e paleontologi: George Jackson Mivart, Pierre Teilhard de Chardin, Theodosius Dobzhansky. Fiorenzo Facchini, che ha diretto per molti anni il Dipartimento di biologia evoluzionistica dell’Università di Bologna, è un sacerdote cattolico ed è stato uno dei paleontologi italiani più noti. Gli esempi, del passato e del presente potrebbero moltiplicarsi.

I credenti che hanno accolto con sospetto o reticenza la teoria darwiniana dell’evoluzione biologica lo hanno fatto quasi sempre a motivo della loro scarsa formazione scientifica. Oppure perché influenzati da alcune correnti filosofiche che hanno erroneamente impiegato il darwinismo come base per giustificare posizioni atee e materialiste, ponendo in cattiva luce il naturalista inglese. O, infine, perché hanno conosciuto Charles Darwin attraverso la mediazione di altri autori.

È un diffuso luogo comune che, a partire dalla scoperta dell’evoluzione delle specie, Darwin avrebbe dimostrato che la vita non è frutto della volontà creatrice di Dio, e che l’essere umano non sarebbe stato creato da Dio a sua immagine e somiglianza: si tratterebbe di descrizioni ingenue e favolistiche superate dal pensiero scientifico. In realtà, come mostrano l’Autobiografia di Darwin e il suo epistolario, queste affermazioni non possono essere in alcun modo dedotte dal pensiero del naturalista inglese.

 

Nel dibattito di opinione pubblica il rapporto fra creazione ed evoluzione viene spesso presentato in termini conflittuali. Quali sono le ragioni di tale impostazione?

Con l’idea di creazione pensiamo anzitutto alla figura di un Creatore che chiama all’esistenza e alla vita ogni cosa, anche ogni persona umana. Il termine evoluzione evoca invece qualcosa che “si fa da sé”, si trasforma, quasi si auto-crea, facendo sembrare superfluo il ruolo di un Dio Creatore. Inoltre l’idea di creazione è associata facilmente a una finalità, all’intenzione di un Agente che crea per uno scopo. Nel linguaggio comune, l’idea di evoluzione è associata invece a qualcosa che procede mediante eventi casuali, indeterminati. A partire dalla sintesi moderna o “neodarwinismo”, sappiamo infatti che la “sopravvivenza del più adatto” è dovuta alla selezione naturale di caratteri morfologici originati da variazioni aleatorie del patrimonio genetico nel processo di duplicazione del DNA, risultate poi essere vantaggiose. Dunque, ciò che determina le forme e lo sviluppo della vita, dai batteri fino all’essere umano, viene più facilmente interpretato come risultato del caso e non di finalità. Queste due opposizioni concettuali, quella fra essere creato ed evolvere da sé, e quella fra finalità e caso, hanno contribuito, nel dibattito di opinione pubblica, a generare un’opposizione fra creazione ed evoluzione. 

In realtà, la nozione teologica di creazione, che vuol dire donare l’essere, dal nulla, facendo esistere le cose, è assai più radicale della nozione scientifica di evoluzione biologica, e non può essere rimossa da quest’ultima. Se esiste un Dio creatore, è ragionevole che egli crei tutte le cose anche mediante una certa “evoluzione”: l’evoluzione, comprese le variazioni del patrimonio genetico e le trasformazioni dell’ambiente dei viventi, è in fondo il modo in cui egli crea. La teologia impiega il concetto di creazione continua per indicare che la creazione non si esaurisce in un istante, ma è una relazione continua che lega ogni creatura al suo Creatore. Attraverso i meccanismi della natura, anche quelli dell’evoluzione biologica, il Creatore vuole intenzionalmente che tutte le cose, anche i viventi, siano proprio ciò che sono. L’intenzionalità e la finalità di Dio trascendono il piano empirico dell’analisi scientifica quantitativa.

In realtà, la vera opposizione non è fra creazione (piano teologico) ed evoluzione biologica (piano scientifico), bensì fra finalità e caso (piano filosofico). Ritenere che nel mondo esista una finalità o tutto sia risultato di casualità, dell’assenza di qualsiasi scopo, sono prospettive filosofiche. La seconda si distanzia da quanto il pensiero umano ha sempre elaborato lungo i secoli, cioè l’idea che la bellezza e l’ordine della natura mostra le tracce di un’intelligenza che l’abbia causata. Talvolta, la posizione filosofica che sostiene il caso assoluto è indicata, più correttamente, con il termine filosofico evoluzionismo, che va pertanto distinto dell’evoluzione biologica in termini scientifici.

 

Perché i meccanismi neodarwiniani dell’evoluzione biologica — trasmissione ereditaria di mutazioni genetiche casuali e sopravvivenza del più adatto — sono spesso visti come contrari all’idea che la vita sorga e si sviluppi come effetto della volontà di un Creatore?

I meccanismi evolutivi darwiniani (selezione naturale) non si oppongono a una lettura finalistica della vita quando con essa si intende, in senso forte, che il mondo risponde al progetto di Dio Creatore, ovvero che Dio abbia voluto intenzionalmente ogni vivente così come lo conosciamo. A tale lettura potrebbe opporsi solo l’idea di un “radicale caso filosofico”, come avvenuto in passato nel materialismo atomista di Democrito o di Lucrezio. Ma i meccanismi neo-darwiniani della sintesi moderna (variazioni genetiche e selezione naturale delle varianti) non riguardano il caso filosofico (negazione diretta di una intenzionalità finale), bensì un’aleatorietà empirica. Si tratta dell’aleatorietà delle mutazioni genetiche “casuali”, ovvero errori di trascrizione del materiale genetico da una generazione all’altra, o anche dell’aleatorietà dei fenomeni contingenti, ad esempio ambientali, responsabili di aver indirizzato il lento percorso evolutivo lungo una strada oppure un’altra. Tuttavia, l’aleatorietà che opera durante l’evoluzione per selezione naturale “naviga” nel mare delle leggi fisiche e chimiche che non sono affatto casuali. Non è aleatoria l’esplorazione dell’ambiente da parte delle nuove forme e varietà biologiche che l’evoluzione produce; non è aleatoria la riuscita di un migliore coordinamento di una nuova funzione con le altre funzioni del vivente; non è aleatoria la legge generale che spinge il vivente a conservarsi e a riprodursi. Neppure lo stesso fatto che vi sia variabilità è, strettamente parlano, aleatorio, dal momento che i viventi posseggono una moltitudine di meccanismi atti a garantire quella variabilità (dal trasferimento orizzontale di geni nei batteri alla riproduzione sessuale negli animali).  

Oggi sappiamo, inoltre, che potrebbe le soluzioni biologiche emerse nella storia della vita potrebbero essere tutt’altro che aleatorie, come mostra il dibattito fra Stephen J. Gould (1941-2002) e Simon Conway Morris (n. 1951). Il primo interpreta quelle soluzioni come totalmente dovute a fenomeni contingenti, che condurrebbero a forme sempre diverse se il film ideale della storia fosse nuovamente riavviato; il secondo sostiene che il processo evolutivo, anche in ambienti assai diversi fra loro, tende verso soluzioni convergenti caratterizzate da stabilità e equilibrio.

Una lettura scientifica di fenomeni empirici, limitata cioè alla matematica dei fenomeni aleatori, è incapace di negare la presenza di fini intenzionali trascendenti l’ordine empirico. Dal punto di vista scientifico, infatti, non avrebbe senso chiedersi se a “guidare” l’evoluzione sia stato il cieco gioco del caso o l’esistenza di un finalismo che trascenda il piano del gioco (ad esempio un prestigiatore che sa di più di noi). Chi potrebbe negare che ciò che ai nostri occhi appare come puro gioco d’azzardo non segua lo scopo nascosto di chi possiede tutte le regole del gioco, cioè di un Creatore? Una falsa opposizione fra scienza e teologia può nascere soltanto quando l’aleatorietà o l’indeterminismo di un fenomeno scientifico vengono trasformati in preconcetti filosofici, affermando che il mondo non risponde ad alcun progetto perché non ha un Creatore.

 

Cosa apportano al rapporto tra creazione ed evoluzione i nuovi recenti sviluppi nello studio dell’evoluzione biologica?

Negli ultimi due decenni circa, in seno agli studi sull’evoluzione biologica sono emerse importanti novità che hanno indotto molti specialisti a proporre una sintesi evolutiva estesa che superi la sintesi moderna. Per la sintesi moderna i due poli cruciali dell’evoluzione biologica sono la variabilità genetica e la selezione naturale. La morfologia e il comportamento dei viventi (il fenotipo) – che è ciò su cui concretamente agisce la selezione naturale – è visto come strettamente dipendente dalla genetica. Anche se assai presto si abbandonò il determinismo genetico, l’idea di fondo per la sintesi moderna era che la novità biologica potesse sorgere solo a seguito di variabilità genetica.

Ora, è proprio su questo punto fondamentale che la sintesi evolutiva estesa assume una prospettiva diversa dalla sintesi moderna. La fonte di novità biologica non è più esclusivamente – e neppure principalmente – la variabilità genetica; al contrario, risiederebbe nella variabilità fenotipica. Per esempio, durante il periodo di sviluppo, due organismi – fossero anche geneticamente identici – esposti ad ambienti diversi potranno mostrare delle morfologie assai diverse, indotte dai diversi ambienti secondo meccanismi biochimici ben precisi, non aleatori. E sarà su questi fenotipi diversi (e non sui genotipi eventualmente identici) che agirà la selezione naturale. Parte essenziale del fenotipo è il comportamento – quell’insieme di strategie che un organismo mette in atto per sopravvivere. Il comportamento è persino più “plastico” della morfologia: data una certa morfologia è possibile implementare una moltitudine di comportamenti. La novità comportamentale è assai frequente – esempi eclatanti sono i macachi che imparano a lavare le patate, o i corvi che imparano a sfruttare i semafori per far schiacciare le noci alle automobili! Questo tipo di novità comportamentale ha (o può avere) conseguenze enormi sull’evoluzione futura delle popolazioni che le implementano, sono tutt’altro che “aleatorie” (anzi, talvolta colpiscono per la loro sottigliezza), e non richiedono alcuna mutazione genetica previa (più o meno aleatoria che sia). Queste ultime, eventualmente, seguiranno – nel lungo periodo.

Ora, il rapporto tra creazione ed evoluzione, oggi, dovrebbe essere condotto sulla base di questa concezione dell’evoluzione biologica – e non su quella della sintesi moderna, che sembra in fase di superamento. Questo renderebbe la questione della aleatorietà delle mutazioni meno centrale, prima di tutto in biologia, e quindi anche per il rapporto creazione-evoluzione.

 

Il Magistero della Chiesa Cattolica ha affermato qualcosa di preciso a proposito dell’evoluzione biologica?

Il primo pronunciamento, in ordine di tempo, è in realtà un “non pronunciamento”, eppure assai significativo. I vescovi convocati a Roma nel 1870 per il Concilio Vaticano I, bruscamente interrotto il 20 settembre di quell’anno per l’entrata dei piemontesi nell’allora Stato Pontificio, avevano in mente di preparare un documento sul rapporto fra cristianesimo e mondo moderno. Il 3 gennaio, nel corso di una delle prime discussioni, mons. Agostino Vérot, vescovo di Atlanta, chiese che l’assemblea si pronunciasse contro la teoria dell’evoluzione di Charles Darwin. La gran maggioranza dei Padri conciliari non raccolse questo invito, consigliando al contrario di non pronunciarsi su questioni di ambito scientifico. Nel 1950 Pio XII scrive l’enciclica Humani generis dove, fra le altre cose, afferma che in merito allo studio dell’origine del corpo umano, nulla vieta che tale origine la si faccia risalire all’evoluzione di altre forme biologiche. Giovanni Paolo II ha sostenuto sia nelle sue catechesi sulla creazione (1986), sia in diversi altri discorsi, la compatibilità fra la teoria scientifica dell’evoluzione biologica e la dottrina teologica della creazione. Particolarmente importante la lettera inviata alla Pontificia Accademia delle Scienze datata 22 ottobre 1996, nella quale il Pontefice afferma che l’evoluzione biologica è ben più di una semplice ipotesi, bensì una consolidata teoria scientifica. Benedetto XVI ha nuovamente ricordato la compatibilità fra evoluzione e creazione, in particolare in un discorso alla Pontificia Accademia delle Scienze in data 31 ottobre 2008. Il Catechismo della Chiesa Cattolica (1997) non introduce il termine “evoluzione”, ma parla di un universo creato “in stato di via”, oggetto di trasformazioni e dunque indirizzato verso un suo compimento (cf. n. 302).

Esistono poi dichiarazioni e lettere di diverse Conferenze Episcopali, anche catechismi nazionali e locali da esse approvati, che presentano la compatibilità fra la teologia della creazione e una visone scientifica evolutiva della vita. Joseph Ratzinger, come autore privato, prima di essere eletto papa, ha scritto saggi e conferenze sul tema, ribadendo la medesima prospettiva.

    

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Glossario: 

In metafisica e in filosofia della natura la Causa prima indica la causa incausata, prima in senso logico e non solo cronologico, che implica tutto ciò che esiste e dalla quale tutto ciò che esiste trae origine. Le cause seconde ricevono dalla Causa prima l’essere e l’essenza, cioè la capacità di causare a loro volta. Le cause seconde (ad es. le leggi di natura) sono responsabili degli effetti che esse causano, a differenza delle cause strumentali (ad es. un martello), che causano solo in virtù dell’agente principale.

Espressione con la quale si indica che l’atto del creare è una relazione continua fra Creatore e creatura. Creare non si esaurisce in un momento del tempo, ma è una relazione che trascende il tempo. La nozione di creazione continua indica pertanto che la presenza del Creatore nella creatura è costante e continua, in tutto ciò che la creatura opera e in tutto ciò che in essa si realizza. La possibilità di una “creazione continua” dipende dalla condizione trascendente del Creatore rispetto alla creatura. Se Creatore e creatura fossero sullo stesso piano causale, allora creare sarebbe solo “porre inizio a qualcosa”, come accade ad esempio nella prospettiva filosofica del deismo.

Posizione religiosa e intellettuale che afferma Dio Creatore aver creato tutte le specie biologiche simultaneamente, o comunque direttamente e senza la mediazione di una storia naturale. Anche il corpo dell’essere umano sarebbe stato creato in modo immediato. Tale posizione, che si basa su una comprensione letterale dei passi biblici del libro della Genesi, viene condivisa da alcune correnti protestanti ma non trova riscontro nella teologia cattolica.

Concetto che presenta un duplice versante, scientifico e filosofico. In biologia indica la comprensione dell’evoluzione biologica dei viventi mediante variazioni morfogenetiche casuali e selezione naturale, che consente la sopravvivenza solo agli individui più adatti alle condizioni ambientali in cui vivono (clima, territorio, predatori, etc.). In termini filosofici indica di solito la prospettiva secondo cui solo i più forti e meglio equipaggiati sopravvivono alle condizioni avverse. Si parla così, ad esempio, di darwinismo sociale, oppure di selezione darwiniana di soggetti in competizione fra loro.

Posizione filosofica che legge la storia del mondo e della vita come frutto di costante divenire, impiegando i criteri dell’evoluzione biologica per selezione naturale per generare una comprensione esaustiva della realtà. L’evoluzionismo può dunque essere considerato parte dello storicismo. In particolare, l’evoluzionismo condivide una visione immanente della storia, non ritenendo che l’origine e il fine della storia possano trascendere la storia stessa. Il termine evoluzionismo viene impiegato a volte come sinonimo di “evoluzione”, specie in contesti in cui si estende la logica dell’evoluzione, almeno implicitamente, anche a campi diversi dalla biologia. Va comunque conservata, per chiarezza, la differenza fra evoluzionismo, come concetto filosofico, ed evoluzione come concetto scientifico.

“Selezione naturale” è il “nome” dato da Darwin al complesso di interazioni organismo-ambiente che determina il grado di adattamento dell’organismo al suo ambiente. Essa non dovrebbe essere concepita come una “forza naturale” ma appunto come l’esito di quelle interazioni. Organismi che possiedono tratti adatti al proprio ambiente – e che quindi sopravvivranno e avranno un buon successo riproduttivo – trasmetteranno meglio i propri caratteri ai discendenti: questi tratti saranno selezionati positivamente. Organismi poco adatti trasmetteranno assai meno (o per nulla) i propri tratti ai discendenti: questi tratti saranno selezionati negativamente.

Quel sistema teorico emerso in biologia evolutiva tra gli anni ‘40 e ‘60 del Novecento, e successivamente raffinata nei decenni successivi. La sintesi moderna coniuga la teoria darwiniana dell’evoluzione per seleziona naturale con i risultati molecolari radicati negli studi del monaco agostiniano G. Mendel (coevo di Darwin) che sfociano (nel 1953) nella scoperta della struttura del DNA, quella molecola in grado di contenere e trasmettere informazione genetica. Per la sintesi moderna, l’evoluzione biologica avviene per produzione (aleatoria) di variabilità genetica (mutazione), trasmissione della variabilità genetica (ereditarietà), e selezione delle varianti in base al livello di adattamento dei tratti iscritti nel DNA (selezione naturale).

Sistema teorico in biologia evolutiva in attuale elaborazione, visto come alternativa alla sintesi moderna. La sintesi evolutiva estesa ridimensiona il ruolo delle mutazioni genetiche come sorgente della variabilità biologica, riconoscendo che autentica novità biologica sorge anche a livello epigenetico (aspetti molecolari non genetici), fenotipico (morfologico, comportamentale, cognitivo), e simbolico-culturale (almeno nel caso dell’essere umano). Nozioni centrali sono quelle di “plasticità fenotipica” (fenotipi diversi e nuovi possano insorgere anche “a parità” di corredo genetico), “costruzione di nicchie” (gli organismi modificando l’ambiente modificano le pressioni selettive su se stessi e le future generazioni), “nuovi sistemi di ereditarietà” (non solo i geni sono responsabili della trasmissione intergenerazionale dei tratti).