La coscienza di sé e la caduta dell’uomo

In alcune pagine della sua opera Mankind evolving. The evolution of the human species (1962), uno dei protagonisti della biologia evoluzionista del ventesimo secolo, Theodosius Dobzhansky (1900-1975) mette in luce come l’emergenza della consapevolezza e della coscienza di sé, fino alla produzione di pensiero etico, abbia, nella specie Homo sapiens, un carattere di singolarità in tutto il panorama dell’evoluzione animale. L’unicità della specie umana appare come un dato fenomenologico.

L'oggettivazione di sé è un prodotto tardo dell'evoluzione: quando e a quale stadio dello sviluppo evolutivo entrò in scena è argomento di congettura. Rensch (Homo sapiens. Vom Tier zum Halbgott, Göttingen 1959) ne trova i rudimenti in qualche animale, ma afferma con energia che una piena coscienza di sé è caratteristica specifica dell'uomo. Teilhard de Chardin (Le phénomenè humain, Paris 1955) scrive: “L'animale sa, naturalmente; ma non sa di sapere”.

Per tutta una generazione (circa dal 1910 al 1940) molti psicologi trovarono possibile “scrivere di psicologia” senza usare parole come consapevolezza di sé, oggettivazione di sé, coscienza di sé o ego; più recentemente tali parole sono state legittimate. Nessuno ha esposto il significato adattativo della coscienza di sé più chiaramente di Hallowell (Culture, personality, and society, in A.L. Kroeber, Anthropology today, Chicago 1953; Self, society, and culture in phylogenetic perspective, in S. Tax , Evolution after Darwin, vol. II, Chicago 1960):

L'attributo della coscienza di sé, che implica la capacità dell'uomo di distinguere se stesso come un oggetto in un mondo di altri oggetti esterni a lui, non è meno centrale, fondamentale, per la nostra comprensione dei prerequisiti del comportamento culturale e sociale dell'uomo, di quel che sia per la psicodinamica dell'individuo. Un ordine sociale umano implica un modo di esistenza che ha significato per l'individuo al livello della coscienza di sé. Un ordine sociale umano, per esempio, è sempre un ordine morale… È la capacità che ha l'uomo di avere coscienza di sé e di sviluppare tale coscienza che rende di importanza adattativa per l'individuo meccanismi psicologici inconsci come la repressione, la razionalizzazione e così via… L'uomo, a differenza dei suoi parenti animali, agisce in un universo, che egli ha scoperto e reso intelligibile a se stesso, in quanto organismo non solo capace di coscienza, ma anche di coscienza di sé e di introspezione… Una vita sociale organizzata, trascendendo da determinanti puramente biologiche e geografiche, non può funzionare al di fuori dei principi e valori comunemente accettati, o al di fuori della strutturazione psicologica degli individui che li fanno propri.

Il significato dell'acquisizione della consapevolezza di sé nell'evoluzione umana è espressa splendidamente nel simbolo biblico della Caduta dell'uomo. La coscienza di sé è un bene e un male; con essa l'uomo raggiunse lo stato di persona nel senso esistenziale; divenne conscio di sé e del suo ambiente. Egli è capace di formare immagini mentali di cose e situazioni che non esistono ancora, ma che possono verificarsi o esser prodotte o costruite per opera sua; può creare nell'immaginazione mondi diversi dal suo e visualizzarsi in quei mondi immaginari. Prima di costruire una casa, fabbricare una macchina, scrivere un libro o andare in vacanza, voi avete già costruito, fabbricato, scritto, siete andato in vacanza, col pensiero; il valore adattativo della preconcezione o della previsione è troppo evidente perché occorra dimostrarlo: ha innalzato l'uomo allo stato di signore del creato.

La coscienza di sé e la previsione, tuttavia, portarono i tremendi doni della libertà e della responsabilità. L'uomo si sente libero di dar esecuzione a certi suoi progetti e lasciarne altri in disparte; prova la gioia di essere padrone, anziché schiavo, del mondo e di se stesso; ma la gioia è temperata dal senso di responsabilità; sa che deve render conto dei suoi atti: ha acquistato la conoscenza del bene e del male. Questo è un carico terribilmente pesante da portare; nessun altro animale deve far fronte a niente di simile. Vi è un tragico conflitto nell'anima dell'uomo; e, fra le imperfezioni della natura umana, questa è molto più grave che i travagli del parto.

Lo studioso dell'evoluzione umana non deve trascurare la tragica situazione in cui l'uomo si trova, sebbene gli scienziati, in generale, abbiano prudentemente evitato di affrontare tali problemi. Arriviamo, qui, molto vicino a quella linea mal definita che segna il confine della scienza, almeno della scienza come è intesa oggi. Riconosciamo semplicemente che dall'altra parte del confine esistono profonde percezioni della natura umana, natura che è, come sappiamo, un prodotto del processo evolutivo. Le scuola psicoanalitiche hanno tentato di definire questa natura in termini quasi scientifici e le loro conclusioni sono improntate a pessimismo profondo. Caratteristica è l'opinione di Freud (Civilization and its discontents, London 1930):

In tutto ciò che segue io parto dal punto di vista che l'aggressività è una disposizione istintiva, indipendente, innata nell'uomo e ripeto qui l'affermazione che essa costituisce il più potente ostacolo alla cultura. [Ma l'evoluzione della cultura è] la lotta che si manifesta nella specie umana fra Eros e la Morte , fra gli istinti di vita e gli istinti di distruzione.

Platone e Plotino, sant'Agostino e Lutero, Kierkegard e Nietzsche, Shakespeare e Dostoevskij e molti altri hanno esplorato l'abisso della natura umana: è un abisso oscuro, ma il più grande di tali esploratori seppe discernere una luce brillante che emanava.

La ragione non è che la ragione e soddisfa soltanto la capacità di ragionare dell'uomo, mentre il desiderio è manifestazione della vita nel suo insieme, della vita umana nella sua interezza, che comprende la ragione come pure le deviazioni da essa… Io, per esempio, molto naturalmente, voglio vivere per soddisfare tutta la mia capacità di vivere e non per soddisfare soltanto la mia razionalità, che non può costituire più di un ventesimo della mia intera capacità di vivere.

Ma lo stesso Dostoevskij, che scrisse quanto sopra, scrisse che la “bellezza salverà il mondo”. Purtroppo l'uomo è sempre stato capace di descrivere l'inferno in modo più convincente del paradiso e neppure il Beato Angelico e Dostoevskij fecero eccezione alla regola.

Eppure l'uomo s'è anche innalzato, non è soltanto caduto; siamo, nelle parole di Muller “scimmie frettolosamente rifatte” ma, nonostante la fretta, il processo evolutivo è riuscito a compiere qualcosa di più che fornire alla scimmia rifatta quanto occorre alla sola sopravvivenza: ha impiantato in noi straordinarie tendenze verso l'attualizzazione di noi stessi, la trascendenza, la bellezza e la rettitudine. L' Homo sapiens non è soltanto l'unico animale capace di fabbricare utensili e l'unico animale politico, è anche l'unico animale etico.

 

Theodosius Dobzhansky, L'evoluzione della specie umana, Einaudi, Torino 1965, tr. it. di Luciana Pecchioli, pp. 343-346.