Perché la filosofia serve alla scienza e la scienza alla filosofia

Il sorgere della nuova epistemologia scientifica ha dimostrato, per Jaspers, l’impossibilità di trovare nella scienza ciò che si era atteso invano dalla filosofia: «colui che aveva cercato nella scienza il fondamento della sua vita, la guida delle sue azioni, la realtà stessa, doveva essere deluso. E fu necessario ritrovare la via della filosofia». La scienza, segnala opportunamente il filosofo, non può trasformarsi in falsa metafisica, ma neppure la filosofia può svilupparsi a latere della conoscenza del reale come propostaci dalle scienze.

Al tramontare del secolo scorso la filosofia si considerava per lo più una scienza fra le altre. Essa era una disciplina universitaria ed era considerata dalla gioventù un aspetto della cultura: conferenze brillanti davano visioni panoramiche della sua storia, delle sue dottrine, dei suoi problemi e sistemi. Vaghi sentori di una indefinita libertà e verità, spesso assolutamente privi di contenuto (poiché a malapena efficaci nella vita concreta), si univano alla fede nel progresso della conoscenza filosofica. Il pensatore «procedeva innanzi» ed era persuaso talvolta di aver raggiunto la vetta suprema del sapere.

Questa filosofia non sembrava però aver fiducia in se stessa. Il rispetto illimitato dell'epoca per le scienze sperimentali lasciò che queste si costituissero a modello del sapere. La filosofia volle riguadagnare dinanzi al tribunale delle scienze la stima perduta, procedendo con una esattezza simile alla loro. Tutti gli oggetti dell'indagine scientifica erano in verità spartiti fra le scienze speciali; tuttavia la filosofia volle avere una giustificazione accanto a queste, perciò essa assunse la totalità empirica a suo oggetto scientifico; p. es. elaborò il conoscere nella sua totalità in una teoria della conoscenza (il fatto stesso della scienza non era in generale oggetto di una scienza particolare), la totalità cosmica in una metafisica, la quale fu ideata in analogia alle teorie delle scienze sperimentali e con il loro sussidio e la totalità dei valori umani in una dottrina dei valori di validità universale. Tutti questi argomenti apparvero oggetti di studio, oggetti che non appartenevano a nessuna scienza speciale e ciò nondimeno erano accessibili ad una indagine da praticarsi con mezzi scientifici. Tuttavia l'atteggiamento fondamentale proprio a tutto questo movimento di pensiero diede un'impressione di ambiguità, giacché esso era da un lato scientifico-obiettivo, ma dall'altro etico-cogente. Esso cioè poteva pensare di stabilire un'armonica concordanza fra le «esigenze del sentimento» e i «risultati della scienza» e asserire di poter comprendere, in modo obiettivo, le possibili visioni del mondo e i valori; ma pretendeva nel tempo stesso di dare esso medesimo l'unica vera visione del mondo cioè la visione scientifica.

Una profonda delusione doveva allora assalire la gioventù: quella non era la filosofia che essa aveva desiderato. L'amore per una filosofia che sia il fondamento della vita, ripudiava questa filosofia scientifica. Da una parte, nella sua coerenza metodica e nella sua pretesa di un'assoluta severità di pensiero, essa si imponeva, e quindi ebbe pur sempre un'efficacia dal punto di vista educativo, dall'altra era in fondo troppo ingenua, troppo semplice e troppo cieca verso la realtà. L'anelito verso la realtà rifiutò concezioni che non esprimevano nulla e che nonostante la loro sistematicità apparivano meri giochi concettuali, rifiutò dimostrazioni che, malgrado un grande sforzo, non riuscivano a dimostrare nulla. Taluni seguirono l'avvertimento insito nell'autocondanna recondita di questa filosofia che si misurava con le scienze empiriche, e si rivolsero alle scienze empiriche stesse, abbandonando questa filosofia, forse già credendo in un'altra che ancora non conoscevano.

Quale entusiasmo colse allora lo studente che dopo qualche semestre di filosofia entrò nello studio della scienze naturali, della storia e delle altre scienze empiriche! Qui c'erano delle realtà! Qui vi era una soddisfazione per il desiderio di sapere: quali fatti sorprendenti, terrificanti, della natura, della vita umana, della società, degli avvenimenti storici, suscitatori di nuove speranze si presentavano! Restava pur sempre valido ciò che Liebig aveva scritto nel 1840 dello studio della filosofia: «Anch'io ho trascorso questo periodo tanto ricco di parole e di idee e tanto povero di sapere genuino e di studi positivi, periodo che mi ha tolto due anni preziosi della mia vita».

Ma se ci si rivolse alle scienze, come se in loro fosse contenuta la vera filosofia, come se dovessero dare ciò che invano si era cercato nella filosofia, furono però possibili tipici errori: infatti si voleva una scienza che affermasse quale fosse il fine della vita, una scienza valutatrice; si voleva dedurre dalle scienze la norma dell'azione; si pretendeva sapere, per mezzo della scienza, ciò che in realtà era un contenuto della fede, la quale riguardava però cose immanenti al mondo. O, viceversa, si disperava della scienza perché non dava quello che era importante per la vita, e ancor più perché la riflessione critica paralizzava la vita. Così l'atteggiamento ondeggiò tra una superstizione scientifica, che erigeva a principi assoluti dei risultati immaginari, ed una ostilità contro la scienza, la quale negava la scienza come vuota di senso e la combatteva come distruttiva. Tuttavia queste aberrazioni non penetrarono in profondità; sorsero infatti nelle scienze stesse le forze che dovevano dominarle col portarle alla purificazione del sapere come puro sapere.

Poiché se nelle scienze si affermava troppo là dove mancava la prova, e le teorie, determinanti i vari quadri della realtà, erano con troppa certezza insegnate come se fossero conoscenze assolute della realtà stessa, se troppe affermazioni erano assunte come valide senza critica sufficiente, p. es. l'ipotesi fondamentale del meccanismo della natura, e molte tesi anticipatrici, come per esempio, la teoria della necessità constatabile degli eventi storici, allora in tal modo la filosofia inautentica, che a suo tempo era stata abbandonata, era risorta – in una forma ancora più inautentica – nelle scienze medesime; ma ciò era veramente grandioso e che rinfrancava gli spiriti era il fatto che nella scienza stessa la critica agisse efficacemente; e precisamente non era il circolo vizioso di una polemica filosofica tendente all'unificazione, bensì era una critica valida che andava fissando passo per passo le verità per tutti. Questa critica distruggeva le illusioni per determinare in tutta purezza quello che è veramente conoscibile.

Frattanto accaddero i grandi avvenimenti scientifici che spezzarono ogni dogmatica; al principio del secolo insieme alla scoperta della radio-attività e con i principi della teoria dei «quanta» cominciò ad apparire il limite della validità razionale della rigida concezione meccanica della natura. Si iniziò quello sviluppo fecondo di idee che continuò fino ad oggi; idee che non si chiusero più nelle strettoie di una natura in sé esistente e conosciuta. L'alternativa, che negli anni precedenti si era posta, o di poter riconoscere la realtà della natura in sé o di riuscire ad operare con pure finzioni per descrivere i fenomeni naturali nella forma più semplice possibile, divenne insostenibile: ci si allontanò da ogni posizione di pensiero assoluto e ci si trovò così proprio alle soglie della realtà sperimentabile.

[…]

Tali esperienze nella scienza hanno insegnato la possibilità di un sapere veramente preciso e concreto, e nel tempo stesso l'impossibilità di trovare nella scienza ciò che si era invano atteso dalla filosofia d'allora. Colui che aveva cercato nella scienza il fondamento della sua vita, la guida delle sue azioni, la realtà stessa, doveva essere deluso. E fu necessario trovare la via della filosofia .

La nostra attività filosofica attuale è subordinata alle condizioni di queste esperienze della scienza. Il cammino che va dalla delusione provocata dalla inautentica filosofia alle scienze reali , e dalle scienze di nuovo alla autentica filosofia , è di tale specie da dover influire in modo decisivo sul metodo di filosofare oggi possibile. Prima di rifarci alla filosofia dobbiamo determinare obiettivamente il rapporto per nulla univoco fra la filosofia attuale e la scienza.

Anzitutto sono diventati chiari i limiti della scienza ; essi possono essere così brevemente caratterizzati:

a) la conoscenza scientifica delle cose non è conoscenza dell'essere ; la conoscenza scientifica è particolare, diretta su oggetti determinati, non è diretta sull'essere stesso. Perciò la scienza rappresenta dal punto di vista filosofico, proprio per mezzo del sapere, il sapere più radicale del non-sapere, cioè il non-sapere ciò che è l'essere stesso;

b) la conoscenza scientifica non è in grado di dare alcuno scopo per la vita. Non stabilisce valori validi; la scienza come scienza non può guidare la vita; per la sua chiarezza e decisione, essa rimanda ad un'altra origine della nostra vita;

c) la scienza non può dare nessuna risposta alla domanda riguardante il suo proprio senso : il fatto che la scienza esista è basato su impulsi che non possono essere neppure essi dimostrati scientificamente, come veri e come tali da dover esistere.

Nello stesso tempo insieme coi limiti della scienza si chiarisce l'importanza positiva a l'indispensabilità della scienza per la filosofia .

In primo luogo, la scienza, metodicamente e criticamente purificata in questi ultimi secoli, anche se soltanto raramente realizzata dagli scienziati nella sua totalità, ha avuto per la prima volta la possibilità di riconoscere, mediante il suo contrasto con la filosofia, la torbida contaminazione fra filosofia e scienza e di superarla.

La via della scienza è indispensabile per la filosofia, perché soltanto la conoscenza di questa via impedisce che un'altra volta si affermi, in un modo poco chiaro e soggettivo, che nella filosofia sia possibile la conoscenza obiettiva delle cose, che ha invece la sua sede nella ricerca metodicamente esatta.

Viceversa, la chiarezza filosofica è indispensabile per la vita e per la purezza di una scienza genuina. Senza la filosofia la scienza non comprende se stessa e perfino gli scienziati, se si sentono disorientati senza la guida della filosofia, abbandonano la scienza nel suo complesso, anche se sono capaci di porre ancora in luce conoscenze specialistiche sulla base del sapere conquistato dai grandi.

Dunque, se da una parte la filosofia e la scienza non sono possibili l'una senza l'altra e se dall'altra la loro torbida contaminazione non deve più continuare, il nostro compito attuale sarà quello di realizzare la vera unità fra di loro, dopo la loro separazione. Il filosofare non può essere né in antinomia con il pensiero scientifico né identico ad esso.

In secondo luogo, soltanto le scienze che indagano e quindi forniscono una conoscenza coercitiva degli oggetti, ci pongono dinanzi i dati di fatto dei fenomeni; soltanto grazie ad esse io imparo a sapere con chiarezza: così è . Ad es. se al filosofo mancasse la familiarità con le scienze, egli rimarrebbe, per così dire, cieco senza conoscere chiaramente il mondo.

In terzo luogo, il filosofare che di fatto non è fantasticheria ma è ricerca della verità, deve assorbire in sé l'atteggiamento scientifico e il modo di pensare scientifico . L'atteggiamento scientifico ha la caratteristica di distinguere continuamente tra il sapere coercitivo, cioè il sapere unito al sapere del metodo che ad esso ci conduce, e il sapere conscio dei limiti del senso in cui esso è valido. Inoltre l'atteggiamento scientifico è la pronta disposizione dello scienziato ad accettare ogni possibile critica alle sue ipotesi. Per lo scienziato, la critica è una condizione di importanza vitale. Egli non può essere mai abbastanza criticato, affinché venga provata la sua intuizione. Anche l'esperienza di una critica ingiustificata è produttiva per un vero ricercatore. Chi si sottrae alla critica, non vuole sapere nel vero senso della parola; la perdita dell'atteggiamento scientifico e del modo di pensare è al tempo stesso la perdita della veracità del filosofare.

Tutto contribuisce a che la filosofia si unisca alle scienze : la filosofia fa presa sulle scienze in modo tale da rendere realmente presente il loro senso proprio. La filosofia che vive nelle scienze dissolve il dogmatismo che appare sempre di nuovo nella scienza stessa (questo surrogato così poco chiaro della filosofia) ma soprattutto la filosofia diventa garante consapevole dello spirito scientifico, contro l'ostilità alla scienza. Il vivere filosoficamente è inscindibile da quell'atteggiamento che la scienza richiede inesorabilmente.

Contemporaneamente a questa chiarificazione dei limiti e del senso delle scienze, si sviluppò l'indipendenza dell'origine della filosofia . Per il solo fatto che questa origine, nel chiaro orizzonte delle scienze, fu illuminata dall'acutezza critica della loro luce nel caso di ogni affrettata determinazione, essa divenne nonostante ciò consapevole della propria autonomia, così che l'unica, antichissima filosofia parlò delle grandi opere del passato. Era come se testi da lungo tempo conosciuti ritornassero dall'oscurità alla luce, come se si imparasse a leggerli soltanto allora con occhi nuovi. Kant, Hegel, Schelling, Nicolò Cusano, Anselmo, Plotino, Platone e pochi altri, erano per noi presenti in senso così nuovo che si sentiva la verità del detto di Schelling che la filosofia è un «mistero manifesto». Si possono conoscere ( kennen ) i testi, riprodurre esattamente le costruzioni del pensiero e nonostante ciò «non comprenderli » ( verstehen ).

Da questa dimensione originaria noi appendiamo ciò che nessuna scienza ci insegna; poiché la filosofia non può realizzarsi soltanto per mezzo del modo di pensare scientifico e del sapere scientifico; essa ha bisogno di un altro tipo di pensiero , che quando penso mi rende presente a me stesso, mi rende vigile, mi porta verso me stesso, mi trasforma.

Ma con la riscoperta della dimensione originaria della filosofia nelle tradizioni antiche si rese evidente anche l'impossibilità di trovare nel tempo passato la vera filosofia nella sua completezza . L'antica filosofia non può, così com'è stata, esser fatta nostra.

Se in essa scorgiamo l'origine storica del nostro filosofare, e se sviluppiamo il nostro pensiero studiandola – perché esso raggiunge la sua chiarezza soltanto occupandosi dei filosofi antichi – il pensiero filosofico è sempre originale e deve in ogni epoca realizzarsi storicamente sempre sotto nuove condizioni.

Tra queste nuove condizioni, lo svilupparsi delle scienze pure che abbiamo esaminato è ciò che è più sorprendente. La filosofia non può più essere ingenua e nello stesso tempo rimanere nella verità. L'unità esistente tra filosofia e scienza era un'unità ingenua che, anche se allora, nella specifica situazione spirituale, fosse stata una cifra vera e incomparabilmente efficace, ora non è più che un'oscura contaminazione, che deve quindi essere radicalmente superata. Perciò attraverso il sapere, sia della scienza che della filosofia, viene elevata la consapevolezza critica. La filosofia, insieme con la scienza, deve realizzare il pensiero filosofico, proveniente da un principio che è altro da quello scientifico.

La filosofia contemporanea può quindi forse comprendere i Presocratici nella loro grandezza sublime, ma non può seguirli, anche se riceve da loro insostituibili impulsi. Essa non può neppure perseverare nella profondità ingenua d'infantili problemi filosofici. Per poter conservare questa profondità – che i fanciulli per lo più perdono con l'età matura – essa deve trovare vie indirette e verifiche in seno alla realtà complessa che noi oggi cogliamo. Questa realtà non può però in nessun modo restare genuina ed esser resa a noi del tutto presente senza il sussidio della scienza.

 

Karl Jaspers, La filosofia dell'esistenza, tr. it. a cura di G. Penzo e U. Penzo Kirsch, Laterza, Roma-Bari 2002, pp. 5-14.