Presentiamo alcune pagine della nota opera del filosofo francese ove si spiega in modo conciso la diversità di oggetto formale fra la filosofia e le scienze naturali, mettendo in luce nel contempo l’attività filosofica implicita associata ad ogni indagine scientifica. Lo scienziato, senza avvertire la necessità di riflettere criticamente sul proprio metodo, lo impiega secondo canoni filosofici che si poggiano in ultima analisi su una gnoseologia realista e sulla filosofia della natura.
15. Anche se avviene che l' oggetto materiale della filosofia e della scienza sia il medesimo —per esempio, il mondo dei corpi— tuttavia l' oggetto formale, quello che determina la natura specifica delle discipline intellettuali, differisce essenzialmente nei due casi. Nel mondo dei corpi, lo scienziato studierà le leggi dei fenomeni, collegando un evento osservabile ad un altro evento osservabile, e se indaga la struttura della materia, agirà rappresentandosi —molecole, ioni, atomi, ecc.— in quale maniera e secondo quali leggi si comportano nel quadro dello spazio e del tempo le particelle ultime (o le entità matematicamente concepite che ne tengono il posto) con le quali è costruito l'edificio. Il filosofo cercherà , invece, che cosa è , in definitiva, la materia di cui si rappresenta così il comportamento, quale è, in funzione dell'essere intelligibile, la natura della sostanza corporea (che essa sia decomponibile per una ricostruzione spaziale o spazio-temporale, in molecole, ioni, atomi, ecc., in protoni od elettroni, associati o no ad un flusso d'onde, il problema resta integro).
Lo scienziato va dal visibile al visibile, dall'osservabile all'osservabile (dico all'osservabile, almeno indirettamente; non dico sempre all'immaginativamente figurabile o rappresentabile: giacché l'immaginazione si rappresenta le cose secondo che ci appaiono nella nostra scala di grandi dimensioni, come possibili soggetti di una osservazione completa e continua; quando lo scienziato passa ad un ambito —atomico— dove la stessa possibilità di osservazione completa e continua dei fenomeni è soppressa, egli, allora, passa da un mondo di oggetti immaginativamente rappresentabili ad un mondo di oggetti senza figura immaginabile; diciamo che un tal mondo è irrappresentabile in figura per difetto o «privativamente»).
Il filosofo va dal visibile all'invisibile, intendo dire a ciò che per se stesso è fuori di ogni ordine di osservazione sensibile, giacché i princìpi cui perviene sono in se stessi semplici oggetti di intellezione, non di apprensione sensibile né di rappresentazione immaginativa. Si tratta di un mondo non figurabile per natura, o «negativamente ».
Oggetti formali diversi, princìpi di spiegazione, strumentazione concettuale interamente differenti, e nel soggetto stesso virtù intellettuali o lumi discriminativi fondamentalmente distinti: la sfera propria della filosofia e quella delle scienze non si sovrappongono. Mai una spiegazione di ordine scientifico potrà rimuovere o sostituire una spiegazione di ordine filosofico o viceversa. Ci vuole molta ingenuità per immaginare che riconoscere nell'uomo un'anima immateriale e studiare la funzione glicogenica del fegato o i rapporti tra idea e immagine siano due spiegazioni che caccino nella stessa riserva e di cui l'una faccia ostacolo all'altra.
È vero, invece, che le spiegazioni della scienza non ci mettono a disposizione l'intimo essere delle cose e, poiché sono esplicative solo per cause prossime o anche, semplicemente, per quella sorta di causa formale che è la legalità matematica dei fenomeni (e mediante entità più o meno arbitrariamente costruite come supporto di questa legalità), esse non possono bastare allo spirito, che porrà sempre e necessariamente problemi di ordine più elevato, e vorrà penetrare nell'intelligibile.
16. Da questo punto di vista, noi possiamo dire che vi è una certa dipendenza delle scienze rispetto alla filosofia. Le scienze stesse suggeriscono allo spirito, poiché esse cercano la ragion d'essere e non la dànno che imperfettamente, il desiderio della filosofia, esigono, cioè, di essere assicurate ad un sapere superiore. Nulla è più curioso che constatare la forza con cui, dopo il periodo positivistico del XIX secolo, un tal bisogno si è manifestato in tutti i campi della scienza, e nel modo del resto più disordinato, dal momento che la competenza faceva difetto a quanti trattavano di filosofa, fossero pure scienziati di genio come Henri Poincaré, senza possedere lo strumento filosofico.
Si faccia bene attenzione che le scienze non dipendono dalla filosofia nel loro sviluppo intrinseco. Ne dipendono solo nel principio (non nel senso che esse avrebbero bisogno della filosofia per riconoscere i loro principi e per farne uso, ma nel senso che appartiene alla filosofia spiegare e giustificare i principi). Può darsi che gli scienziati, proprio perché per esercitare la loro attività propriamente scientifica non hanno mai bisogno di ricorrere espressamente alla filosofia, siano talvolta portati a misconoscere questa specie di dipendenza di cui parliamo. Tuttavia, se riflettono attentamente su quella attività stessa che essi esercitano (il che, in verità, è già filosofare) come potranno non accorgersi che praticamente vi si ammanta, per così dire, tutto un esercizio di ordine filosofico?
Tutto l'impiego dei metodi e della critica sperimentali, come la determinazione del grado di approssimazione dei risultati acquisiti, costituiscono una logica applicata o vissuta ( logica utens ) , che non diviene logica pura e non si dispone come oggetto di una scienza particolare e di un'arte speculativa esplicitamente studiata per se stessa ( logica docens ) se non sotto lo sguardo riflesso del logico, ma che in sé non è se non la logica stessa, disciplina propriamente filosofica, allo stato di esercizio.
Quali che siano d'altra parte le opinioni metafisiche, consapevoli o inconsapevoli, da cui dipende la concezione del mondo alla quale obbedisce nella sua vita di uomo, ogni scienziato in quanto tale, di fatto e nell'esercizio stesso della sua scienza —bisogna ringraziare il Meyerson per aver fortemente richiamato l'attenzione su questo punto— afferma praticamente ( in actu exercito ) e con un dogmatismo tanto più impavido quanto meno è riflesso, un certo numero di proposizioni eminentemente metafisiche: sia che si tratti della realtà del mondo sensibile, dell'esistenza esterna dellecose , dei nuclei ontologici stabili, x sostanziali che servono da sopporto ai fenomeni; sia che si tratti della possibilità per le nostre facoltà conoscitive di avere una capacità di presa su queste cose —senza dubbio, con difficoltà e in un modo che implica ogni sorta di limitazioni più o meno oscuramente sentite, ma che può anche contenere incontestabili certezze— che si tratti, in altre parole, di una certa intelligibilità del mondo, senza dubbio mal definita e che si presenta imperfetta, ma che, tuttavia, non si esita a presupporre; sia che si tratti, infine, del valore dei princìpi della ragione, e prima di tutto del principio di causalità, nei riguardi del mondo dell'esperienza, cioè, in altre parole, dell'insufficienza del mutamento a spiegarsi da sé...
Infine ogni scienziato ha una certa idea, spesso forse esplicitata in modo molto parziale o confuso, ma praticamente molto attiva ed efficace, della natura della sua propria scienza: idea che senza alcun dubbio assolve una funzione importantissima nell'orientamento intellettuale dei grandi iniziatori: da questo punto di vista, che cosa c'è di più notevole degli aforismi sulla natura della fisica che così spesso vengono sul labbro di Einstein? Ora, queste considerazioni sulla natura propria di questa o di quella scienza dipendono, in verità, non da quella stessa scienza, ma dalla filosofia: è gnoseologia vissuta.
In breve, non esiste scienza senza i primi principi davanti ai quali deve arrestarsi tutta la serie dei nostri ragionamenti, giacché una regressione all'infinito in questo ordine rende evidentemente impossibile ogni dimostrazione; ed ogni scienziato, per il fatto che si applica a qualsivoglia determinazione, aderisce già in modo molto positivo, ancorché non dichiarato, ad un numero importante di dati filosofici. Per tutto ciò, sembra ben evidente che sarebbe vantaggioso portare in luce e guardare in faccia, come oggetto di sapere, tutto ciò che risiede nello spirito dello scienziato allo stato di esercizio o di vita: sarebbe cioè vantaggioso far filosofia. Si vedrebbe, allora, esplicitamente, quali vincoli oggettivi leghino le scienze alla filosofia. Gli assiomi delle scienze sono determinazioni dei princìpi della metafisica, per esempio, l'assioma matematico: due grandezze uguali ad una terza sono uguali fra loro, è un'applicazione particolare del principio metafisico: due enti identici ad un terzo sono identici tra loro. È la filosofia che giustifica e difende i princìpi delle scienze; essa è quella che definisce alle scienze stesse la natura degli oggetti primi su cui esse operano e, di conseguenza, la loro stessa natura, il loro valore, i loro limiti. È la filosofia, per esempio, e non le matematiche, che ci dirà se il numero irrazionale e il numero transfìnito siano enti reali o enti di ragione, se le geometrie non euclidee siano costruzioni razionali fondate sulla geometria euclidea e lascino a questa un valore privilegiato, o se, al contrario, esse non costituiscano un più vasto insieme, di cui la geometria euclidea non è che una specie; se le matematiche e la logica abbiano, o no, delle frontiere immutabilmente tracciate, ecc. Infine, è la filosofia che assegna l'ordine che regna nelle scienze: sapientis est ordinare.
Jacques Maritain, Distinguere per unire. I gradi del sapere , a cura di A. Pavan, tr. it. di E. Maccagnolo, Morcelliana, Brescia 1974, pp. 73-75.