La divinizzazione delle attività

In apertura del suo saggio ascetico-spirituale Le Milieu Divin, Teilhard de Chardin presenta la sua visione della santificazione del mondo e delle realtà terrene, all’interno del consueto contesto cosmico di ampio respiro proprio delle riflessioni dell’A., proponendosi di superare la visione ascetica allora dominante secondo la quale la divinizzazione dell’umano dipendeva soltanto dalle intenzioni spirituali del soggetto, sottovalutando un reale legame con l’oggetto materiale del proprio lavoro.

1. Esistenza indiscutibile del fatto e difficoltà di spiegarlo. Il problema cristiano della santificazione dell'azione

Dogmaticamente parlando, nulla è più certo della possibile santificazione dell'azione umana: «Qualunque cosa facciate, fatela in nome di Nostro Signore Gesù Cristo» dice san Paolo. E la tradizione cristiana prediletta è stata sempre quella d'interpretare l'espressione «in nome di Nostro Signore Gesù Cristo» come: in unione intima con Nostro Signore Gesù Cristo. Dopo averci invitati ad «ammantarci di Cristo», non è stato forse lo stesso san Paolo a coniare, nel loro pieno significato, o perfino nella loro stessa espressione letterale, la serie di termini famosi « collaborare, compati, commori, con-ressuscitare …» in cui viene espressa la convinzione che ogni esistenza umana deve diventare, in qualche modo, comune con la vita del Cristo? – Gli atti della vita, di cui si tratta qui, non debbono essere intesi, lo si sa, come sole opere di religione o di devozione (preghiere, digiuni, elemosine, ecc…). È proprio l'intera vita umana, considerata sino nelle sue zone dette più ‘naturali' che la Chiesa dichiara santificabile. «Sia che mangiate o che beviate…», dice san Paolo. Tutta la Storia della Chiesa sta lì a dimostrarlo. Nel complesso, dalle direttive solennemente impartite dalla bocca o dagli esempi dei Pontefici fino ai consigli umilmente mormorati da ogni sacerdote nel segreto della confessione, l'insegnamento generale e pratico della Chiesa è andato sempre nel senso di nobilitare, di esaltare, di trasfigurare in Dio i doveri del proprio stato, la ricerca della verità naturale, lo sviluppo dell'azione umana.

Il fatto è indiscutibile. – Ma la sua legittimità, vale a dire la sua coerenza logica con la stessa sostanza dello spirito cristiano, non appare immediatamente. In che modo le prospettive del regno di Dio possono non sconvolgere, con il loro apparire, l'economia e l'equilibrio delle nostre attività? In che modo colui che ha fede nel Cielo e nella Croce può continuare a credere sinceramente nel valore delle occupazioni terrestri? In che modo, in virtù di quanto vi è in lui di maggiormente cristiano, può il fedele dedicarsi alla totalità del suo dovere umano, con lo stesso cuore con cui andrebbe verso Dio? Ecco ciò che, a prima vista, non è chiaro; ed ecco ciò che, in effetti, mette in difficoltà più spiriti di quanto si pensi.

Il problema si pone in questi termini:

In conseguenza dei più sacri articoli del suo Credo, il cristiano ritiene che l'esistenza terrena prosegua in un'altra vita le cui gioie, sofferenze, realtà sono senza confronti con le condizioni attuali del nostro Universo. A tale contrasto, a siffatta sproporzione, che basterebbero da soli a disgustarci della Terra o a toglierle ogni interesse per noi, si aggiunge una vera e propria dottrina di condanna e di disprezzo per un Mondo corrotto e caduco. «La perfezione consiste nel distacco. Quanto ci attornia è solo cenere senza valore». Il fedele legge, o sente ripetere in ogni momento queste austere parole. – Come potrà conciliarle con quest'altro consiglio, ricevuto generalmente dallo stesso maestro, e comunque scolpito dalla natura nel suo cuore, secondo il quale bisogna dare ai Gentili l'esempio della fedeltà al dovere, dello slancio, e perfino di porsi in prima fila su tutte le strade aperte dall'attività umana? Lasciamo da parte gli indocili o i pigri, che, stimando veramente inutile darsi da fare per acquisire conoscenza, o per organizzare un «meglio essere», di cui godrebbero al centuplo dopo il loro ultimo respiro, concorrono all'impegno umano (come sarà stato loro imprudentemente insegnato, – io cito) solo con «la punta delle dita». Esiste una categoria di spiriti (ogni ‘direttore' li ha incontrati) per i quali la difficoltà assume la forma e l'importanza d'una perplessità continua e paralizzante. Costoro, innamorati dell'unità interiore, sono in preda a un vero dualismo spirituale. Da un lato, un istinto molto sicuro, che si confonde con l'amore dell'essere e il gusto di vivere, la attrae verso la gioia di creare e di conoscere. D'altro lato, una volontà più elevata d'amare Dio al di sopra di tutto fa loro temere la minima condivisione, la minima alterazione dei loro affetti. Veramente, è che negli strati più spirituali del loro essere, si manifestano i flussi e riflussi contrari dovuti all'attrazione dei due astri rivali che evocavamo all'inizio: Dio ed il Mondo. Quale dei due si farà più nobilmente adorare?

Secondo la natura più o meno forte del soggetto, il conflitto rischia di concludersi in uno di questi tre modi: – o il cristiano, rimuovendo il gusto del tangibile, si costringerà a non cercare interesse che negli oggetti puramente religiosi e tenterà di vivere in un Mondo divinizzato dall'esclusione del maggior numero possibile di cose terrestri; – o, seccato dall'opposizione interna che lo blocca, manderà a spasso i consigli evangelici e deciderà di condurre una vita che gli sembri umana e autentica; – oppure nel caso più frequente, rinuncerà a capire; mai totalmente votato a Dio, mai interamente votato alle cose: imperfetto ai propri occhi, ritenuto insincero dagli uomini, egli si rassegnerà a condurre una doppia vita. Non si dimentiche che sto parlando per esperienza personale.

A diversi titoli, queste tre soluzioni sono temibili. Snaturarsi, disgustarsi o condurre una doppia vita, costituiscono dei risultati ugualmente negativi, e certamente opposti a ciò che deve autenticamente produrre in noi il Cristianesimo. Dunque deve esserci, senz'alcun dubbio, un quarto mezzo per risolvere il problema: ed è quello di scoprire come, senza la minima concessione fatta alla ‘natura', bensì per sete di maggior perfezione, esista la possibilità di conciliare, poi d'alimentare, l'uno mediante l'altro, l'amore di Dio e il sano amore del Mondo, lo sforzo del distacco e quello dello sviluppo.

Esaminiamo le due soluzioni, la prima incompleta, la seconda totale che si possono dare al problema cristiano della «divinizzazione dell'impegno umano».

2. Una soluzione incompleta: l'azione umana vale, e vale soltanto, grazie all'intenzione con la quale è compiuta

Ridotta in modo un po' crudo e schematico alla sua essenza, una prima risposta fornita dai direttori spirituali, a coloro che chiedono come un cristiano deciso a disprezzare il Mondo e a conservare gelosamente il proprio cuore per Dio possa amare ciò che fa (conformemente al pensiero della Chiesa che il fedele deve, non già agir meno ma agir meglio del pagano), può essere così espressa:

«Caro amico, tu vuoi rivalorizzare il tuo lavoro umano che ti sembra svalutato dalle prospettive e dall'ascetica cristiane. Ebbene, hai solo da riversarvi la meravigliosa sostanza della buona volontà. Purifica la tua intenzione, e ogni minima azione sarà ricolma di Dio.

Certo, il materiale del tuo agire non ha alcun valore definitivo. Che gli Uomini trovino una verità od un fenomeno in più o in meno, – che facciano o non facciano bella musica o belle immagini, – che la loro organizzazione terrestre sia più o meno riuscita, – tutto questo non ha direttamente alcuna importanza per il Cielo. Infatti, nessuna di quelle scoperte né di quelle creazioni entrerà a far parte delle pietre con cui è costruita la nuova Gerusalemme. Ma, lassù, ciò che conterà, ciò che sempre rimarrà, sarà il fatto di avere agito, in tutte le cose, conformemente alla volontà di Dio. Egli non ha certo bisogno delle produzioni della tua industriosa attività, poiché potrebbe avere tutto senza di te. Ciò che Lo interessa esclusivamente, anzi, ciò che desidera intensamente, è l'uso fedele della tua libertà e la preferenza che avrai dato a Lui rispetto agli oggetti che ti circondano.

Intendi bene questo: sulla Terra, le cose non ti sono date che come materia d'esercitazione per addestrare ‘in bianco' la mente ed il cuore. Sei su un terreno di prova che permette a Dio di giudicare se sei capace di essere trasportato in Cielo, alla sua presenza. Perciò, poco importano il valore e il destino dei frutti della Terra. Il vero problema sta nel sapere se li avrai usati per imparare come ubbidire ed amare.

Dunque, non affezionarti al grossolano inviluppo delle opere umane. Non rappresentano altro che paglia combustibile o fragili ceramiche. Ma pensa che, in ognuno di questi umili vasi, puoi far passare, come una linfa o un liquore prezioso, lo spirito di docilità e d'unione a Dio. Se le mete terrestri di per sé non valgono nulla, puoi amarle per l'occasione che ti offrono di dimostrare al Signore la tua fedeltà».

Non vogliamo affermare che queste parole vengano letteralmente pronunciate. Ma pensiamo che contraddistinguano una tonalità realmente presente in molti consigli spirituali; e siamo comunque siluriche traducono abbastanza bene ciò che, dalle esortazioni ricevute, capiscono e ricordano molti ascoltatori e penitenti.

Stabilito ciò, che cosa dobbiamo pensare dell'atteggiamento che propongono?

Anzitutto, tale atteggiamento contiene una parte enorme di verità. Esalta con ragione il ruolo iniziale e fondamentale dell'intenzione che (come dovremo poi ripetere) è veramente la chiave d'oro con cui il nostro mondo interiore si apre alla Presenza di Dio. Esprime, con energia, il valore sostanziale della Volontà divina che, grazie a quell'atteggiamento, diventa per il cristiano (come per il suo Modello divino), l'essenza fortificante di ogni nutrimento terrestre. Rivela, sempre uguale sotto la diversità e la pluralità delle opere umane, una sorta di ambiente unico in cui possiamo situarci senza dover uscirne mai.

Questi diversi aspetti sono una prima ed essenziale approssimazione della soluzione che stiamo cercando; ed intendiamo pure conservarli integralmente nel più soddisfacente schema di vita interiore che verrà proposto tra breve. – Ma ci sembrano privi d'un compimento che la nostra pace e la nostra gioia spirituale richiedono in modo imperioso. La divinizzazione del nostro sforzo, attraverso il valore dell'intenzione che lo guida, infonde a tutte le nostre azioni un'anima preziosa; ma non assicura al loro corpo la speranza d'una resurrezione. Ora, affinché la nostra felicità sia completa, abbiamo bisogno di questa speranza. – È già molto poter pensare che, se amiamo Dio, una certa parte della nostra attività interiore, della nostra operatio, non andrà mai perduta. Ma lo stesso lavoro della nostra mente, del nostro cuore, della nostre mani, – i nostri risultati, le nostre opere, il nostro opus, – non sarà forse, in qualche modo, anch'esso, ‘eternato', salvato?...

O sì, Signore, sarà salvato, a motivo d'una pretesa che Tu stesso hai posto al centro della mia volontà! Voglio, ho bisogno che lo sia. Lo voglio perché amo irresistibilmente ciò che il tuo ausilio permanente mi permette, ogni giorno, di realizzare. Questo pensiero, questo perfezionamento materiale, questa armonia, questa sfumatura particolare d'amore, questa squisita complessità d'un sorriso o d'uno sguardo, tutte queste bellezze nuove che appaiono per la prima volta, in me o attorno a me, sul volto umano della Terra, sono da me prediletti come figli, dei quali non posso credere che moriranno totalmente, nella loro carne. Se credessi che queste cose potrebbero appassire per sempre, avrei forse mai dato loro la vita? Più mi analizzo, più scopro questa verità psicologica: nessun uomo alzerebbe un mignolo per la minima opera senza essere mosso dalla convinzione, più o meno confusa, di lavorare in modo infinitesimale (per lo meno indiretto) all'edificazione d'un qualche Definitivo, e cioè all'opera di Te stesso, mio Dio. Una tale aspirazione può sembrare strana ed eccessiva a coloro che agiscono senza sottoporsi sino in fondo a una franca autocritica. Eppure è una legge fondamentale del loro agire. Ci vuole niente di meno che il fascino di ciò che chiamiamo l'Assoluto, niente di meno che Te stesso, – per mettere in moto la fragile libertà che ci hai dato. Perciò, tutto quello che diminuisce la mia fede esplicita nel valore celeste dei risultati del mio impegno, indebolisce, senza rimedio, la mia capacità d'agire.

Mostra, o Signore, a tutti i tuoi fedeli come, in un senso reale e pieno, «le loro opere li seguono» nel tuo regno: opera sequuntur illos. Altrimenti, saranno come quei pigri operai che nessun compito sprona. Oppure, se in essi, l'istinto umano prevarrà sulle esitazioni o sui sofismi d'una religione non abbastanza illuminata, saranno interiormente sempre divisi, impacciati; e verrà detto che i figli del Cielo non possono gareggiare, nel campo dell'umano, a parità di convinzione e dunque ad armi pari, con i figli della Terra.

3. La soluzione definitiva: ogni sforzo coopera al compimento del mondo «In Cristo Jesu»

L'economia generale della salvezza (cioè della divinizzazione) delle nostre opere è contenuta nel seguente ragionamento:

in seno al nostro Universo, ogni anima è per Dio, in Nostro Signore. Ma d'altra parte, ogni realtà, anche materiale, attorno a ciascuno di noi, è per la nostra anima.

Così, attorno a ciascuno di noi, ogni realtà sensibile è, mediante la nostra anima, per Dio in Nostro Signore.

Approfondiamo, una dopo l'altra, le tre proposizioni di questo sillogismo. È facile coglierne i termini ed il legame. Ma facciamo ben attenzione: una cosa è averne inteso le parole, – altra cosa esser penetrati nel mondo sorprendente di cui, con il suo fermo rigore, ci rivela le ricchezze inesauribili.

a) Nel nostro Universo, ogni anima è per Dio, in Nostro Signore

Questa proposizione maggiore del nostro sillogismo non fa altro che esprimere il dogma cattolico fondamentale, – quello di cui tutti gli altri dogmi rappresentano soltanto spiegazioni o precisazioni. Pertanto non richiede qui nessuna prova, ma pretende che le conferiamo, nel nostro intelletto, un forte significato. Ogni anima è per Dio, in Nostro Signore. Non accontentiamoci di dare a questa destinazione del nostro essere al Cristo un senso troppo pedissequamente ricalcato sulle relazioni giuridiche che collegano, nel nostro mondo, un oggetto al suo proprietario. È di natura ben più fisica e profonda. Certo, poiché l'Universo consumato (il Pleroma, come dice san Paolo) è una comunione tra persone ( la Comunione dei Santi), è necessario per la nostra mente esprimere i legami per mezzo di analogie sociali. Senza dubbio per evitare la deviazione materialistica o panteistica che insidia il nostro pensiero ogniqualvolta tenta d'usare nei suoi concetti mistici le risorse potenti, ma pericolose, delle analogie organiche, molti teologi (in ciò più timorosi di san Paolo) non hanno piacere che si conferisca un significato troppo realistico alle correlazioni esistenti nel Corpo mistico tra le membra ed il Capo. Ma questa prudenza non deve diventare timidezza. Vogliamo comprendere, insieme alla loro grande fermezza (che di per sé li rende belli ed accettabili), gli insegnamenti della Chiesa sul valore della vita umana e sulle promesse o minacce della vita futura? – Bisogna che, senza nulla rigettare delle forze di libertà e di coscienza che costituiscono la realtà fisica propria dell'anima umana, noi percepiamo, tra noi stessi e il Verbo incarnato, l'esistenza di legami altrettanto precisi di quelli che, nel Mondo, orientano le affinità degli elementi all'edificazione di Tutti i ‘naturali'.

Inutile qui cercare un nuovo nome per designare la natura sovraeminente di questa dipendenza in cui si combinano armoniosamente, in un massimo, quanto v'è di più duttile nelle combinazioni umane e di più intransigente nelle costruzioni organiche. Chiamiamola dunque, come si è sempre fatto, legame mistico . Ma questo temine, lungi dal contenere una qualsiasi idea d'attenuazione, significhi invece, per noi, rafforzamento e purificazione di quanto è racchiuso, come realtà ed urgenza, nelle più potenti connessioni di cui, a tutti i livelli, il mondo fisico ed umano ci dà esempio. Su questa strada, possiamo andare avanti senza timore di superare la verità; poiché, sul fatto stesso, se non sulla sua espressione dottrinaria, tutti sono d'accordo nella Chiesa di Dio: per via della potente Incarnazione del Verbo, la nostra anima è totalmente votata al Cristo, centrata su di Lui.

b) Ed ora, abbiamo aggiunto, «nel nostro Universo, ove ogni spirito è per Dio, in Nostro Signore tutto il sensibile è, a sua volta, per lo Spirito»

Nella forma che qui le conferiamo, questa proposizione minore del nostro sillogismo ha un aspetto finalistico che rischia di urtare i temperamenti positivistici. Eppure non fa che esprimere un fatto naturale incontestabile, – e cioè che il nostro essere spirituale si alimenta continuamente delle innumerevoli energie del Mondo tangibile. Anche qui, è inutile dimostrare. È necessario vedere, – vedere realmente ed intensamente come stanno le cose. Purtroppo, noi viviamo in seno alla rete degli influssi cosmici, come in seno alla massa umana o come tra miriadi di stelle: senza prendere coscienza della loro immensità. Se vogliamo vivere la pienezza della nostra umanità e del nostro cristianesimo, bisogna superare questa insensibilità che tende ad occultarci le cose a mano a mano che diventano troppo vicine e troppo grandi. Vale la pena di fare l'utile esercizio che consiste nel seguire, partendo dalle zone più personalizzate della coscienza i prolungamenti del nostro essere attraverso il Mondo. Rimarremo stupefatti constatando l'estensione ed il carattere profondo delle nostre relazioni con l'Universo.

Le radici del nostro essere? Anzitutto, affondano nel più insondabile passato. Quale mistero quello delle prime cellule che, un giorno, il soffio della nostra anima ha sovranimato! Quale indecifrabile sintesi di successive influenze in cui siamo per sempre incorporati! In ciascuno di noi, attraverso la Materia , è l'intera storia del Mondo che si ripercuote parzialmente. Per quanto autonoma sia la nostra anima, essa è l'erede d'una esistenza prodigiosamente elaborata, in precedenza, dall'insieme di tutte le energie terrestri: incontra e raggiunge la Vita ad un determinato livello. Ora, non appena si trova impegnata nell'Universo in quel punto particolare, essa si sente a sua volta assediata e penetrata dal flusso delle influenze cosmiche da ordinare e da assimilare. Guardiamoci attorno: le onde arrivano da tutte le parti, perfino dal fondo dell'orizzonte. Per tutti i varchi, il mondo sensibile ci immerge nelle sue ricchezze: alimento per il corpo e cibo per gli occhi, armonia dei suoni e pienezza del cuore, fenomeni ignoti e verità nuove, tutti questi tesori, tutte queste stimolazioni, tutti questi appelli, giunti dai quattro angoli del Mondo, ad ogni momento attraversano la nostra coscienza. Per quale motivo vengono in noi? Anzi, che cosa faranno in noi se, simili a lavoratori negligenti, li accoglieremo in modo passivo oppure acritico? Si mescoleranno alla vita più intima della nostra anima per svilupparla o per avvelenarla. Osserviamoci per un minuto e ne saremo convinti sino all'entusiasmo o sino all'angoscia. Se il cibo più umile e più materiale è già capace d'influire profondamente sulle nostre facoltà spirituali, cosa dire delle energie infinitamente più penetranti veicolate dalla musica dei colori, delle note, delle parole, delle idee? Non v'è in noi un corpo che si alimenti indipendentemente dall'anima. Tutto ciò che il corpo ha assunto in sé e ha cominciato a trasformare, l'anima, a sua volta, deve sublimarlo. Lo fa, certo, in base alla propria dignità e secondo i suoi modi. Ma non può sfuggire né a questo universale contatto né a questo continuo lavoro. Così va perfezionandosi in essa, per sua fortuna e a suo rischio, la potenza specifica di comprendere e d'amare che costituirà la sua più immateriale individualità. Sappiamo ben poco in quale proporzione e in quale forma le nostre facoltà naturali passeranno nell'atto finale della visione divina. Ma non v'è dubbio che, con l'aiuto di Dio, noi ci formiamo quaggiù gli occhi e il cuore che la trasfigurazione finale farà divenire gli strumenti della facoltà d'adorazione e della capacità di beatificazione proprie di ciascuno di noi.

I maestri di vita spirituale ripetono a gara che Dio vuole soltanto le anime. Per dare a tali parole il loro giusto valore, non si deve dimenticare che l'anima umana, per quanto la nostra filosofia l'immagini creata a parte, è inseparabile, nella sua nascita e nella sua maturazione, dall'Universo in cui è sorta. In ogni anima, Dio ama e salva parzialmente l'intero Mondo, che tale anima compendia in modo particolare ed incomunicabile. Ora, questo compendio, questa sintesi, non ci sono dati bell'e fatti, bell'e compiuti, al primo risveglio della coscienza. Tocca a noi, con la nostra attività, radunarne diligentemente gli elementi ovunque disseminati. Il lavoro dell'alga che concentra nei propri tessuti le sostanze sparse a dosi infinitesimali nelle immense masse oceaniche, – l'industriosità dell'ape che fa il miele con i succhi dispersi in mille fiori, – sono solo una pallida immagine dell'elaborazione continua subita in noi, da tutte le potenzialità dell'Universo, per diventare spirito.

Così, ogni uomo, nel corso della sua vita presente, non deve solo mostrarsi ubbidiente, docile. Con la sua fedeltà, deve costruire, a partire dalla zona più naturale di sé, un ‘opus' in cui entri qualcosa di tutti gli elementi della Terra. Egli si fa la propria anima durante tutti i suoi giorni terreni; e, al tempo stesso, collabora ad un'altra opera, ad un altro ‘ opus ', che travalica infinitamente, pur condizionandole in modo diretto, le prospettive della sua riuscita individuale: il compimento del Mondo. Infatti, neppure questo si deve dimenticare, nel presentare la dottrina cristiana della salvezza: anche il Mondo nel suo complesso, per il fatto di costituire una gerarchia d'anime, – che compaiono solo successivamente, si sviluppano solo collettivamente, si compieranno solo unitariamente –, subisce una specie di estesa ‘ontogenesi' di cui lo sviluppo di ogni anima, mediante le realtà sensibili, è solo un'armonica minore. Con il nostro impegno di spiritualizzazione individuale, il Mondo accumula lentamente, a partire da tutta la materia, ciò che ne farà un giorno la Gerusalemme celeste, ovvero la Terra nuova.

c) Adesso possiamo accostare l'una all'altra le proposizioni maggiore e minore del nostro sillogismo, per coglierne il legame e la conclusione

Se, in base al nostro Credo, è proprio vero che le anime passano in modo così intimo nel Cristo e in Dio, – se, in base alle constatazioni più generali dell'analisi psicologica, è anche vero che il mondo sensibile passa così vitalmente nelle zone più spirituali delle nostre anime, – è giocoforza riconoscere la fondamentale unità del processo che, da cima a fondo, muove e dirige gli elementi dell'Universo. E noi cominciamo a vedere più distintamente che sorge nel nostro Mondo interiore, il grande Sole del Cristo Re, del Cristo « amictus Mundo », del Cristo Universale. Via via, da una tappa all'altra, alla fine tutto si ricollega al Centro Supremo « in quo omnia constant ». Le radiazioni emanate da questo Centro non agiscono solamente nelle zone elevate del mondo, ove le attività umane si svolgono in una forma specificamente sovrannaturale e meritoria. Per salvare e realizzare queste energie sublimi, la potenza del Verbo incarnato s'irradia nella Materia; discende sin nel fondo più oscuro delle potenzialità inferiori. E l'Incarnazione sarà compiuta solo quando la quantità di sostanza eletta che ogni oggetto racchiude, – spiritualizzata una prima volta nelle nostre anime ed una seconda volta con le nostre anime in Gesù, – avrà raggiunto il Centro definitivo del suo completamento. « Quid est quod ascendit, nisi quod prius descendit, ut repleret omnia ».

Con la nostra collaborazione che egli suscita, il Cristo si consuma, raggiunge la pienezza, a partire da ogni creatura. Ce lo insegna san Paolo. Forse credevamo che la Creazione fosse da tempo terminata. Errore, essa si sviluppa sempre più intensamente, e nelle zone più elevate del Mondo. « Omnis creatura adhuc ingemiscit et parturit ». Ed il nostro compito è quello di portarla a termine anche con il più umile lavoro delle nostre mani. Ecco quali sono, in definitiva, il senso e il valore del nostro agire. In virtù dell'interlegame Materia-Anima-Cristo, qualunque cosa facciamo , portiamo a Dio una particella dell'essere che Egli desidera. Con ogni nostra opera , noi lavoriamo, in modo infinitesimo ma reale, a realizzare il Pleroma, cioè offriamo al Cristo un po' di compimento.

4. La Comunione mediante l'Azione

Ogni nostra opera, con la sua ricaduta più o meno lontana e diretta sul Mondo spirituale, concorre a perfezionare il Cristo nella sua totalità mistica. Ecco, completa per quanto possibile, la risposta alla nostra domanda: come, in base all'invito di san Paolo, possiamo veder Dio in tutta la metà attiva della nostra vita? – Veramente, con l'operazione sempre in atto, dell'Incarnazione, il Divino penetra così bene nelle nostre energie di creature che, per incontrarlo ed abbracciarlo, non sapremmo trovare un luogo più adatto del nostro stesso agire.

Anzitutto, nell'azione aderisco alla potenza creatrice di Dio; coincido con essa; ne divento non solo lo strumento, ma il prolungamento vivente. E siccome in un essere non v'è nulla di più intimo della volontà, io, in qualche modo, mi confondo mediante il mio cuore con lo stesso cuore di Dio. Questo contatto è permanente, poiché agisco sempre; e, nel contempo, poiché non saprei trovare alcun limite al perfezionamento della mia fedeltà, né al fervore della mia intenzione, esso mi permette d'assimilarmi a Dio, in modo sempre più intimo, indefinitamente.

In questa comunione, l'anima non si ferma per gioire, né perde di vista l'aspetto materiale della sua azione. Non sposa forse un impegno creatore ? La volontà di riuscire, una certa appassionata dilezione per l'opera da generare, sono parte integrante della nostra fedeltà di creatura. Di conseguenza, la stessa sincerità con cui desideriamo e ricerchiamo il successo, per Dio, si rivela come un nuovo elemento, – anch'esso illimitato – della nostra più perfetta congiunzione con l'Onnipotente che ci anima. Associati dapprima a Dio nel semplice esercizio comune delle volontà, ci uniamo ora a Lui nel comune amore del fattore da generare; e la meraviglia delle meraviglie sta nel fatto che, in questo fattore finalmente ottenuto, abbiamo la somma gioia di ritrovarLo ancora presente.

Ciò risulta immediatamente da quanto testé dicevamo sull'interlegame naturale e sovrannaturale delle azioni nel Mondo. Ogni accrescimento che procuro a me stesso, o alle cose, si commisura a un qualche aumento della mia capacità d'amare e a un qualche progresso della benefica presa di possesso dell'Universo da parte del Cristo. Il nostro lavoro ci appare soprattutto come un mezzo per guadagnarci il pane quotidiano. Ma la sua virtù definitiva è ben più alta: per suo tramite, perfezioniamo in noi il tema dell'unione divina; ed ampliamo anche, in qualche modo, nei nostri confronti, il termine divino di questa unione, Nostro Signore Gesù Cristo. Perciò, artisti, operai, scienziati, qualunque sia la nostra funzione umana, noi possiamo, se siamo cristiani, precipitarci verso l'oggetto del nostro lavoro come a un varco aperto verso il supremo completamento dei nostri esseri. Veramente, senza esaltazione né esagerazione nel pensiero o nelle parole, ma per il semplice confronto delle verità fondamentali della nostra fede e dell'esperienza, siamo indotti a constatare che Dio è inesauribilmente raggiungibile nella totalità della nostra azione. E questo prodigio di divinizzazione è paragonabile solo alla dolcezza con la quale si compie la metamorfosi, senza turbare, in alcun modo, (« non minuit, sed sacravit ...») la perfezione e l'unità dello sforzo umano.

5. La perfezione cristiana dell'impegno umano

Si poteva temere, abbiamo detto, che l'economia dell'azione umana fosse logicamente sconvolta dall'introduzione delle prospettive cristiane. La ricerca e l'attesa del Cielo non vanno forse a distogliere l'azione umana dalle sue occupazioni naturali, o per lo meno ad eclissarne totalmente l'interesse? Vediamo ora come non può, come non deve essere così. L'unione di Dio e del Mondo si è or ora compiuta sotto i nostri occhi nel campo dell'azione. No, Dio non distoglie anzi tempo il nostro sguardo dal lavoro che proprio Lui ci ha imposto, poiché Egli si presenta a noi raggiungibile mediante questo stesso lavoro. No, Egli non fa svanire nella sua luce intensa gli aspetti particolari delle nostre mete terrene, poiché l'intimità della nostra unione con Lui è precisamente in funzione dell'effettiva perfezione che daremo alla nostra più infima opera. Meditiamo questa verità fondamentale a sazietà, sino a che essa diventi per noi abituale quanto la percezione del rilievo o la lettura delle parole. In ciò che Egli ha di più vivo e di più incarnato, Dio non è lontano da noi, fuori della sfera tangibile; ma ci aspetta ad ogni istante nell'azione, nell'opera del momento. In qualche maniera, è sulla punta della mia penna, del mio piccone, del mio pennello, del mio ago, – del mio cuore, del mio pensiero. È portando sino all'ultima perfezione naturale il tratto, il colpo, il punto al quale mi sto dedicando, che coglierò la Meta ultima cui tende il mio volere profondo. Simile a quelle temibili energie fisiche che l'Uomo riesce a disciplinare sino a far compier loro cose prodigiosamente delicate, l'enorme potenza dell'attrazione divina si applica ai nostri fragili desideri, ai nostri microscopici oggetti, senza spezzarne la punta. Essa superanima: quindi né turba né soffoca nulla. Superanima: quindi introduce nella nostra vita spirituale un principio superiore d'unità il cui effetto specifico è, secondo il punto di vista adottato, di santificare lo sforzo umano o di umanizzare la vita cristiana.

a) La santificazione dell'impegno umano

Non penso di esagerare affermando che, per i nove decimi dei cristiani praticanti, il lavoro umano resta allo stato di «impaccio spirituale». Nonostante la pratica della retta intenzione e della giornata quotidianamente offerta a Dio, la massa dei fedeli cova oscuramente l'idea che il tempo trascorso in ufficio, nel proprio studio, nei campi o nella fabbrica sia sottratto all'adorazione. Certo, è impossibile non lavorare. Ma è anche impossibile proporsi quella profonda vita religiosa riservata a coloro che hanno il tempo di pregare o predicare tutto il giorno. Nella vita, alcuni minuti possono essere recuperati per Dio. Ma le ore migliori sono sperperate o per lo meno svalorizzate dalle cure materiali. – Oppressi da questo sentimento, moltissimi cattolici conducono in realtà una doppia vita, o una vita impacciata: hanno bisogno di abbandonare la veste umana per ritenersi cristiani, e solo cristiani di secondo ordine.

Dopo quanto abbiamo detto delle divine estensioni e delle divine esigenze del Cristo mistico od universale, appaiono manifeste l'inanità di quelle impressioni e la legittimità della tesi, così cara al Cristianesimo, della santificazione del dovere del proprio stato. Certo, nelle nostre giornate, esistono minuti particolarmente nobili e preziosi, quelli della preghiera e dei sacramenti. In mancanza di quei momenti di contatto, più efficaci o più espliciti, il fluire dell'onnipresenza divina e la visione che ne abbiamo ben presto s'indebolirebbero, sino a che la nostra più fervida diligenza umana, senza essere del tutto perduta per il Mondo, resta per noi privata di Dio. Ma, riservata gelosamente questa parte alle relazioni con Dio incontrato, se oso dire, «allo stato puro» (cioè allo stato di Essere distinto da tutti gli elementi di questo Mondo), come temere che l'occupazione più banale, più assorbente oppure più affascinante, ci costringa ad uscire da Lui? – Ripetiamolo: in virtù della Creazione e ancor più dell'Incarnazione, niente è profano quaggiù per chi sa vedere. Invece, tutto è sacro per chi sa distinguere, in ogni creatura, la particella di essere eletto sottoposta all'attrazione del Cristo in corso di compimento. Con l'aiuto di Dio, riconoscete la correlazione, anche fisica, che collega il vostro lavoro all'edificazione del Regno Celeste, vedete lo stesso Cielo che vi sorride e vi attrae attraverso le vostre opere; e, nel lasciar la Chiesa per la città rumorosa, non avrete altro che la sensazione di continuare ad immergervi in Dio. Se il lavoro vi sembra insipido od estenuante, cercate rifugio nell'interesse riposante e inesauribile di progredire nella vita divina. Se vi appassiona, trasferite nell'anelito di Dio, da voi meglio conosciuto e desiderato sotto il velo delle opere, lo slancio spirituale che la Materia vi comunica. Mai, in nessun caso, «sia che mangiate o che beviate», acconsentite a fare checchessia senza averne riconosciuto prima e senza averne ricercato poi tutto il significato ed il valore positivo in Christo Jesu. Questa non è soltanto una lezione di salvezza qualunque; è, secondo lo stato e la vocazione di ognuno, la stessa via della santità. Infatti, per una creatura, cosa significa essere santa, se non aderire a Dio al massimo delle proprie possibilità? – e che cosa significa aderire a Dio al massimo grado se non adempiere, nel Mondo organizzato attorno al Cristo, la funzione precisa, umile od eminente, alla quale, per natura e per sovrannatura, essa è destinata?

Nella Chiesa, vediamo diversi gruppi i cui membri si dedicano alla pratica perfetta di questa o di quella virtù particolare: misericordia, distacco, splendore dei riti, missione, contemplazione. Perché non vi potrebbero essere anche uomini votati al compito di dare, con la loro vita, l'esempio della santificazione generale dello sforzo umano? – uomini il cui ideale religioso abituale sarebbe quello di dare completa e cosciente esplicitazione alle possibilità od esigenze divine racchiuse in una qualsiasi occupazione terrestre? – in breve, uomini che, nei campi del pensiero, dell'arte, dell'industria, del commercio, della politica ecc..., si dedicassero a compiere, con lo spirito sublime richiesto, le opere fondamentali che costituiscono la stessa ossatura della società umana? Attorno a noi, i progressi ‘naturali' di cui si alimenta la santità di ogni secolo nuovo, sono troppo spesso abbandonati ai figli della Terra, cioè agli agnostici o agli atei. Certo, senza pensarvi o senza volerlo, costoro collaborano al Regno di Dio e al compimento degli eletti: i loro sforzi, superando o correggendo intenzioni imperfette o cattive, sono recuperati da Colui «la cui Energia è in grado di sottomettersi tutto». Ma non si tratta, ovviamente, che d'una soluzione di ripiego, d'una fase provvisoria nell'organizzazione delle attività umane. Dalle mani che l'impastano sino a quelle che la consacrano, la grande Ostia universale dovrebbe essere preparata e maneggiata solo con adorazione .

Oh! venga il tempo in cui gli Uomini, diventati coscienti dello stretto legame che associa tutti i movimenti di questo Mondo nell'unica opera dell'Incarnazione, non potranno più dedicarsi ad alcun compito senza illuminarlo con la prospettiva precisa che il loro lavoro, per quanto elementare sia, è raccolto e utilizzato da un Centro divino dell'Universo!

Allora, veramente, ben poco separerà la vita del chiostro da quella laicale. E solo allora l'azione dei figli del Cielo (assieme all'azione dei figli del Secolo) avrà raggiunto la pienezza desiderabile della sua umanità.

b) L'umanizzazione dell'impegno cristiano

La grande obiezione del nostro tempo contro il Cristianesimo, la vera fonte delle diffidenze che rendono impermeabili all'influsso della Chiesa intere masse dell'Umanità, non sono precisamente delle difficoltà storiche o teologiche. È il sospetto che la nostra religione renda i suoi fedeli inumani .

«Il Cristianesimo – pensano talvolta i migliori tra i Gentili – è cattivo o inferiore perché non conduce i propri adepti oltre l'Umanità ma fuori o a lato di essa. Li isola anziché immetterli nella massa. Li disinteressa anziché applicarli al compito comune. Dunque non li esalta: ma li indebolisce oppure li guasta. Del resto, non lo confessano forse essi stessi? Quando, per caso, un loro religioso, un loro sacerdote, si dedica a ricerche cosiddette profane, il più delle volte, prende ben cura di far presente che si adatta a queste occupazioni di second'ordine solo per conformarsi a una moda o ad un'illusione, tanto per dimostrare che i cristiani non sono i più stupidi tra gli uomini. In definitiva, quando un cattolico lavora con noi, abbiamo sempre l'impressione che lo faccia senza sincerità, per condiscendenza. Sembra interessarsi. Ma, in fondo, per via della sua religione, non crede allo sforzo umano. Il suo cuore non è più con noi. Il Cristianesimo genera disertori e traditori: ecco ciò che non possiamo perdonargli».

Questa obiezione, mortale se corrispondesse alla verità, l'abbiamo messa in bocca a un non credente. Ma non risuona forse, qua e là, nelle anime più fedeli? A quale cristiano, accorgendosi della sorta d'isolante o di ghiaccio che lo separava dai suoi compagni non credenti, non è forse accaduto di chiedersi con preoccupazione se non sbagliasse strada e se non avesse effettivamente perso il filo della grande corrente umana?

Ebbene, senza negare che (ben più con le parole che con gli atti) taluni cristiani si espongono al rimprovero d'essere, se non ‘nemici', per lo meno ‘stanchi' del genere umano, noi possiamo affermare, dopo ciò che abbiamo appena detto sul valore sovrannaturale dell'impegno terrestre, che l'atteggiamento di quelle persone è dovuto a un'incompleta comprensione, e non già ad una certa qual perfezione, della religione.

Noi disertori? Noi scettici circa il valore del Mondo tangibile? Noi disgustati del lavoro umano? Ah! quanto poco ci conoscete... Ci sospettate di non partecipare alle vostre ansie, alle vostre speranze, alle vostre esaltazioni nel penetrare i misteri e nel conquistare le energie terrestri. «Siffatte emozioni, dite voi, potrebbero essere condivise soltanto da coloro che lottano insieme per l'esistenza: ora, voialtri cristiani, vi professate già salvati». Come se, per noi, altrettanto e ben maggiormente che per voi, non fosse una questione di vita o di morte che la Terra abbia successo fin nelle sue potenzialità più naturali! Per voi (e davvero in questo caso non siete ancora abbastanza umani, non amate cioè sino al punto estremo della vostra umanità) si tratta solo del successo o dello scacco d'una realtà che, anche se concepita sotto l'aspetto di una qualche super-umanità, rimane vaga e precaria. Per noi, invece, in un senso vero, si tratta proprio del compimento del trionfo d'un Dio. C'è una cosa infinitamente deludente, ve lo concedo: è che, troppo poco coscienti delle responsabilità ‘divine' della loro vita, tanti cristiani vivono come gli altri uomini, in uno sforzo dimezzato, senza conoscere il pungolo o l'ebbrezza del Regno di Dio da promuovere in tutti i campi dell'attività umana. Ma abbiate la cortesia di criticare qui solo la nostra debolezza. In nome della nostra Fede, abbiamo il diritto e il dovere d'appassionarci alle cose della Terra. Come voi, e persino meglio di voi (perché, di noi due, solo io posso prolungare sino all'infinito, conformemente alle esigenze del mio più intimo volere, le prospettive del mio impegno), voglio votarmi, corpo ed anima, al sacro dovere della Ricerca. Sondiamo tutte le barriere. Tentiamo tutte le strade. Scandagliamo tutti gli abissi. Nihil intentatum ... Lo vuole Dio, che ha voluto averne bisogno. – Siete uomini? « Plus et ego ».

« Plus et ego ». Non v'è dubbio. In questo tempo che vede il risveglio legittimo, in un'Umanità in procinto di diventare adulta, della coscienza della sua forza e delle sue possibilità, uno dei primi doveri apologetici del cristiano sta nell'indicare, con la logica delle sue prospettive religiose e ben di più con quella del suo agire, come il Dio incarnato non sia venuto per sminuire in noi né la magnifica responsabilità, né la splendida ambizione di farci noi stessi . Ancora una volta « non minuit, sed sacravit ». No, il Cristianesimo non è, come lo si rappresenta o talvolta lo si pratica, un sovraccarico di pratiche e obblighi che appesantiscono, aumentano l'onere già così gravoso o moltiplicano i vincoli, già così paralizzanti, della vita sociale. Esso è, in verità, un'anima potente, che conferisce significato, fascino e nuova scioltezza a quanto già facevamo. Ci orienta, certo, verso vette impreviste. Mala salita che a queste conduce, è tanto ben correlata a, quella che stavamo naturalmente già percorrendo che, nel cristiano, niente è più decisamente umano (è quello che dovremo ora esaminare) del suo stesso distacco.

6. Il distacco mediante l'Azione

Quanto abbiamo testé esposto circa la divinizzazione intrinseca dello sforzo umano non pare discutibile tra i cristiani, poiché, per stabilirlo, ci siamo limitati ad assumere nel loro giusto rigore, e a confrontare tra loro, alcune verità teoretiche o pratiche riconosciute da tutti.

Tuttavia, certi lettori, senza trovare alcun difetto preciso al nostro ragionamento, si sentiranno forse vagamente disorientati o preoccupati di fronte a un ideale cristiano in cui è data tanta importanza alla cura dello sviluppo umano e alla ricerca di miglioramenti terrestri. Abbiano la cortesia di non dimenticare che abbiamo sinora percorso solo la metà della strada che conduce al Monte della Trasfigurazione. Sin qui, ci siamo occupati solo della parte attiva delle nostre esistenze. Tra breve, e cioè nel capitolo dedicato alle passività ed alle diminuzioni, si scopriranno con maggior ampiezza le braccia dominatrici della Croce. Osserviamo però che, nell'atteggiamento così ottimistico, così liberatorio di cui abbiamo or ora abbozzato i lineamenti, si nasconde ovunque una vera e profonda rinuncia. Colui che si dedica al compito umano, secondo la formula cristiana, sebbene possa esternamente apparire come immerso nelle cure della Terra, è, sin nell'intimo, un essere profondamente distaccato.

In sé, per intrinseca natura, il lavoro è un fattore molteplice di distacco per coloro che vi si dedicano senza ribellione, con fedeltà. In primo luogo, implica lo sforzo, la vittoria sull'inerzia. Per quanto interessante sia (quanto più spirituale è, potremmo dire), il lavoro è un parto doloroso. L'uomo sfugge alla terribile noia del dovere monotono e banale soltanto per fronteggiare le ansie e la tensione interna della ‘creazione'. Creare, o organizzare, energia materiale, verità o bellezza, rappresenta un intimo tormento, per cui chi vi si avventura è distolto dalla vita tranquilla e ripiegata su di sé, in cui sta proprio il vizio dell'egoismo e dell'attaccamento. Per essere un buon operaio della Terra, l'uomo, non solo deve abbandonare una prima volta la tranquillità ed il riposo, ma deve anche saper continuamente abbandonare le forme iniziali della sua industriosità, della sua arte, del suo pensiero, per conseguire risultati migliori. Fermarsi nel godimento, nel possesso, sarebbe una colpa contro l'azione. Ancora e sempre, bisogna superare se stessi, lasciare dietro di sé ad ogni momento le più care idee appena abbozzate. – Ora, seguendo questa strada, non poi tanto diversa dalla via regale della Croce, come potrebbe sembrare a prima vista, il distacco non consiste semplicemente nella sostituzione continua di un oggetto con un altro oggetto dello stesso ordine, – come i chilometri succedono ai chilometri su una strada piana. In virtù di una meravigliosa potenza ascensionale inclusa nelle cose (l'analizzeremo più dettagliatamente quando parleremo della «potenza spirituale della Materia»), ogni realtà raggiunta e superata ci permette di scoprire e di perseguire un ideale di più elevata qualità spirituale. A chi dispiega adeguatamente la vela al soffio della Terra, si rivela una corrente che lo costringe ad inoltrarsi sempre più in alto mare. Più le aspirazioni e le azioni d'un uomo sono nobili, più questi diventa avido di fini grandi e sublimi da conseguire. Ben presto non gli bastano più la sola famiglia, la sola patria, il solo aspetto remunerativo della sua azione. Avrà bisogno di creare delle organizzazioni generali, di aprire vie nuove, di sostenere delle Cause, di scoprire delle Verità, di nutrire e di difendere degli Ideali. – Così, gradualmente, l'operaio della Terra cessa di appartenere a se stesso. A poco a poco, il grande soffio dell'Universo, insinuatosi in lui attraverso la fessura d'un agire umile ma fedele, lo ha dilatato, sollevato, trascinato.

Nel cristiano, purché sappia usare in modo conveniente le risorse della propria fede, tali effetti raggiungono il culmine e il coronamento. L'abbiamo visto: rispetto alla realtà, alla precisione, allo splendore del fine ultimo cui dobbiamo mirare anche con il più infimo nostro atto, noi, discepoli del Cristo, siamo i più fortunati tra gli Uomini. Il cristiano riconosce come sua la funzione di divinizzare il Mondo in Gesù Cristo. In lui dunque, il processo naturale, che spinge l'azione umana da un ideale all'altro, verso oggetti sempre più consistenti ed universali, raggiunge, grazie alla Rivelazione, il totale compimento. Di conseguenza, in lui il distacco mediante l'azione deve conseguire il massimo della sua efficacia. E ciò è perfettamente vero. Così come lo abbiamo concepito in queste pagine, il cristiano è ad un tempo l'uomo più dedito e distaccato che esiste. Convinto, più di un qualsiasi ‘mondano', del valore e dell'interesse insondabili nascosti nel benché minimo successo terreno, è nel contempo persuaso, alla pari di un qualsiasi anacoreta, della fondamentale nullità di ogni risultato inteso semplicemente come vantaggio individuale (anche universale) all'infuori di Dio. Egli cerca Dio e solo Dio, attraverso la realtà delle creature. Per lui, l'interesse è veramente nelle cose, ma in assoluto subordine alla presenza di Dio in esse. Per lui, la luce celeste diventa tangibile e raggiungibile nel cristallo degli esseri; ma desidera solo la luce; e se la luce si spegne perché l'oggetto è spostato, superato, oppure se ne va, anche la sostanza più preziosa non diventa che cenere ai suoi occhi. Così, ‘sin nel proprio intimo e negli sviluppi più personali che si procura, non cerca se stesso ma il più Grande di sé, al quale sa di essere destinato. Davvero, al proprio sguardo, non conta più; non esiste più; si è dimenticato e perso nello stesso sforzo del perfezionamento. Non è più l'atomo che vive, è l'Universo che vive in lui.

Non solo ha incontrato Dio nell'intero campo delle proprie attività tangibili. Ma, in questa prima fase del suo sviluppo spirituale, l'Ambiente divino da lui scoperto assorbe le sue intime potenzialità nella stessa proporzione in cui queste conquistano più faticosamente la loro individualità.

   

Pierre Teilhard de Chardin, L'Ambiente Divino , tr. it a cura di Annetta Dozon Daverio e Fabio Mantovani, Queriniana, Brescia 2003, pp. 28-46.